Oggi la Torino solidale ha manifestato davanti all’associazione dell’Ordine dei Medici di Torino per protestare contro la decisione di inviare dei medici volontari al CPR Brunelleschi

Come mai la Torino solidale manifesta contro una decisione dell’Ordine che appare a tutti gli effetti una decisione dettata dalla solidarietà? Cercheremo di spiegare al lettore il punto di vista dei manifestanti.

Occorre fare alcune premesse.

Bisogna comunque dare atto alla Commissione Solidarietà dell’Ordine dei Medici di Torino dello sforzo, che è facile supporre molto rilevante, posto in essere per riuscire a realizzare questa iniziativa.

Da un punto di vista etico, ma più ampiamente intersezionale, il CPR è un’istituzione inaccettabile: come in un lager lo Stato vi detiene e concentra gli indesiderati, come in un lager lo Stato priva della libertà personale esseri umani senza che abbiano commesso alcun reato. Per le persone solidali che conoscono l’argomento non ci sono se, non ci sono ma. Emblematico è il rifiuto del Naga di Milano, associazione che da decenni si occupa della salute delle persone migranti, ad inviare volontari al CPR Corelli.

La normativa che attiene ai CPR prevede che le cure urgenti, essenziali e continuative, debbano essere erogate dall’ASL competente, questo è ampiamente trattato nella circolare n. 5 del 2000 dell’allora Ministero della Sanità (ora Ministero della Salute), documento che la Commissione Solidarietà dell’Ordine dei Medici di Torino non può non conoscere.

Normativa implicitamente confermata dal Regolamento CIE 2014 emanato dal Viminale, che intima al Prefetto di effettuare un protocollo d’intesa con l’ASL proprio per l’erogazione delle cure.

Questo sottende che ai medici contrattualizzati dall’Ente gestore spetti, in estrema sintesi, la prescrizione dello sciroppo per la tosse ove serva (e poco più) e di chiamare l’ambulanza o il medico specialista dell’ASL di competenza in caso di bisogno.

In realtà a Torino, come denunciato da associazioni, giuristi e dall’Autorità di garanzia, l’erogazione delle cure essenziali e continuative da parte del SSN nel CPR Brunelleschi non avviene come dovrebbe, cosa che di fatto pone la struttura fuori dal perimetro normativo.

L’Ordine, che in molti casi ha con fermezza richiamato la Regione ai propri doveri in quanto gestore della sanità, qui non lo fa, esulando dal suo ruolo di autorevole stakeholder. Si “riconverte” invece, esercitando una prerogativa tipica del terzo settore: s’incarica in prima persona di inviare dei medici volontari a supporto di quelli contrattualizzati dall’Ente gestore Gepsa s.a., A tale scopo a gennaio sottoscrive un protocollo con la Prefettura e un documento con Gepsa s.a., che secondo un’indiscrezione che potremmo tranquillamente definire di dominio pubblico, introduce nei contratti che stipula con i medici una clausola di riservatezza che travalica il segreto professionale al quale sono soggetti.

E’ altrettanto di dominio pubblico la storia denunciata dall’avvocata Martinelli che riguarda una persona tunisina che è stata detenuta nel CPR di Torino e da lei patrocinata. La persona è stata “curata” per una ferita d’arma da fuoco ad un piede all’interno dell’ambulatorio del CPR.

Questa è una storia emblematica della carenza, o mancanza, delle cure erogate dal SSN, ma c’è di più: il medico in questione (del CPR), o si è “improvvisato” chirurgo “di guerra”, oppure ha agito sul paziente in uno stato di coercizione di fatto, che gli ha impedito d’inviarlo in ospedale o di chiamare un medico ortopedico che lo visitasse. In quest’ultimo caso desta stupore l’assenza di una denuncia anche lasciata trapelare come indiscrezione alla stampa, denuncia che in assenza di dettagli precisi non viola il segreto professionale medico. In ogni caso si tratta di un fatto che desta enormi perplessità sullo stato della sanità del CPR. La persona in questione è stata poi ricoverata per più di un mese al CTO: ospedale d’eccellenza dell’ortopedia torinese.

E qui cominciamo a descrivere, per come lo abbiamo percepito, il pensiero della Torino solidale che 4 mesi fa ha inviato all’Ordine un’inequivocabile lettera aperta, peraltro sottoscritta da molti sanitari e da associazioni di peso nell’ambito torinese. Un ambiente molto ben informato sulla questione che attiene al centro per rimpatri torinese, sul quale sono accesi molti riflettori.

La decisione dell’Ordine risulta inspiegabile: l’insufficiente, e fino a poco tempo fa praticamente assente erogazione delle cure essenziali e continuative da parte del SSN pone, come già detto, il CPR fuori dal perimetro normativo e per motivi strettamente sanitari. L’Ordine non ha sollecitato la Regione a far sì che l’ASL le garantisca e neppure chiede la sospensione delle attività della struttura fino al ripristino delle normative sanitarie.

Gepsa s.a., società per azioni a scopo di lucro, multinazionale leader della gestione di carceri private, che garantiva 144 ore settimanali di permanenza all’interno della struttura dei propri medici contrattualizzati, dal 2019 le riduce a 42, e questo nell’assoluto silenzio. Opacità e silenzio sono la norma nell’ambito del CPR.

