Il voto del 25 settembre, caratterizzato da un forte astensionismo e da una legge elettorale infame, ha confermato le posizioni di un elettorato che ha trovato nella destra nazionalista lo sbocco della protesta contro le politiche portate avanti dal governo Draghi. Politiche che non hanno intaccato le crescenti differenze sociali, senza riuscire a proporre nuove prospettive, oltre il sostegno alla guerra ed agli armamenti, di fronte al disastro ambientale incombente, mentre i diritti sociali sono sempre più a rischio per la crisi economica che fa soffrire le famiglie più povere e le imprese più piccole.

Questa sconfitta della democrazia  è stata resa possibile dalle scelte del Partito Democratico, che ha prima puntato sulla sterile contrapposizione ideologica con la destra della Meloni, e poi ha insistito, restando all’interno dell’agenda Draghi, sulla riconferma dell’impegno atlantista, sulla conservazione di un assetto economico che ha prodotto  povertà diffusa, precarietà dei rapporti di lavoro, e una inarrestabile privatizzazione dei servizi sociali, dalla sanità alla scuola. Sul terreno delle politiche migratorie si è riconfermata la collaborazione con paesi terzi che non rispettano i diritti umani, una linea sulla quale si ritrova adesso la Meloni che tra poche settimane potrebbe inasprire il Memorandum d’intesa con la Libia, firmato da Gentiloni nel 2017, e introdurre procedure di espulsione e respingimento in violazione delle garanzie costituzionali e delle Convenzioni internazionali. Un inasprimento della legge Bossi Fini che il PD, negli anni in cui è stato al governo, non è riuscito ad abrogare. Allo stesso modo, come non si sono difesi i diritti sociali ed i diritti delle persone migranti, non si è riusciti neppure a vincere sul fronte dei diritti civili, con le sconfitte registrate sul DDL Zan e sul disegno di legge sul cd. “ius scholae”. Battaglie che sono presto scomparse dalla campagna elettorale.

La fluttuante collocazione del Movimento Cinque stelle, soprattutto sulla questione  dirimente della guerra, sottovalutata dalla maggior parte degli elettori, di fronte alla drammaticità dei problemi politici che dovranno essere affrontati nei prossimi mesi, rende incerta la gestione dei consensi che si sono orientati sul movimento, anche a scapito dei  partiti di sinistra. Senza mettere in discussione la guerra permanente in Europa, sostenuta dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, e le conseguenze sullo schiacciamento delle politiche europee sulla NATO, si rischia di svuotare  il contenuto delle politiche proposte sul piano interno, quando si tratterà di adottare misure gravi di redistribuzione dei costi della crisi economica e dell’inflazione devastante, che stanno mettendo in ginocchio le fasce sociali più deboli. La mera difesa del reddito di cittadinanza non garantisce un impegno sul fronte di una diversa organizzazione dei rapporti di lavoro che combatta davvero sfruttamento e discriminazione, a partire dalla cancellazione del Jobs Act.

Vedremo quanto spazio avranno  Sinistra italiana e Verdi in un parlamento nel quale il Partito democratico rispolvera la sua vocazione maggioritaria anche dall’opposizione, dopo avere affermato di avere concluso con Fratojanni e Bonelli un mero accordo elettorale, ma non un accordo politico. Adesso che le elezioni sono passate, e qualche seggio parlamentare è stato conquistato, quali possibilità di  vere lotte sociali  per chi si dichiara disponibile addirittura ad un’alleanza con Calenda e  non va oltre la proposta di una ricomposizione dell’alleanza con i Cinque stelle ed il Partito democratico ? Su quali basi programmatiche comuni, su quale pratiche condivise si potranno fondare alleanze nelle lotte a sinistra in un momento in cui da destra arrivano inviti alla pacificazione ed alla collaborazione nell’interesse nazionale? Ci sarà finalmente la capacità di proporre e praticare dal basso un vero progetto di alternativa al governo delle destre, ma anche alle politiche economiste di Calenda e di Renzi? E’ tempo di andare oltre una politica di autoconservazione di ceto politico che, pur superando la soglia di sbarramento, non è riuscita a contrastare adeguatamente l’abbattimento dello Stato sociale e la deriva autoritaria in corso nel paese. Deriva che è partita anni prima dell’insediamento del nuovo governo Meloni.

