Russia e Stati Uniti hanno fatto intendere che, in caso di necessità, sono pronte a ricorrere anche alle testate nucleari.

Per la prima volta dai tempi della Guerra fredda, la corsa alle armi nucleari è ricominciata in modo “preoccupante”, facendo temere un deciso aumento delle testate nei prossimi dieci anni. A lanciare l’allarme è lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), che collega il fenomeno direttamente alla guerra russo-ucraina con, da un lato, Russia e Stati Uniti che non hanno escluso la possibilità di ricorrere alle armi atomiche per porre fine al conflitto e, dall’altro, consistenti invii di armi alle forze di Kiev da parte di diverse nazioni occidentali.

L’incremento delle armi nucleari

Stamani il think tank con sede nella capitale svedese ha diffuso un report in cui sostiene infatti che all’indomani del 24 febbraio siano tornate a crescere le tensioni tra i nove Paesi che possiedono le testate atomiche, al punto da spingerle ad annunciare – chi in modo esplicito, chi meno – l’ammodernamento e/o l’incremento del proprio arsenale. Si tratta di Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord.

Sipri in particolare sottolinea che i segnali su una possibile corsa all’atomica giungono nonostante il fatto che fino a gennaio 2022 si fosse registrata una lenta ma costante riduzione nel numero di testate nucleari. Una tendenza che riguarda anche i cinque Stati che hanno il seggio permanente al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina – che solo nel 2021 avevano manifestato l’intenzione opposta, chiarendo in una dichiarazione congiunta che “la guerra nucleare non può essere vinta e non dovrà mai essere combattuta”.

Al contrario, all’indomani dello scoppio della guerra, Russia e Stati Uniti hanno fatto intendere che in caso di necessità, sono pronte a ricorrere anche all’arma nucleare. Proprio questi due stati detengono il 90% delle testate a livello mondiale, con Mosca che ne possiede 4.477, 769 in più rispetto a Washington (3.708). Seguono Cina (350, ma il numero secondo gli analisti potrebbe presto più che raddoppiare), Francia (290), Regno Unito (180), Pakistan (165), India (160), Israele (90) e Corea del Nord (20).

La corsa al riarmo

Come informa il rapporto di Sipri, lo scorso anno il Regno Unito ha annunciato la sua decisione di aumentare le sue scorte di testate, abbandonando così la strada del disarmo. Inoltre, “pur criticando la Cina e la Russia per la mancanza di trasparenza in ambito nucleare- si legge nel report- il governo di Londra ha anche annunciato che non renderà più pubblici i dati relativi alle scorte operative di armi nucleari del paese, alle testate dispiegate o ai missili schierati”. Quanto alla Francia, l’istituto di ricerca svedese ricorda che “all’inizio del 2021 Parigi ha lanciato un programma per lo sviluppo di un sottomarino missilistico balistico a propulsione nucleare (Ssbn) di terza generazione”. India e Pakistan invece “starebbero espandendo i loro arsenali nucleari”.

I ricercatori di Sipri ritengono che “anche Israele, che non ammette pubblicamente di possedere armi nucleari, stia modernizzando il suo arsenale”. Infine, “la Corea del Nord continua a dare priorità al suo programma militare nucleare come elemento centrale della sua strategia di sicurezza nazionale”.

Serve cooperazione

Hans M. Kristensen, del programma di armi di distruzione di massa di Sipri e direttore del Nuclear Information Project presso il Federazione degli scienziati americani (Fas), ha dichiarato: “Ci sono chiare indicazioni sul fatto che la riduzione degli arsenali nucleari globali registrata dalla fine della guerra fredda è terminata“. Stefan Lofven, presidente di Sipri, ha posto l’accento sul fatto che “in un momento in cui l’umanità e il pianeta devono affrontare una serie di sfide globali profonde e urgenti, le relazioni tra le grandi potenze mondiali si sono ulteriormente deteriorate“. Lofven probabilmente fa riferimento ai cambiamenti climatici, all’impatto della pandemia di Covid-19 sulle economie oppure al recente aumento segnalato dall’Onu delle persone che soffrono la fame o sono costrette a lasciare i propri paesi. Sfide che secondo il responsabile “possono essere affrontate solo attraverso la cooperazione internazionale“.

 

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