Lorenzo Poli è appassionato di attualità politica, politica internazionale, questione di genere e studi postcoloniali si interessa di temi riguardanti diritti umani, antirazzismo, femminismo, l’ecologia, la liberazione animale e l’antispecismo con particolare attenzione all’intersezionalità dei contesti. Studia Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani all’Università degli Studi di Padova e da qualche anno si occupa, da autodidatta, di popoli in lotta contro l’imperialismo, di America Latina, di conflitti in Medioriente, in particolare la Palestina in una prospettiva decoloniale. Nel 2019 ha contribuito a fondare Progetto EcoSebino, progetto di rigenerazione eco-sociale che interseca le lotte per la giustizia ambientale e per la giustizia sociale sul territorio del Lago d’Iseo. È redattore di InfoPal (agenzia stampa sulla Palestina) e di Pressenza Italia; collabora con Ventuno News, Lavoro e Salute Blog (supplemento di Medicina Democratica) e Altrenotizie.org. Ha collaborato con Il Periodista ed ha pubblicato nel 2016 il suo primo romanzo “Luce al di là del Buio”, edito da Marco Serra Tarantola Editore. A giugno 2022 è stato vincitore della prima edizione del Premio Giovanni Sarubbi per il Dialogo.


Su che basi hai scelto l’argomento dell’elaborato per il Premio Sarubbi?

La traccia del concorso quest’anno è stato il dialogo intergenerazionale, un tema che mi appassiona molto e che pochissimi hanno il coraggio di trattare perchè vuol dire andare incontro a critiche pesanti degli ultimi 40 anni di società occidentale. Quando è stato presentato il bando della redazione del Premio Sarubbi con questa consegna, subito ho pensato che fosse da affrontare necessariamente. 

Quale è il principio fondamentale di quello che discuti all’interno della relazione?

Ho cercato di declinare il “dialogo intergenerazionale” nei termini della “eredità intergenerazionale”, intendendo quel bagaglio di strumenti simbolici e culturali che si tramandano tra una generazione e l’altra come un passaggio del testimone. Proprio a riguardo la domanda che mi sono posto è stata: il mondo “adulto” di oggi che cosa ci sta lasciando a livello culturale, prima ancora che economico? Gli ideali del produttivismo, della competizione, dell’utilitarismo, del pragmatismo fine a se stesso, la fine dell’utopia e dell’immaginazione: esattamente tutto l’opposto di quello che abbiamo bisogno. Ma l’ipocrisia più becera sta nel fatto che questo sistema continua a proporci le stesse soluzioni ai problemi che lui ha creato. Invece di mettere profondamente in discussione le logiche di dominio e di alterità, si preferisce riproporre le stesse logiche “proprietarie” in nuove forme, senza destrutturarle, destinando così il problema a riproporsi. 

Da quanto e perché ti sei appassionato a questo tipo di argomento?

È un tema che mi appassiona da quando mi sono chiesto se volessi veramente vivere nell’idea di “benessere” che ci è stato proposto fin dagli “anni del riflusso” e che i nostri genitori, prima di noi, hanno accettato passivamente senza alcun senso critico. L’opulenza della società dei consumi è stata una grande illusione che ha portato i nostri genitori a fare sacrifici verso un futuro astratto spesso irraggiungibile, anzi ostile. Il retaggio cattolico del “sacrificio” ha aiutato in questo senso: ha dato manovalanza al consumismo per riempirsi d’ottimismo. I giovani di oggi, inebriati dal linguaggio del mercato del lavoro come “soft skill”, “flessibilità” e il mantra delle “abilità tecniche” rischiano di rimanere intrappolati da chi ancora gli propina “benessere” e “progresso”, mentre dall’altro gli abbassa l’asticella dei diritti e la qualità della vita. Nel precariato, l’imperativo sacrificale è diventato la nuova redenzione in terra, mentre l’unica promessa sono gli alienanti contratti a chiamata. Stando agli schemi della società di oggi, l’età lavorativa si allunga, la pensione ultra-tassata retrocede e ancora si dice che il “tempo è denaro”. Non voglio apparire retorico, ma “il tempo è vita” e su questo Pepè Mujica ha insegnato tanto. Pensare ad una società e ad un’economia della cura, significa liberare l’immaginario e mettere in discussione il modello di sviluppo, di produzione, di consumo e della qualità della vita e preferibilmente in una prospettiva umanista.

Come intendi approfondire questo tuo interesse? Hai nei piani viaggi o ricerche? Esperienze affini?

Bella domanda, a cui so rispondere parzialmente. C’è una dose di imprevedibilità ed essendo io molto caotico e poco predisposto all’organizzazione, mi riesce ancora più difficile. Sicuramente la mia intenzione è approfondire questo tema attraverso l’attivismo sui temi politici, ambientali e culturali che sono molto interconnessi tra di loro. In una fase storica in cui il capitalismo, attraverso lo sviluppo tecnologico, sta riammettendo l’utopia futuristica basata sul “progresso”; credo sia giusto che l’utopia ritorni anche in coloro che non hanno mai amato la struttura della società in cui stiamo vivendo. Il genuino coraggio di scelte radicali dovrebbe muovere lo spirito giovanile, ripartendo dall’ecologia sociale1 per creare una società a misura d’essere umano, e non il green capitalism per rigenerare l’attuale modello di produzione. Il tema di fondo è capire che servono scelte radicali per un cambiamento strutturale e non inseguire l’ennesima emergenza. Per il resto spero di laurearmi e di ritornare a viaggiare.

Simona Duci 

1 L’ecologia sociale è un profondo ripensamento della società che si sviluppa a partire dalla questione ambientale e dalla critica al sistema gerarchico.