La pace prima di tutto – La pace è oggi il primo obiettivo per tutte le persone di buona volontà, per tutte/i coloro cioè che vorrebbero assicurare un avvenire al mondo ed all’umanità.

E’ vero che di guerre ce ne sono state e continuano ad essercene parecchie nel mondo senza che questo abbia turbato, e turbi, più di tanto la coscienza di quanti/e vivono in Europa, specialmente dei suoi governanti.

L’allarme, per molti/e, è scattato, secondo una visione euro-centrica dei problemi che continua ad essere prevalente, quando la guerra ha messo piede sul suolo europeo.

Si è allora sentito affermare che veniva sconvolto il clima pacifico che durava da oltre 70 anni in Europa, dimenticando così i conflitti armati sviluppatisi ripetutamente nei Balcani, sui territori della ex Jugoslavia.

Certo, a differenza delle guerre che nel ‘15/18 e nel ‘39/45 erano state avviate in Francia, in Germania, in Austria,  per poi divenire mondiali, sul finire del XX° secolo gli scontri sono rimasti in uno spazio ben definito (portandosi dietro, però, il solito bagaglio di morti e distruzioni, per lo più fra la popolazione civile).

Con l’attacco della Russia di Putin all’Ucraina, da condannare e contrastare con grande energia senza ombra di dubbio (senza dimenticare però le responsabilità della NATO), siamo tornati su quella strada, una strada che può portare davvero alla distruzione del mondo – non dimentichiamoci la presenza anche sul suolo europeo di molti missili nucleari, russi e del blocco occidentale (vedi, fra gli altri, quelli nelle basi USA e NATO qui in Italia).

Unica via la soluzione diplomatica – Ritengo essenziale sottolineare con forza questo punto, come ha fatto Pablo Iglesias di “Podemos”, perché ne consegue che non vi sono alternative alla soluzione diplomatica, attraverso la trattativa e l’intervento in questo senso di organismi internazionali (l’Unione Europea che assuma finalmente un ruolo politico, l’ONU, da riqualificare e da rilanciare), e la pressione su Putin da realizzare con il collegamento fra i movimenti contro la guerra – che esistono in tutti i paesi, compreso lo stesso paese aggressore – e una giusta dose di sanzioni contro la Russia, giusta dose nel senso che colpisca essenzialmente l’oligarchia e non la popolazione. Tutt’altro, quindi, dall’invio di armi, che renderebbe ancora più cruento lo scontro, con maggiori danni per gli/le abitanti dell’Ucraina. Spetta indubbiamente a loro scegliere come resistere all’invasione. Si può solo ricordare che esistono vie diverse con cui attuare la resistenza – che non prevedono l’uso delle armi e che in certe situazioni hanno portato anche a dei risultati (in India contro il dominio inglese, in Sudafrica contro il regime dell’apartheid, dopo una prima fase di lotta armata).

E’ molto importante, attraverso la trattativa, appunto, portare a soluzione il problema del Donbass, di cui occorre riconoscere l’autonomia, secondo gli accordi di Minsk, mai applicati (in proposito, va ricordato la validità, per situazioni del genere, dell’idea di una Confederazione Democratica in grado di superare le varie spinte nazionaliste, come sostengono le curde ed i curdi del Rojava) e riproporre l’obiettivo della neutralità dell’Ucraina (in prospettiva va rilanciata l’idea di un’Unione Europea che vada fino agli Urali e che ponga fine, finalmente, all’alleanza militare della NATO – uno residuo della “guerra fredda” che non ha più ragione di esistere e che è ormai da tempo uno strumento di operazioni belliche “offensive”).

In campo i pacifisti – Una reazione all’attacco della Russia all’Ucraina c’è stata (vedi, fra l’altro, la manifestazione nazionale a Roma del 5/03), ad opera del variegato, e frammentato, mondo pacifista – frammentato e con valutazioni diverse anche in questa occasione – , ma non siamo tornati certo alla vastità ed all’imponenza di quel movimento per la pace che nel 2002 fu definito la “seconda potenza mondiale”. Non riuscì ad evitare la guerra e proprio per questo rapidamente rifluì, ma evidenziò alcuni problemi di fondo.

