Sul “solito ritrito e violento copione di violenze e manganellate” da parte delle FFOO che anche quest’anno hanno negato il Diritto alla Piazza allo spezzone ‘sociale’ del corteo, siamo già usciti con il reportage a caldo di Fabrizio Maffioletti che come sempre era in prima linea. Ma poiché a livello locale, sulle pagine de La Stampa di Torino e altri fogli simili, alla vergogna di quanto è successo si è aggiunta quella delle ‘versioni ufficiali’ nel più assordante silenzio della stampa mainstream, anche ieri siamo usciti con la lettera aperta a corredo di un comunicato congiunto, a cura della ns Redazione Torino.

Tuttavia quanto è successo a Torino il 1 maggio di quest’anno è davvero grave e non solo per il ‘ritrito copione degli scontri’: c’erano una marea di bandiere arcobaleno tra le tantissime bandiere rosse, e dentro lo spezzone ‘sociale’ anzi in prima fila (come ben illustrano le foto di Diego Fulcheri Zografos) c’erano i tanti pacifisti che da settimane anzi da mesi presidiano Piazza Castello con i loro appelli di NO alla Guerra, NO all’invio dell’Armi, Sì ai Negoziati. Perciò anche oggi ritorniamo su quella vergognosa scena del Dissenso Negato, con questo contributo di Nicoletta Dosio, che ringraziamo.

L’alba annuncia una dolcissima giornata di primavera. Nella strada verso la stazione mi accompagna il silenzio tranquillo della domenica: oggi si scende a Torino per la manifestazione del Primo Maggio.

Alle varie stazioni della Valle vedo in attesa gruppetti con le bandiere NO TAV e della pace. In maggioranza sono giovani e giovanissimi con l’allegria delle prime incursioni nel mondo delle lotte.

Alla stazione di Porta Nuova la consueta accoglienza: nell’atrio, assieme a qualche agente in divisa, gli immancabili Digos, la polizia politica in borghese; facce nuove, riconoscibili dagli auricolari e soprattutto dalla finta indifferenza con cui ci seguono di lontano, passo passo, per le vie cittadine svuotate dal fine settimana festivo, tra viali e giardini pubblici dove tranquilli signori portano a spasso i loro cagnolini.

Arrivando in piazza Vittorio, troviamo lo spezzone sociale bloccato. La testa del corteo con le autorità cittadine, il PD e i partiti di governo, la Triplice sindacale stanno già sfilando da un pezzo, preceduti dalla banda musicale.

La loro è essenzialmente una esibizione retorica, un paravento dietro cui celare le concertazioni, la sudditanza agli sfruttatori di sempre, le scelte guerrafondaie.

Tutti costoro hanno fretta di giungere sul palco del comizio finale, liquidando l’incombenza annuale che sono riusciti a trasformare nel tempo in una celebrazione ufficiale depurata di ogni memoria storica (non una festa, ma un durissimo sciopero fu l’originario Primo Maggio).

Ma questo giorno è ancora lotta per la folla di ragazze e ragazzi, le centinaia di striscioni e bandiere, le voci che si alzano dai megafoni contro la guerra, la precarietà, le devastazioni sociali e ambientali.

Voci scomode, da reprimere e silenziare, da bloccare con una barriera di agenti armati che si sposterà solo a manifestazione ufficiale finita.

Soltanto a questo punto il Primo Maggio acquista senso, presenza, colori. Dal furgone in testa allo spezzone sociale si susseguono interventi che parlano di morti sul lavoro, povertà crescente, diritti negati, soldi pubblici sottratti ai bisogni reali e sacrificati sull’altare dell’ennesima guerra NATO. Perché, da ogni parte, a pagare il prezzo più alto delle guerre sono sempre gli ultimi, la gente comune, il mondo vegetale, gli animali… Verità da silenziare per i governi con l’elmetto, gli affaristi dell’industria bellica, i militaristi e interventisti di sempre.

Lo spezzone sociale prosegue tra gli applausi, si fa marea grazie alle persone di tutte le età che entrano nel corteo, tante facce sorridenti, slogan, musica, sventolìo di bandiere…

Troppo per un potere invidioso e vendicativo: a poche centinaia di metri dalla piazza finale ritroviamo un muro di armati che sbarra via Roma e si allarga sotto i portici.

Prima di qualsiasi avvicinamento partono due pesanti cariche: manganellate e colpi di scudo su giovani e anziani, teste aperte, sangue, urla di “Vergogna, vergogna!” anche da parte dei turisti a spasso nella Torino dell’arte e dell’aperitivo domenicale.

Ma il corteo non si arrende, in breve si ricompone, recupera striscioni e cartelli.

Il muro di scudi si infittisce: due mondi si fronteggiano, macchine contro esseri umani; infatti sembrano davvero robot quelle figure blindate in scafandri di metallo e plastica, gli sguardi assenti, il volto di pietra: evidentemente la condizione indispensabile per eseguire ordini dissennati, avventarsi contro persone inermi.

C’è chi tenta di rivolgersi a loro con gentilezza: una donna anziana (il volto dolcissimo, una lunga treccia bianca) si fa avanti per tentare un dialogo che non riceve risposta.

A un certo punto si avvicina al furgone e chiede il microfono un signore anziano: è Gastone Cottino che ricorda la sua storia partigiana, la militanza lungo tutta una vita quasi centenaria e ora rivendica per tutti il diritto inalienabile a manifestare liberamente.

La situazione si risolve poco dopo. Il blocco armato si apre ed entriamo in una piazza dove non c’è più traccia né di funzionari confederali né di “autorità”.

Finalmente il palco del Primo Maggio accoglie le sue vere voci: i lavoratori rider, gli studenti, le donne di “Non una di meno”, il Movimento NO TAV, il sindacalismo conflittuale, l’ambientalismo di base…

Ma per me è ora di ritornare al treno.

Lungo i portici di via Roma è ormai il momento della passeggiata pomeridiana: famigliole allegre , coppie col cagnolino….

In una rientranza dei portici, seduto per terra, c’è un uomo, poco più di un ragazzo; accanto a lui un cane, la testa appoggiata sulle sue ginocchia. Sta in silenzio e non tende la mano, ma un barattolo per le offerte dice la sua condizione.

La gente passa con indifferenza davanti a questo invisibile.

Odio gli indifferenti.

Foto di Diego Fulcheri Zografos