Sabato 15 ottobre a Milano in Via Mosso 3 Abarekà Nandree ha festeggiato i suoi primi 20 anni di attività, con la partecipazione di circa duecento persone. Sono pervenute molte note di ringraziamento da parte delle autorità e dei rappresentanti della diaspora maliana.

Riportiamo qui di seguito l’intervento di Gaoussou Bathily, presidente di Mondo Senza Guerre in Mali, sulla situazione migratoria nel Sahel e in Mali durante la tavola rotonda “La rotta mediterranea dall’Africa subsahariana all’Italia. Esperienze a confronto: chi parte, chi salva, chi accoglie e chi aiuta” Erano presenti anche lo scrittore maliano Soumalià Diawara, Luca Marelli di Sea Watch e Micol De Pietri di Abarekà. Riccardo Gatti ha inviato un messaggio dalla nave Geo Barents di Medici senza Frontiere.

Sono Gaoussou Bathily, presidente dell’Associazione Mondo senza Guerre e senza violenza Mali e vicepresidente di Abareka Mali. Sono entrato a far parte del Movimento Umanista nel 1999-2000 e attualmente coordino diverse attività e progetti nel mio quartiere, che sono stati nel tempo finanziati da Abarekà.

Introduzione

L’immigrazione africana è diventata un fenomeno sempre più preoccupante sia nei punti di partenza che in quelli di arrivo. Il Sahel è un’area di partenza e di attraversamento che fornisce il più grande contingente di emigranti, che attraverso il Maghreb, in condizioni difficili e drammatiche, a rischio della propria vita raggiungono le sponde del Mar Mediterraneo per dirigersi in Europa.

Il Sahel è un’area di transito che separa il deserto del Sahara a nord e la zona sudanese a sud, una regione africana che comprende, in senso lato, 10  Paesi: Burkina Faso, Camerun, Gambia, Guinea, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal e Ciad.

In effetti, l’emigrazione africana verso e attraverso il Maghreb, passando per il Sahel, è stata un fenomeno di grande portata fin dai primi anni Novanta, raggiungendo il suo apice negli anni Duemila. Il numero di migranti degli ultimi anni è indicativo della sua importanza: circa centomila persone transitano ogni anno verso il Maghreb, mentre si stima che siano circa un milione e mezzo in Libia, 300.000 in Mauritania, quasi altrettanti in Algeria e decine di migliaia in Tunisia e Marocco. La maggior parte di queste persone è la prova dell’incrollabile ambizione di raggiungere il loro obiettivo: l’Europa!

In Mali, il fenomeno migratorio si caratterizza per la sua complessità, sia in termini di storia che di dimensioni. In effetti, è vecchio di secoli ed è ben lungi dall’essere compreso nelle sue radici più profonde. La migrazione nel mio Paese è sempre stata praticata dall’uomo per sopravvivere con due tipologie,  interna e internazionale, che coesistono e che riguardano soprattutto gli uomini giovani.

Per quanto riguarda la migrazione internazionale, gli studi dimostrano che la maggior parte di quelli che partono si trova nella fascia di età compresa tra i 20 e i 39 anni, che rappresenta il 94,5% di questo gruppo e quasi la metà si trova nella fascia di età compresa tra i 25 e i 29 anni.

Fattori di migrazione

  1. Fattori economici

Nel 2017 la popolazione del Mali era stimata in diciassette milioni. Secondo uno studio dell’Istituto Nazionale di Statistica (INSTAT) sulla povertà multidimensionale, la stragrande maggioranza (90,6%) vive nelle zone rurali, le più povere, (46,7%). Il 28,9% delle persone vive in altre città e solo il 10,6% nel distretto di Bamako.

  1. Fattori politici

– Deficit di democrazia (malgoverno) e inclusione socio-economica.

– Mancanza di volontà politica di stabilire lo Stato di diritto,

– Insufficienza e/o mancanza di istituzioni specializzate per combattere le disuguaglianze, la povertà e tutte le forme di intolleranza.

– Adattamento delle politiche di governance ai valori della nostra società

  1. Fattori ambientali

Siccità cronica, (la grave siccità del 2011 ha causato una grave crisi alimentare in tutto il Sahel e ha portato a un forte calo della produzione agricola in Mali).

