Una grande manifestazione di cinque giorni intensissimi per un totale di circa 70 eventi e 200 ospiti da oltre 30 paesi, molto apprezzato a livello nazionale e internazionale, che si spera lasci il segno in una città viva come Catania, al centro del Mediterraneo geograficamente e culturalmente, e nelle comunità attive della società civile mediterranea.

Foto di Daniele Vita

Mentre dunque la tragica attualità della guerra dirotta lo sguardo verso l’Europa orientale, il Festival dei Cittadini del Mediterraneo ha permesso di riportare l’attenzione del pubblico sulla centralità non solo di una regione geografica, bensì di una collettività fatta di molteplici comunità, per cui il Mediterraneo è un collante concreto e lo spazio dove si condividono le stesse aspirazioni e si lotta per gli stessi diritti. Come hanno ripetuto molti e molte ospiti, tra cui Immacolata dall’Oglio e Laila Kiki, nel dibattito conclusivo:

«E’ probabile che se non avessimo lasciato che la guerra in Siria prendesse questa spaventosa piega, probabilmente in Ucraina le cose adesso non andrebbero così. Aver lasciato impunite le dittature sulla sponda sud ha dato il via libera agli ultimi tragici sviluppi. Siamo tutti in qualche modo collegati».

Sulla stessa linea sono personalità come David Abulafia o Esraa Abdelfattah, che nel dibattito di apertura hanno precisato quanto fenomeni diffusi come il razzismo, il nazionalismo o l’autoritarismo, così come politiche mono-identitarie, siano deleterie e pericolose, estremamente controproducenti per coesistenza e stabilità. Da una parte lo storico Abulafia sottolinea quanto gli scambi commerciali nel Mare Nostrum abbiano finito poi per tracciare meticciati e mescolanze che hanno avvicinato ben più delle rotte terrestri, e che «il Mediterraneo è a tutti gli effetti strutturato per accogliere e non per respingere». Dall’altra l’attore e drammaturgo Moni Ovadia afferma con forza che «il nazionalismo è la più spaventosa pestilenza della storia dell’umanità, e che agire seguendo logiche di confini tracciati con un sigaro è criminale, la specie umana essendo una e una soltanto».

«Durante questi fittissimi giorni di dibattiti, confronti, laboratori, performance» dice Catherine Cornet, direttrice artistica del Festival «abbiamo toccato temi a volte molto difficili e sofferti come la questione delle politiche migratorie dell’UE (che ancora oggi conducono a discriminazioni, mercato nero della forza-lavoro e perdite di vite umane nel Mediterraneo), le disuguaglianza crescenti, l’indebolimento del modello democratico e gli attacchi sempre più violenti alla libertà di espressione, di stampa, o di fede».

I temi trattati al Festival potrebbero essere sintetizzati nelle seguenti parole chiave: cittadinanza, ospitalità, democrazia, uguaglianza di genere, giustizia sociale, resilienza, ambiente e biodiversità, libertà di espressione e salvaguardia dei diritti umani.

Tutti concetti che, nel concitato fermento di una manifestazione così complessa, si sono sviluppati in oltre 70 attività di cui circa 40 dibattiti serrati e intensi; 5 visite tematiche guidate che inauguravano ogni giornata del Festival; 8 attività per bambini4 workshops partecipati e autogestiti; 3 mostre di foto, mappe e fumetti su paesaggi e storie umane; e infine una rassegna di cinema del reale ospitata dalla Città della Scienza dell’Università di Catania, che ha proiettato film di altissimo livello che nelle sale è raro vedere, come lo scomodo L’Urlo di Michelangelo Severgnini o Shooting the mafia di Kim Longinotto, vero tributo alla grande fotografa Letizia Battaglia.

Gli eventi hanno avuto luogo in una dozzina di luoghi diversi della città, per facilitare il coinvolgimento della società civile e delle istituzioni del territorio. Gli ospiti dialoganti, sia internazionali che locali, hanno interagito sulla scena e nei momenti informali, in una nuova dimensione del fare comunità insolita e sorprendente. Molti di loro sono stati “catturati” dal fumettista greco Yorgos Konstantinou che ne ha fatto delle sintesi estremamente eloquenti.

Il festival ha permesso di riscoprire i valori mediterranei che condividiamo istintivamente, come ad esempio la socialità attraverso musica e danza… La splendida serata a piazza Dante con la compagnia catanese Zappalà Danza ha registrato oltre 600 presenze, mentre il concerto di Maryam Saleh e Zeid Hamdan ha fatto ballare le oltre 400 persone accorse al Palazzo della Cultura.

Icona della manifestazione, infine, la mappa del Mediterraneo dell’artista cartografa francese Sabine Rhétoré, esposta in mezzo al Cortile Platamone e percorsa, studiata, adottata da tutti: bimbi, artisti, giornalisti e attivisti. Una mappa senza frontiere che mette in evidenza quanto le sponde lungo l’asse est – ovest siano molto più vicine di quanto pensiamo, proprio dietro l’angolo.

Che sia l’avvio di un percorso di iniziativa cittadina per la costruzione di un Mediterraneo libero e unito: raccogliamo la proposta di un processo costituente dal basso che coinvolga cittadini e società civili delle due rive mirato alla costruzione di una ‘casa comune’ – ha concluso Gianluca Solera, coordinatore di Med Dialogue, che ha promosso il Festival, citando alcune delle proposte emerse in questi giorni. “La cittadinanza mediterranea è innanzitutto un orizzonte che si forma attraverso delle pratiche in divenire. Come molti relatori hanno sottolineato, dovremmo creare delle zone franche di cittadinanza inclusiva, multipla e aperta, delle vere e proprie “città franche” (così come esistono le zone franche per l’industria), dove ricucire le fratture tra i popoli del Mediterraneo e sperimentare quella che dovrebbe essere la ‘casa comune’ prossima a venire”.