Prima udienza del procedimento preliminare “Iuventa“, in cui sono indagati 21 membri dell’equipaggio accusati di favoreggiamento dell’ingresso illegale” di migranti in Italia. La Procura di Trapani aveva richiesto per loro il rinvio a giudizio. Da parte dei legali è stata chiesto di consentire l’accesso degli operatori dell’informazione e degli osservatori internazionali. Per una breve disamina della vicenda pubblichiamo l’articolo di Vassallo Paleologo scritto alla vigilia dell’udienza.

Per arrivare a sostenere la natura arbitraria dei soccorsi operati dalla Iuventa, che si rivela nulla più che una mera presunzione, si sostiene con gli atti di accusa che le persone a bordo dei barchini non correvano alcun rischio di annegare, come se già il sovraccarico e la mancanza di mezzi di salvataggio non integrasse una situazione di distress. Non si comprende bene sulla base di quali osservazioni e di quali parametri gli inquirenti giungono a queste conclusioni. Che le più recenti sentenze di archiviazione dei procedimenti contro le ONG smentiscono. I comandanti delle navi civili che siano a conoscenza della ricorrenza di un evento SAR, come si verifica quando hanno notizia della presenza di un imbarcazione sovraccarica in alto mare sono obbligati ad intervenire con la massima rapidità possibile.

L’art. 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS, resa esecutiva in Italia con legge 2 dicembre 1994 n. 689), dispone che “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo. 2. Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali”.
 Obbligo quest’ultimo che le autorità libiche non avevano certo adempiuto nel 2017, e neppure successivamente, con il concorso della missione NAURAS della Marina militare italiana allora di base a Tripoli.

Non si vede dunque su quale base normativa si possa affermare che le operazioni di salvataggio sarebbero state una sorta di agevolazione dell’immigrazione illegale perché si sarebbero svolte senza il “coordinamento” della Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC) Come se nei casi di soccorso in mare, la mancanza di coordinamento da parte delle autorità marittime degli Stati costieri cancellasse gli obblighi di soccorso immediato a carico del comandante della nave. Che è l’unica autorità che può valutare da vicino il rischio reale e la ricorrenza di un caso di distress. ’Perché si possa configurare un evento SAR non occorre una comunicazione formale da parte della Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC) o tanto meno da altre autorità militari o politiche. Il comandante della nave ha comunque un obbligo preciso di intervento immediato in caso di distress, di cui risponde anche con il reato di omissione di soccorso, ed è l’unica autorità competente nella valutazione della situazione di pericolo e quindi nella tempistica dell’intervento, del quale deve soltanto avvisare, appena possibile, le autorità marittime competenti.

In base alla risoluzione (MSC n. 167 del 20 maggio 2004) del Maritime Safety Committee dell’OMI (Organizzazione marittima internazionale), dal titolo “Guidelines on the Treatment of Persons rescued at Sea”, il governo responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è tenuto ad individuare il luogo sicuro di sbarco e a fornirlo direttamente o ad accertarsi che tale luogo venga fornito da parte di altro Stato. Nel 2016 e nel 2017 la Libia non poteva garantire porti sicuri di sbarco e non esisteva neppure la finzione della zona SAR libica istituita soltanto il 28 giugno 2018. Non si poteva collaborare pertanto con la sedicente guardia costiera libica senza infrangere il principio di non refoulement ed il conseguente divieto di respingimenti collettivi, già affermato la Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, verificatosi con respingimenti collettivi in Libia attuati direttamente dalla Guardia di finanza italiana il 6 maggio del 2009.

Il Memorandum d’intesa del 2017 stipulato da Gentiloni e da Minniti non poteva derogare quanto previsto dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, imponendo nuovi obblighi ai comandanti delle navi soccorritrici, segnatamente di collaborare con le autorità libiche. Secondo l’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, “È nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale. Ai fini della presente convenzione, per norma imperativa di diritto internazionale generale si intende una norma che sia stata accettata e riconosciuta dalla Comunità internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere”. E in questo senso, sugli accordi tra Italia e Libia, si era espresso nel 2019 il Tribunale di Trapani (Giudice Grillo) nella sentenza sul caso Vos Thalassa, che, dopo una riforma da parte della Corte di Appello di Palermo, è stata recentemente riconfermata con diverse motivazioni dalla Corte di cassazione.