Va ricordato, ad esempio, che gli anni 1973 e 1984 sono stati caratterizzati da una grave siccità che ha provocato massicce ondate di emigrazione dal Mali, spingendo complessivamente il 40% della popolazione (soprattutto uomini) delle regioni più colpite a migrare. Di questi migranti, il 70% ha lasciato il Paese, il che ha indubbiamente avuto un impatto sul settore agricolo, che ha risentito di questa emorragia di manodopera. Allo stesso tempo, il sostegno finanziario dei migranti può aver contribuito a mitigare gli effetti negativi delle siccità.

  1. Fattori di conflitto

La crisi multidimensionale del 2012, che ha avuto un impatto reale sul normale funzionamento dello Stato in termini di fornitura di servizi sociali di base alla popolazione, ha provocato un vasto movimento di migrazione all’estero.

I conflitti nei Paesi che ospitavano un gran numero di immigrati maliani li hanno spinti a tornare a casa. Oltre ai rimpatri precedenti, la guerra in Libia ha causato il rimpatrio di 145 persone tra il 24 e il 27 maggio 2002. Queste persone, per lo più giovani, vorrebbero ancora tentate di tornare all’estero a causa della mancanza di una garanzia di opportunità di sviluppo nel Paese.

L’immigrazione maliana in Europa

Secondo i dati del Consiglio superiore dei maliani all’estero, il numero di emigranti maliani nel 2020 è il seguente: Francia: 120.000, Italia: 3.500, Spagna: 530, Portogallo: 150, Germania: 7.000, Belgio: 1.520, Canada: 2.530, Russia: 250.

Focus sulla migrazione femminile

Per molto tempo migrare era ritenuta un’attività riservata agli uomini, ma oggi le donne sono sempre più interessate a recarsi all’estero. Il 27,5% se ne va tra i 25 e i 29 anni. Il 52% di loro ha terminato  la scuola primaria, il 22,5% la scuola secondaria o superiore, il 22,4% è  analfabeta, il 2,1% alfabetizzata e il 6% ha  studiato nelle scuole coraniche.

La maggior parte delle donne (91,2%) è emigrata per motivi sociali: per raggiungere il marito (64,4% dei casi), per continuare gli studi altrove (13,8%), per visitare un parente (6,3%), ecc.

Impatto sullo sviluppo

La migrazione è uno dei pilastri più importanti dell’economia del Paese: i migranti maliani inviano ogni anno miliardi di franchi, per investimenti o per assistenza familiare.

Nella regione di Kayes, oltre il 50% delle infrastrutture sociali di base è costruito da migranti all’estero.

Negli ultimi dieci anni, le associazioni di migranti in Francia hanno finanziato più di 220 progetti comunitari in diverse decine di villaggi.

Nel 2016, la percentuale di famiglie che ricevevano rimesse aveva almeno un membro che viveva al di fuori della località  ed era pari al 52,9% della popolazione maliana, di cui il 48,0% nelle aree urbane e il 54,3% nelle aree rurali, con il 51,3% di uomini e il 70,5% di donne.

Dal 2017 al 2020, gli immigrati maliani hanno trasferito tra i 486,7 e i 280 miliardi di franchi CFA ( circa 2.000.000 di euro)

Le conseguenze dell’emigrazione

– Il settore agricolo soffre della mancanza di manodopera.

– Povertà, disoccupazione e malnutrizione diventano l’esperienza quotidiana della popolazione.

– Traffico di esseri umani e commerciale, matrimoni forzati, lavoro minorile, schiavitù indigena e altre manifestazioni.

Infine, va notato che molti giovani perdono la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa nel deserto o nel Mediterraneo e un gran numero di loro finisce per rassegnarsi al fatto compiuto rimanendo illegalmente nei Paesi di transito (Algeria, Marocco o Libia).

Conclusione

Dal nostro punto di vista, la migrazione ha ormai una proporzione tale per cui i respingimenti e la repressione, così come il loro corollario di tragedie, non possono più arrestare i flussi migratori che hanno ormai raggiunto un livello permanente.

I governi africani devono ripensare la governance dei loro Paesi adattando le politiche alla realtà e ai valori della società.

Questa politica deve essere supportata da una reale appropriazione da parte degli Stati delle risorse minerarie a loro disposizione. (ancora delle mani dei paesi colonizzatori)

I governi occidentali devono cambiare il loro paradigma in termini di cooperazione e di aiuti allo sviluppo per l’Africa: gli aiuti devono rispondere ai reali bisogni e alle preoccupazioni dei Paesi beneficiari, per liberarli definitivamente dall’assistenza permanente.