L’ordine stipula l’accordo con Gepsa a gennaio del 2021, Moussa Balde muore a maggio. Ora l’Ordine dichiara che non ha responsabilità nella morte del giovane guineiano. Da ciò che ci risulta nessuno fin’ora ha accusato i suoi volontari di responsabilità nella sua morte: non è proprio questo il punto.

Un mese fa la Garante di Torino, Dott.ssa Gallo, raccomanda: “Una migliore gestione sanitaria all’interno del CPR Brunelleschi di Torino, una maggiore presenza dell’ASL soprattutto per quanto riguarda l’assistenza e il follow-up psichiatrico, che le visite d’idoneità alla detenzione vengano effettuate dall’ASL”.

Dopo la morte di Moussa Balde tutta la cittadinanza torinese è davvero scossa, ci sono due eventi di estrema rilevanza: la manifestazione dei giuristi davanti alla Prefettura e il suo funerale alla moschea al quale hanno presenziato oltre alla Comunità Guineuiana, il Comune, l’Arcidiocesi, La Diaconia Valdese, la Comunità Ebraica, l’Auorità garante, il Comitato Interfedi, l’ASGI. In nessuna di queste occasioni è presente un medico che rappresenti l’Ordine.

Contrariamente alla morte di Feisal Hossain per cui si pronuncia auspicando che la Magistratura faccia luce, in occasione della morte di Moussa Balde l’Ordine si chiude nel silenzio.

Tutti questi aspetti non sfuggono alla Torino solidale, ambiente in cui tutti conoscono tutti. Quel silenzio, che si colloca nell’alveo dell’opacità che circonda il CPR, non può non risultare odioso.

A seguito delle morte di Moussa la Magistratura ispeziona il CPR e apre un fascicolo con un’ipotesi di reato d’istigazione al suicidio contro ignoti.

Dopo pochi giorni la PM Salvati ritorna al CPR e acquisisce un ingente numero di cartelle cliniche, mutando l’ipotesi di reato in omicidio colposo con due indagati: la direttrice e il direttore sanitario, entrambi dirigenti di Gepsa s.a.

Non si capisce quindi cosa ci stiano a fare i volontari all’interno del CPR: non hanno neanche possibilità di accesso alle cartelle cliniche? Non si sono accorti di nulla? Oppure sanno: in questo caso l’Ordine ha la necessaria autorevolezza per pronunciarsi pubblicamente, ma non lo fa.

Certo, ora c’è un’indagine in corso, ma un conto è una dichiarazione seppur cauta, ben altro conto è il silenzio, e prima dell’indagine? e poi: perché il silenzio? A protezione di chi o cosa? La solidarietà torinese si aspettava che l’intervento dei volontari portasse ad un contributo di trasparenza del sistema, non certo ad un replicare dell’opacità che ne può favorire di fatto “l’impunità”.

Nel comunicato che l’Ordine ha emesso prima della manifestazione afferma: “L’Ordine auspica il superamento dei Centri per il rimpatrio, ma in ogni caso è un dovere deontologico dei medici alleviare la sofferenza e tutelare la salute sempre e dovunque, anche all’interno di queste strutture”.

Purtroppo un autogol, di fatto sta dicendo: “Il CPR deve chiudere ma”: quel “ma” è inaccettabile per la Torino solidale, non ci dev’essere un “ma”, come non ci dev’essere ad esempio un “non sono razzista ma”, o un “non sono un omofobo ma”.

L’Ordine auspica il superamento “ma” rinuncia ad esercitare la prerogativa di un’autorevole moral suasion affinché il CPR funzioni, almeno dal punto di vista sanitario, a norma di legge.

A quel punto le cure sarebbero state finalmente garantite dall’ASL, tra l’altro, al contrario dei volontari, indipendente da Prefettura e Gepsa e ciò non è banale.

A rigor di logica: o l’Ordine è intervenuto impropriamente su una questione strutturale con un criterio emergenziale, oppure in presenza di un reale problema emergenziale, peraltro non dichiarato, non appare percorsa la strada per la risoluzione dell’emergenza, ovvero l’esercizio delle cure essenziali e continuative nel CPR da parte dell’ASL.

Al di là della certezza delle buone intenzioni della Commissione Solidarietà dell’Ordine, non si può non prendere atto di una serie di errori, non ultimo quello di aver emesso un comunicato stampa prima della manifestazione nell’evidente tentativo di disinnescarla. La soluzione, per la Torino solidale, non può essere l’affermazione di buone intenzioni, ma un’analisi di metodo.

Come detto poc’anzi, nell’ambiente solidale tutti conoscono tutti, la Commissione appare chiusa in una sorta di echo chamber, sottovalutando, purtroppo, l’estrema delicatezza dell’argomento e creando una spaccatura che non fa bene alla solidarietà torinese.

Il rischio concreto è quello di aver creato una ferita in un ambiente che da alcuni anni a questa parte ha sempre stimato l’Ordine e condiviso il suo operato, ferita che andrebbe quanto prima curata.