Pietro Ingrao, intervenendo al Social Forum di Firenze, sempre nel 2002, sostenne che una delle questioni fondamentali che si ponevano alla politica era come tradurre in azione di governo questa spinta che, partendo dalle coscienze individuali e collettive (di associazioni, di gruppi, di realtà di base), affermava un NO netto alla guerra, un NO SENZA SE E SENZA MA.

In qualche modo, di fronte al prevalere dell’individualismo ed al riflusso della partecipazione alle lotte ed ai movimenti, individualismo e riflusso che avevano caratterizzato gli anni ‘80 e ‘90, si andava contro-corrente e nella stagione dei “social forum” si recuperava una dimensione collettiva, a cominciare, appunto, dal tema della pace.

Le iniziative del passato contro la guerra – Dopo la 2^ Guerra Mondiale vi erano state numerose iniziative contro la guerra e per il disarmo.

Cito quelle che ricordo:

– i “partigiani della pace” degli anni ‘50, accusati però, in un clima di guerra fredda, di essere piuttosto “partigiani dell’Unione Sovietica”,

– l’impegno per la pace delle città del mondo che rispondevano agli appelli del Sindaco di Firenze Giorgio La Pira, sempre nello stesso periodo,

– le campagne contro le armi atomiche promosse da scienziati, artisti, intellettuali,

– le marce Perugia-Assisi “inventate” nel 1961 da Aldo Capitini, principale esponente in Italia del Movimento Nonviolento, di ispirazione gandhiana (marce che proseguono, ogni anno, ancora oggi),

– gli interventi di azione nonviolenta, ed il referendum auto-gestito, contro l’installazione dei missili a Comiso (ricordo in proposito il notevole impegno di Alberto L’Abate, fra i fondatori, a Firenze, della “Fucina della nonviolenza”),

– le campagne per l’obiezione di coscienza nei confronti del servizio militare (obiezione sostenuta con grande vigore da padre Ernesto Balducci e don Lorenzo Milani) e, fiscale, rispetto alle spese militari,

– il movimento dei comuni denuclearizzati,

– le manifestazioni contro la guerra USA in Vietnam e quelle pacifiste degli anni ‘80.

Alcune erano iniziative “elitarie”, di ristrette cerchie di persone molto motivate per ragioni morali e/o politiche, altre coinvolgevano un numero elevato di uomini e donne, in primo luogo grazie all’azione di un partito con profonde radici popolari come il PCI.

Il movimento pacifista 2^ potenza mondiale – Nel 2002 il movimento è riuscito a svilupparsi sulla base di un sentimento diffuso, senza ruoli determinanti delle forze politiche, ed ha coinvolto settori diversi della società.

Per un periodo, anche se piuttosto breve, la pace era divenuto un concetto egemone.

Il problema che abbiamo oggi di fronte è quali interventi realizzare per rendere di nuovo il movimento per la pace “la seconda potenza mondiale” (o, magari anche la prima, andando al di là di quanto affermava il “New York Times”, in grado di incidere profondamente sui “decisori politici”), partendo proprio dalla reazione spontanea di gran parte delle persone – che ha come base il sentimento di umanità, molto diffuso specie fra i giovani, che si è registrato anche rispetto a recenti episodi di razzismo -.

L’intreccio fra tematiche diverse – E’ necessario, innanzitutto, intrecciare questa tematica con quella ambientale, con cui ha molti punti in comune, e far convergere su obiettivi condivisi i soggetti, in buona parte giovanili (“Fridays for future” ne è l’esempio più evidente, diffuso a livello internazionale), che cercano di sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli derivanti dalla crisi climatica e sulla necessità di intraprendere da subito percorsi radicalmente diversi, da parte delle istituzioni e dei singoli individui.

La convergenza delle esperienze – Inoltre, si impone la convergenza delle realtà che operano per la pace al fine di un’opera capillare d’informazione che contrasti quella main-stream e dia altri elementi di conoscenza rispetto a quelli che gli organi informativi “embedded” stanno dando.

Tale convergenza va raggiunta anche attraverso momenti di confronto che, in un clima di reciproco ascolto e rispetto, portino tutti/e a individuare i punti essenziali da condividere (fra cui ci sono sicuramente quelli della riduzione delle spese militari e del porre fine alla produzione ed al commercio delle armi, o per lo meno di ridurle in modo consistente).

Le lotte ed i movimenti in atto devono assumere l’obbiettivo pace insieme a quelli specifici che portano avanti (perché il conseguimento di condizioni di pace li rende maggiormente raggiungibili).

