Un lavoratore ucciso, una persona in condizioni gravi e un’altra decina ferite da colpi di arma da fuoco: questo, secondo fonti dell’agenzia Dire nella provincia congolese del Sud Kivu, il bilancio di disordini che sarebbero legati a violazioni e abusi da parte di aziende straniere che estraggono oro lungo il fiume Elila.
I fatti sono avvenuti in un sito presso il villaggio di Kaboge, nel territorio di Mwenga. A confermarli è padre Davide Marcheselli, un sacerdote diocesano di Bologna al lavoro con i saveriani nella parrocchia di Santo Spirito a Kitutu, nella stessa regione. “Uomini armati hanno fatto irruzione nel sito, gestito da un’azienda cinese, sparando ad altezza d’uomo, uccidendo un lavoratore di nazionalità congolese e ferendone in modo grave almeno un altro” riferisce il missionario. “Siamo preoccupati anche perché in giro circolano voci su presunte responsabilità degli attivisti e dei rappresentanti della società civile che, con la Commissione giustizia e pace della parrocchia, hanno indetto una marcia per chiedere diritti e dignità, che nel concreto significano indennizzi e opere di valore sociale, come scuole e centri sanitari”.
In attesa che si chiariscano responsabilità e dinamiche dell’agguato di Kaboge, resta lo sconcerto delle comunità per i danni ambientali e sociali causati dalle attività estrattive.
“I campi di cassava e di riso sono stati devastati” conferma padre Marcheselli. “Sono compromessi anche gli stagni per l’itticoltura, le piantagioni di palma da olio e più in generale i terreni lungo gli argini dell’Elila, sventrati dalle trivelle e desertificati”.
Indetta in origine per sabato scorso, la marcia è stata rinviata dopo una mediazione che ha coinvolto alcuni rappresentanti dei villaggi, la cosiddetta “chefferie”. Secondo le fonti della Dire, anche come strumento di pressione, resta in agenda per il mese prossimo: dovrebbe coinvolgere una serie di villaggi, da Kibe e Kitindi, lungo la strada nazionale numero due che taglia il Sud Kivu.
“In conseguenza della pubblicazione di un documentario giornalistico di denuncia, nell’agosto scorso il governatore provinciale Theo Ngwabidje Kasi era stato costretto a intimare uno stop alle attività, condotte dalla Oriental Resources Congo e da altre imprese minori” ricorda padre Marcheselli. “L’esecutivo nazionale di Kinshasa aveva anche annunciato un’inchiesta e si era giunti a un impegno da parte delle aziende a pagare le tasse alle amministrazioni locali e a realizzare opere sociali come ponti e scuole; a oggi però nessuna di queste promesse è stata rispettata”.
Secondo il missionario, animatore questo mese di un incontro tra la Commissione giustizia e pace e le associazioni locali, le attività estrattive sono già riprese in diversi siti tra Kibe e Kitutu, anche nelle aree di Sugulu e Makito.
“La marcia sarà pacifica” sottolinea padre Marcheselli. “I manifestanti non raggiungeranno i siti estrattivi, anche perché sarebbe pericoloso, e inviteranno invece i manager delle aziende per consegnare loro un memorandum con le richieste delle comunità”.
L’incertezza è aggravata sia dall’agguato di Kaboge che dai modi operativi della Oriental Resources Congo, la principale tra le aziende cinesi presenti lungo l’Elila. Secondo padre Marcheselli, tempo fa i manager avevano invitato nel capoluogo provinciale Bukavu esponenti della “chefferie” selezionati delle comunità. “E’ probabile che abbiano donato loro qualcosa, sapendo bene che queste persone non rappresentavano in alcun modo i contadini colpiti dalle attività estrattive” denuncia il missionario. “Le aziende hanno poi promesso di assumere giovani del posto perché garantiscano la sicurezza delle miniere, tenendo la popolazione lontana dai siti minerari e dalla propria terra”.
Secondo esperti delle Nazioni Unite, l’opacità nello sfruttamento dei giacimenti auriferi dell’est del Congo è da tempo fonte di preoccupazione, con la possibilità di “volumi di oro di contrabbando molto superiori rispetto a quelli venduti attraverso canali legali”.
Dopo lo stop di agosto, sulla questione era intervenuto anche un rappresentante del ministero degli Esteri della Cina, Wu Peng.
Il dirigente aveva detto che Pechino “sostiene la Repubblica democratica del Congo nel contrasto alle attività economiche illegali” e aveva invitato le aziende a “lasciare il Sud Kivu il prima possibile”.