Le donne e gli uomini che appena lo scorso luglio hanno dato vita al progetto di Unione popolare non hanno lavorato per difendere  poltrone all’interno di un sistema economico neo-liberista, ma sono andati in campagna elettorale per ascoltare i bisogni dei ceti più deboli e per proporre soluzioni concrete. Il loro percorso di anni di lotte sociali garantisce ancora oggi che nessuno si tirerà indietro. Una legge elettorale iniqua, che ha penalizzato il voto a distanza e la partecipazione dei fuori sede, ha imposto persino una raccolta delle firme in pieno agosto, una prova che è stata superata di slancio. Si è creata una comunità che non resterà inerte ad assistere all’avanzata della destra.  Il risultato negativo conseguito dalla lista deriva, oltre che dai tempi troppo compressi per scelta della Presidenza della Repubblica, dalla mancanza di mezzi finanziari, dall’oscuramento da parte dei grandi media e dei sondaggisti, e da una innegabile difficoltà di comunicazione di contenuti programmatici che erano gli unici, tra le diverse opzioni elettorali, di impronta autenticamente pacifista, sociale ed ambientale.

Di fronte alla vittoria della peggiore destra europea, già salutata da Orban, quinta colonna di Putin in Europa, con un chiaro messaggio di omologazione politica, Unione Popolare dovrà trasformare la sua rete di consensi, che pure si sono aggregati in questa fase, in organizzazione politica presente sul territorio, capace di innervarsi all’interno dei conflitti sociali che scoppieranno nei prossimi mesi in tutte le regioni del paese, ma  anche nel progetto di costruzione di una nuova Sinistra europea. Alle prossime elezioni amministrative, in Lombardia e nel Lazio, nei singoli comuni, come alle elezioni europee del 2024, occorrerà portare le lotte sociali nelle quali  le diverse componenti di Unione Popolare dovranno impegnarsi per ampliare la base di consenso e per costringere alla coerenza le altre forze che si richiamano alla sinistra.

Per affrontare queste sfide occorre  superare logiche burocratiche, linguaggi obsoleti e barriere generazionali. Il Progetto di Unione Popolare va rilanciato rivolgendo ai giovani proposte concrete di partecipazione e di impegno. La vera sfida da vincere è la partita sull’indifferenza che si nasconde dietro l’astensionismo e la sfiducia delle’elettorato più giovane. Comincia oggi una lunga traversata nel deserto dei diritti, non è facile prevedere i tempi di ricomposizione di una base sociale capace di esprimere una alternativa politica al sistema neo liberista, basato sulle privatizzazioni, sulla delocalizzazioni, sulla rendita finanziaria e sulla guerra economica, ormai legata ali conflitti armati ed alla proliferazione degli armamenti. La straordinarietà del momento storico che stiamo vivendo non è stata colta dall’elettorato.

Fatti terribili, come la guerra in Europa, la crisi ambientale e la crisi economica, con eventi imprevedibili che si potranno verificare già nelle prossime settimane o nei prossimi mesi, metteranno il nuovo governo italiano di fronte a contraddizioni che ne potrebbero compromettere la sopravvivenza. In queste contraddizioni, che spaccheranno la società italiana e forse anche le forze di governo, e nelle lotte sociali che si scateneranno, malgrado tutti i tentativi di falsa pacificazione che  sta rilanciando la Meloni, le donne e gli uomini che hanno dato vita al progetto di Unione Popolare saranno presenti, come lo sono stati in passato. Se non ci sarà una rappresentanza in Parlamento, si andrà sui territori e si allargheranno le reti di comunicazione e di formazione per una svolta culturale, prima che politica. Nessun cedimento sul fronte della difesa delle persone e dei ceti più deboli.