Tutto ciò può essere perseguito anche rafforzando soggetti, come la Società della Cura, che hanno proprio la convergenza di lotte, movimenti, esperienze quale scopo della propria azione.

Importanti, al fine del rilancio del movimento pacifista, sono gli interventi di intellettuali e artisti in grado di influire sul senso comune e sull’opinione pubblica (in altre periodi abbiamo avuto la “colomba della pace” dipinta da Pablo Picasso” e i contributi di filosofi come Bertrand Russell).

Prioritario è quindi, in questo momento, il tema della pace, ma contemporaneamente vanno riproposti obiettivi rimasti nell’ombra o che non hanno avuto la necessaria diffusione al di là di cerchie più o meno ristrette.

La Costituente della Terra – Mi riferisco in particolare alla Costituente della Terra (sostenuta qui in Italia, fra gli altri e le altre, da Luigi Ferraioli, Raniero La Valle, Domenico Gallo, Anna Falcone, Adolfo Perez Esquivel, Riccardo Petrella, Margarethe Von Trotta, Maria Luisa Boccia) che si propone di rilanciare, per contrastare l’attuale situazione di disgregazione e di conflittualità fra gli Stati, l’idea di un Governo Mondiale in grado di portarci fuori dalle secche dei vari nazionalismi e sovranismi (un’ONU veramente democratico basato sulla partecipazione attiva di tutti i popoli del mondo).

Si tratta di un obiettivo utopico, ma che, come tutti gli orizzonti utopici, ci dà una direzione di marcia su cui incamminarci, su cui costruire, tappa dopo tappa, le condizioni perché si realizzi davvero.

L’azione di “resistenza” di fronte alla crisi climatica – Accanto a questo vi è l’indicazione di un’azione capillare che veda coinvolte – a partire dai villaggi, dai paesi, dai quartieri, persino dai caseggiati – istituzioni, realtà di base e di movimento, associazioni, sindacati, singoli individui per far fronte alla crisi climatica ed energetica.

Guido Viale, in un suo articolo, ha ben individuato come si dovrebbe articolare tale azione, a cui nessuno/a dovrebbe rimanere estraneo.

Si tratta di mettere in pratica una vecchia parola d’ordine degli ambientalisti: “pensare globalmente (la Costituente della Terra), agire localmente (l’azione di “resistenza” capillare)”.

Anni fa si tentò di portare avanti un’esperienza che cercava di mettere insieme, a livello di comune, istituzioni, competenze, movimenti.

Era la “Rete del Nuovo Municipio”, in cui confluivano gli enti locali, i contributi specialistici, il mondo variegato dell’associazionismo e dei movimenti e che cercò di mettere in pratica il “bilancio partecipativo”, una modalità lanciata dai Social Forum che intendeva costruire strumenti di partecipazione della cittadinanza all’elaborazione dei bilanci comunali.

La Rete ebbe vita breve, ma i presupposti su cui si basava sarebbero oggi da riprendere.

La ripresa della conflittualità sociale – In una situazione difficile, aggravata dai venti di guerra e dalla pandemia, va colto ogni segnale di recupero della partecipazione, di fuoruscita dal clima di isolamento in cui gli individui si sentono rinchiusi, di ripresa dei conflitti sociali (per rompere un panorama generale di appiattimento – di unanimità sulle posizioni del Governo, che ripropone le ricette europee neo-liberiste per uscire dalla crisi -).

Per questo risultano importanti le manifestazioni promosse dai giovani di “Fridays for future”, gli interventi del movimento delle donne in occasione dell’8 marzo, e non solo, gli appuntamenti lanciati dai lavoratori e dalle lavoratrici della GKN, in primo luogo l’iniziativa a Firenze, di carattere nazionale, del 26 marzo).

Per difendere la democrazia – Ancora una volta, per difendere l’assetto democratico (i rigurgiti fascisti sono sempre in agguato), occorrono partecipazione e conflittualità, elementi essenziali della democrazia costituzionale.

In vista del 25 Aprile vanno riproposti infatti con forza i valori della Costituzione, anche oggi sotto attacco, in forme più o meno subdole (vedi le proposte di regionalismo differenziato, di provvedimenti sulla concorrenza, per la privatizzazione di servizi essenziali).

OGGI E’ ANCORA TEMPO DI RESISTENZA.