La Germania non si smentisce mai. Dopo avere usato da sempre la moneta unica per ridurre l’Europa ad un suo mercato interno, ed oggi incapace di reagire allo strapotere USA che, con le buone o con le cattive, sono riusciti a realizzare il loro vecchio sogno di chiudere il Nord Stream, cosa fanno oggi i nostri vicini tedeschi? Naturalmente cercano ancora una volta di rifarsi sul vecchio continente, e sui paesi mediterranei in particolare.

La recente scelta di stanziare 200 miliardi per sostenere l’economia tedesca, di fatto prendendosi carico dei costi energetici di famiglie ed imprese, è un vero e proprio atto di rottura nei confronti di quei paesi (tra cui l’Italia) che avevano sostenuto la necessità di un fronte unito europeo nella scelta di imporre un comune tetto al prezzo del gas. La Germania si schiera così con l’Olanda che naturalmente difende il TTF, il mercato di Amsterdam dove si fa attualmente il prezzo del gas soprattutto attraverso i Futures, vale a dire le contrattazioni speculative che riguardano vere e proprie scommesse sul prezzo futuro.

L’Italia e i paesi mediterranei, ma non solo, non possono permettersi di fare come la Germania per via dei conti pubblici in rosso. Questo significa che le imprese tedesche avranno un enorme vantaggio competitivo nei confronti di quelle di casa nostra, dove probabilmente nei prossimi mesi si potrebbe assistere ad una vera e propria moria di piccole e medie imprese, le cosiddette PMI, le più fragili nelle condizioni attuali, e che costituiscono, guarda caso, il nerbo della nostra capacità produttiva.

Siccome, come si sa, le disgrazie non vengono mai da sole, a questo quadro a fosche tinte si aggiunga una inflazione ormai vicina alla doppia cifra, ma soprattutto la folle politica della BCE e delle altre Banche Centrali, che continuano ad aumentare i tassi d’interesse, col risultato di provocare forti spinte recessive che saranno pagate dai lavoratori e dalle classi meno abbienti, con risultati insignificanti sulla stessa inflazione, che non è certo provocata da un eccesso di domanda. 

Chi pagherà il conto più salato sarà ancora una volta il nostro paese. L’aumento del costo del denaro, infatti, porterà con sé, inevitabilmente, un sostanzioso aumento dei rendimenti dei nostri titoli del debito pubblico. In questi giorni lo spread ha toccato quota 250, e i nostri decennali sono ormai vicini a interessi di 5 punti percentuali. Le agenzie di rating ci danno ormai vicini alla condizione di “titoli spazzatura”, che è l’anticamera del default. Una situazione in cui non ci verrà in soccorso, come ha fatto in passato, la BCE, che ha sospeso gli interventi anti spread,  legati al PEPP, e che ha varato un nuovo piano di salvataggio, denominato TPI, che però è legato a forti condizionalità, ed è oltretutto discrezionale e non illimitato. 

Insomma tra venti di guerra, crisi energetica, fallimenti industriali, inflazione e crisi del debito pubblico, il futuro prossimo del bel paese potrebbe essere semplicemente catastrofico. 

Italia vittima dunque degli interessi politici e militari delle grandi superpotenze mondiali e dei giochi sfrenati della grande finanza? Non solo! C’è anche una Italia complice, legata agli interessi nostrani della politica filo occidentale e della finanza speculativa. Due soli esempi, giusto per intenderci. 

Nel nostro paese per circa il 60% la nostra produzione elettrica dipende da fonti diverse dal gas (fonti non rinnovabili come carbone e petrolio o fonti rinnovabili come energia geotermica, idroelettrica, eolica ecc.). Questa produzione non ha subito aumenti di costi, ma per via del perverso meccanismo del cosiddetto “prezzo marginale”, tutti i tipi di produzione si adeguano al prezzo più alto che ovviamente è quello che origina dall’uso del gas. I governi di  Portogallo e Spagna hanno semplicemente cancellato questa follia determinando il prezzo sulla base del costo medio di tutte le fonti. Perché da noi il tanto osannato SuperMario, che il mondo ci invidia, non ha fatto lo stesso? 

Secondo esempio. L’ENI e l’ENEL, che nella crisi si stanno arricchendo e che orgogliosamente resistono all’ipotesi di una tassazione dei super profitti, per quanto strano possa sembrare, e malgrado la privatizzazione degli anni novanta, sono ancora oggi aziende controllate di fatto dalla mano pubblica. Lo Stato è infatti il maggiore azionista di entrambi gli istituti, controllando (anche tramite Cassa Depositi e Prestiti) il 30,33% di ENI e il 23,6% di ENEL, eppure il mantra dell’assoluta accettazione delle leggi e delle regole del mercato ha portato le due aziende ad avere la loro sede fiscale, e quindi a pagare le tasse, in Olanda. Assurdo ed inverosimile! Eppure è così! C’è bisogno di aggiungere altro?