In occasione del summit Finance in Common, ospitato da Cassa Depositi e Prestiti, ReCommon e Oil Change International, con il sostegno di 44 realtà della società civile italiana e internazionale, hanno scritto a Mario Draghi per chiedere il suo impegno personale affinché la SACE smetta di finanziare progetti a combustibili fossili responsabili del riscaldamento globale e dei conseguenti cambiamenti climatici.

L’agenzia italiana per il credito all’esportazione, di cui il Presidente del Consiglio dei Ministri è stato presidente negli anni ’90, è tra le agenzie pubbliche più attive nel finanziamento dei combustibili fossili e negli ultimi anni ha aumentato il suo sostegno a progetti e aziende del settore oil&gas. Da quando è stato firmato l’Accordo di Parigi sul clima, almeno il 20% del suo portafoglio è andato al comparto oil&gas per promuoverne l‘espansione a livello globale: in cinque anni SACE ha garantito più di 18 miliardi di dollari per nuovi progetti di combustibili fossili.

A giorni SACE renderà pubblica l’approvazione di un significativo sostegno agli esportatori coinvolti nel gigantesco progetto Arctic LNG-2, mentre il governo francese vorrebbe prenderne le distanze, per non parlare dell’approvazione delle garanzie per i progetti Coral South e Mozambique LNG e di quella ancora in sospeso per Rovuma LNG: megaprogetti di gas che stanno provocando impatti negativi sia per l’ambiente che per la popolazione del Mozambico. Come rilevato durante la puntata di Presa Diretta “Petrolio, il tempo perduto”, è in corso anche la valutazione preliminare per il supporto all’oleodotto EACOP, che taglierebbe per 1.443 chilometri l’Uganda e la Tanzania.

Il continuo sostegno di SACE a nuovi progetti legati ai combustibili fossili è incompatibile con il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi. Inoltre, come ribadito nuovamente nei giorni scorsi dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, non ci possono essere investimenti in nuove forniture di combustibili fossili per rispettare l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C.

«SACE è sempre stato uno dei pilastri su cui poggia il Sistema-Italia e in seguito alla pandemia il suo ruolo è divenuto ancora più centrale, scegliendo quali imprese e settori supportare attraverso i suoi programmi» commenta Simone Ogno di ReCommon, «Un supporto che è andato il più delle volte ai soliti noti, i colossi italiani dell’industria fossile italiana. E ora il governo le ha affidato le chiavi per il Green Deal italiano: un paradosso sconcertante», aggiunge Ogno.

Il governo del Regno Unito – che condivide la presidenza della COP26 con l’Italia – ha già annunciato la sua decisione di porre fine al sostegno pubblico internazionale ai combustibili fossili, compresi i finanziamenti alle esportazioni. Inoltre, il Regno Unito e la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) stanno cercando di lanciare una dichiarazione congiunta insieme ad altri governi e istituzioni finanziarie pubbliche per ottenere uno stop ai finanziamenti pubblici per i combustibili fossili alla COP26.

«Se il premier Draghi prende sul serio il limite di 1,5°C per il riscaldamento globale, deve porre immediatamente fine ai nuovi finanziamenti alle esportazioni e ad altre forme di finanziamento pubblico per i progetti legati ai combustibili fossili. La scienza è stata chiara sul fatto che non ci possono essere più investimenti in nuovi progetti fossili in uno scenario di 1,5°C. L’Italia dovrebbe unirsi al Regno Unito e alla BEI nell’impegno a porre fine ai finanziamenti pubblici per i combustibili fossili», conclude Laurie Van der Burg di Oil Change International.

Luca Manes
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