A più di una settimana dal brutale assassinio di Alika è possibile fare alcune considerazioni sulla vicenda in maniera più completa e non sotto l’inevitabile emozione dettata dal momento e dalle prime frammentarie notizie, nonché dare una valutazione sulla manifestazione di ieri a Civitanova.

Non ci sono dubbi che per la biografia dell’omicida e il suo attestato profondo disagio mentale ci troviamo di fronte ad un episodio che in parte è differente da ciò che accadde a Fermo nel 2016 e due anni dopo a Macerata con la tentata strage del fascista Traini. Ma questo può essere sufficiente a farci dire che “il razzismo non c’entra nulla” e magari derubricarlo come uno dei tanti gravi fatti di cronaca che leggiamo purtroppo tutti i giorni nei giornali? Siamo sicuri che non sia un “fatto politico”, come anche la stessa giunta locale leghista si è affrettata a dichiarare? Per quanto ci riguarda non siamo assolutamente d’accordo.

L’omicidio di Alika Ogorchukwu è oggettivamente” frutto del razzismo, del clima di odio e intolleranza diffuso in questi anni da una forcaiola campagna contro gli “stranieri”, da mass media locali e nazionali. E’ frutto di una legislazione criminale che a partire dall’istituzione degli allora CPU della legge “Turco- Napolitano” e dalla “Bossi-Fini”, tutt’ora ampiamente in vigore ha scatenato una vera e propria guerra contro gli immigrati, che ogni giorno si traduce in vere e proprie stragi in mare per le quali dovrebbero essere processate per crimini contro l’umanità le classi politiche di tutta Europa, nessuna esclusa.

Certamente come abbiamo scritto il profilo di Filippo Ferlazzo evidenzia una condizione mentale e sociale emblematica. Mentre i lugubri nostalgici dei manicomi trovano l’ennesima occasione per attaccare la benemerita e civile legge Basaglia, emerge in tutta la sua drammaticità il modo in cui spesso vengono assistiti, anzi non assistiti i casi di disagio psichico in questo Paese. Ferlazzo aveva bisogno di cura e attenzione che a quanto sembra sono state ampiamente trascurate. Così come il suo caso evidenzia la gravissima condizione lavorativa di chi oggi è esposto a un mercato del lavoro selvaggio che fa strage dei diritti e delle tutele. Nei giorni scorsi abbiamo letto un’intervista pubblicata dal Corriere della Sera al suo “datore di lavoro” che candidamente affermava di averlo assunto da poco con un contratto di un mese, (un mese!), prossimo a scadere, fattore che ovviamente aveva scatenato nell’operaio apprensione e tensione.

Ma questi elementi non ci possono esimere dall’evidenziare come, guarda caso, la violenza che covava sotto  le ceneri sia esplosa proprio contro un immigrato che tutti i giorni si alzava presto da San Severino, località lontana qualche decina di chilometri per recarsi a Civitanova e cercare di vendere fazzolettini di carta o cose simili. E sono inaccettabili le battute girate in questi giorni sul fatto che Alika fosse “troppo insistente”, insomma un “rompicoglioni”, battute che devono far vergognare chi le ha pronunciate.

Così come ci sembra discutibile la tesi piuttosto “assolutoria” e rassicurante che al momento dell’aggressione mortale ci fossero solo quattro o cinque persone, due anziani e alcune donne, come se alle 12 in pieno centro di Civitanova non ci fossero auto in giro e negozi e bar fossero chiusi. Sicuramente trovarsi di fronte ad una dinamica simile può bloccare, non tutti hanno la prontezza di spirito e anche il coraggio per interporre il proprio corpo tra aggredito e aggressore. Ma anche qui le cronache ci propongono spesso casi di donne in pericolo, di tentativi di stupro di fronte ai quali si manifestano indifferenza, passività, espressione di una società sempre più avvolta su se stessa, incapace di scuotersi, al di là della generosità e dell’impegno di chi non demorde e cerca di raccogliere e ricomporre i cocci di un sfera pubblica implosa.

Impegno e generosità che erano presenti ieri a pomeriggio a Civitanova, dove la comunità nigeriana aveva indetto una manifestazione. Purtroppo l’infelicissima scelta dell’orario, le 14 di un caldissimo 6 agosto, con la partenza del corteo alle 14.15 e il concomitante ritardo dei pullman proveniente da fuori ha comportato che in realtà ci fossero due manifestazioni, per la felicità della polizia e dello stesso sindaco leghista che così ha probabilmente evitato una possibile contestazione. Chi scrive è arrivato dopo un’ora che il primo corteo aveva percorso il breve tragitto fino alla piazza centrale di Civitanova. Nel frattempo l’altro folto  gruppo fermo al concentramento, espressione delle associazioni provenienti dal Nord Italia, principalmente Torino, Milano, Padova, Bologna, ha dovuto aspettare due pullman milanesi arrivati in notevole ritardo. Nel frattempo in piazza aveva parlato il sindaco; a quanto ci è stato riferito ha fatto un discorso “furbo”, evidentemente per  evitare tensioni con un piazza assolata dove spiccava la presenza della comunità nigeriana con le magliette “giustizia per Alika” e un certo numero di compagni provenienti da altre città marchigiane, complessivamente circa trecento presenza. Il secondo corteo di  150 persone ha attraversato la lunga via, con una scarsa presenza di civitanovesi, che ogni tanto comparivano da qualche bar aperto e soprattutto da balconi e finestre, in uno scenario dove, come accadde a Fermo, si percepiva comunque una città assente.

Questo spezzone era formato principalmente dalle varie delegazioni del “Coordinamento nazionale antirazzista”, con una presenza maggioritaria di immigrati giovani, di seconda generazione, con interventi molto combattivi, qualche “scivolata” di troppo (“gli italiani sono razzisti”, considerazione che ci sembra eccessiva, pur in un contesto dove sicuramente certi umori sono ampiamente presenti).

Quando questo secondo corteo è arrivato in piazza l’altra componente si era già sciolta, anche se un po’ di partecipanti tornando indietro lo hanno incrociato, fraternizzando. Arrivati a destinazione, dopo altri contributi, ci si è recati sul posto dove è stato ucciso Alika, bloccando il traffico con un sit-in.

In definitiva pur con il disguido organizzativo e considerato il periodo, c’è stata una presenza dignitosa ed è stato giusto partecipare a un appuntamento che, seppur con tutte le difficoltà del momento, ha comunque dato un segnale importante.