Non si riscontrano nelle Convenzioni internazionali SOLAS e SAR obblighi di informazione preventivi a carico di un comandante che intervenga per svolgere attività di salvataggio in mare. Si prevede soltanto che la nave soccorritrice proceda al soccorso “informando, se possibile, l’unità in pericolo o l’Autorità SAR”. Attendere del resto che uno Stato costiero riceva una specifica comunicazione da parte della nave soccorritrice potrebbe condannare a morte persone che vanno soccorse immediatamente. Se in presenza di più eventi di soccorso contemporanei una singola imbarcazione in situazione di distress non venga segnalata immediatamente, questa circostanza non permette certo di configurare una responsabilità penale per agevolazione dell’immigrazione clandestina, soprattutto quando si opera in acque non italiane e quando le stesse persone soccorse vengono trasbordate successivamente in acque internazionali su mezzi coordinati dalla Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC)S. Occorrerà valutare per questo come si sono formate le prove che vengono addotte nei capi di imputazione, relative a difetti di comunicazione tra le navi delle ONG e la Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana. Se ci sarà un dibattimento le verifiche documentali e le indagini difensive saranno al centro di ogni udienza.

Sono gli stessi rapporti di attività della Guardia costiera italiana per il 2017 che dimostrano come fosse costante il coordinamento delle ONG da parte della Centrale operativa della stessa Guardia costiera (IMRCC) almeno fino a quando con il Codice Minniti il ministero dell’interno tentava di introdurre norme regolamentari, prive di alcun autonomo rilievo normativo, che però incidevano negativamente anche sui rapporti tra ONG, Guardia costiera ed altre autorità preposte al controllo delle frontiere marittime. Partiva proprio in quel periodo una furiosa campagna di criminalizzazione dei soccorsi umanitari. Tanto che successivamente, in tempi diversi, sia MSF che Save The Children erano costrette a sospendere le proprie attività di soccorso nel Mediterraneo centrale.

Rispetto alle anomalie dell’indagine sulla Iuventa, poi estesa ad altre ONG, le anomalie riscontrate nelle intercettazioni di giornalisti, avvocati e docenti universitari appaiono poco rilevanti sul piano dell’economia processuale, ma rimangono un inquietante messaggio che si è rivolto a quanti volevano fare chiarezza su questo caso. Ripercorrendo le fasi delle indagini successive al sequestro della nave Iuventa, dal 2018 al 2021, si nota un netto cambio di registro, particolarmente evidente negli atti di conclusione delle indagini preliminari depositati soltanto lo scorso anno. Anche di questo tratteranno specificamente gli avvocati difensori nel corso delle udienze. Le contestazioni infatti sembrano risentire dell’impostazione tipica di altre inchieste relative a navi umanitarie che operavano attività SAR nel Mediterraneo centrale, con tutti i classici temi di accusa che le più recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno demolito, costringendo all’archiviazione della maggior parte dei procedimenti penali ancora aperti contro le ONG. Identiche argomentazioni, basate su un presunto comportamento fraudolento delle navi soccorritrici, che si ritrovano adesso nelle posizioni della difesa del senatore Salvini, nel processo Open Arms a Palermo. La stessa difesa del senatore Salvini certamente utilizzerà quanto verrà deciso a Trapani sul caso Iuventa, in caso di rinvio a giudizio degli attuali indagati, per l’ulteriore capovolgimento del processo di Palermo. In modo da nascondere i capi di imputazione a carico dell’imputato dietro una valanga di accuse contro le ONG, anche su materie, come gli obblighi di soccorso in mare, che sono state oggetto di procedimenti chiusi con archiviazione delle accuse contro le ONG e sulle quali la Corte di cassazione, in particolare sul caso Rackete, ha espresso una precisa valutazione di liceità con riferimento al comportamento dei comandanti delle navi e dei capomissione. Se si volesse indagare davvero sulle “consegne concordate”, l’attenzione degli inquirenti dovrebbe rivolgersi nei confronti degli agenti istituzionali che collaborano stabilmente con le autorità libiche nei respingimenti collettivi su delega, vere e proprie “rendition”, piuttosto che sulle ONG che nel corso degli ultimi anni, hanno dovuto svolgere un ruolo di supplenza rispetto agli obblighi di ricerca e soccorso in acque internazionali che gli Stati e gli assetti operativi delle operazioni europee ancora attive (Eunavfor Med) non rispettano più.

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