Milano, venerdì sera, centro città: Università Statale aperta, bellissima. A 31 anni dal movimento della Pantera, quasi mi commuovo.

Un centinaio di persone, in gran parte giovani, restano per quasi due ore ad ascoltare la descrizione di quello che nessuno di noi ha potuto vedere da vicino: il Centro di Permanenza e Rimpatrio di via Corelli a Milano.

Il senatore De Falco, le due attiviste della rete No CPR Teresa Florio e Nadia Bovino e l’avvocato Losco ci hanno accompagnati dentro questo centro inaccessibile. Una visita virtuale, iniziata con alcune immagini proiettate, rubate da qualche cellulare sfuggito alle grinfie delle numerosissime guardie di tutti i tipi (polizia, carabinieri, guardia di finanzia, esercito) presenti dentro al CPR.

Una delle più grandi vergogne di questa città, relegata di fianco alla tangenziale, un luogo oscuro e oscurato, dove può succedere di tutto senza che si sappia, una terra di nessuno. Un luogo da teatro dell’assurdo, dove non solo la legge, ma anche la logica e il buon senso, restano fuori dai cancelli.

Un luogo dove, con la scusa della privacy degli ospiti (!!!), nulla è permesso, ma dentro rimbalzano le immagini di decine di telecamere e i servizi igienici e le docce non hanno le porte. Già, quelle porte che mancano erano state denunciate dal garante nazionale come dalle note del senatore, eppure continuano a mancare. Ieri si è ipotizzata una spiegazione: forse mettere le porte farebbe sì che i suicidi, che spesso i reclusi tentano, riuscirebbero nel chiuso di un gabinetto? E allora, certo senza dire la motivazione, è bene lasciare tutto aperto e fare in modo che questa umanità relegata sotto il tappeto, si salvi a vicenda. Solo tra loro si salvano, nessuno dei pochissimi operatori farebbe in tempo a sollevare un corpo appeso prima che il respiro si spenga.

I relatori hanno ripreso il dossier “Delle pene senza delitti”, stampato in formato libricino, scaricabile online e pubblicato in seguito alle visite a sorpresa di giugno. Il senatore De Falco ha promesso che tornerà, come cercherà di attivare altri parlamentari su questa questione, troppo spesso dimenticata. Dall’altra parte il movimento milanese continuerà a denunciare l’esistenza di questi luoghi dai quali sgorgano solo sofferenza, rabbia, dolore e angoscia. Chiederà nuovamente conto ad un sindaco, Sala, sorridente e fresco di rielezione, che in fondo (è stato ricordato da un intervento del pubblico) firma i TSO, quindi non può far finta di non sapere. In passato se ne è lavato mani e piedi e da allora fa finta di nulla.

Alla fine tra relatori e pubblico è ancora maggiore la coscienza di quanto dovremo incalzare sempre più un potere che nei CPR manifesta il suo lato più duro, ingiusto e violento. Se passano i CPR può passare qualsiasi cosa, questo è chiaro. È necessario svegliare i grandi media, la Rai, l’opinione pubblica: le poche storie, raccontate ieri sera, di persone che sono passate da quel lager (ma Nadia avrebbe potute raccontarne decine di altre) sfonderebbero in qualsiasi pagina di quotidiano, “bucherebbero” in una trasmissione televisiva; quindi, è proprio questa la coltre di silenzio da rompere. Non c’è molto da aggiungere: basta descrivere la realtà, così come è, nuda e cruda, ingiusta e vergognosa.

Domenica 10 ottobre è la Giornata mondiale della salute mentale. Come tollerare l’esistenza di un luogo che genera sofferenza psichica, lasciando segni e ferite che richiederanno anni per essere sanate? Una volta nei cortei si sentiva gridare “Pagherete caro, pagherete tutto”. Forse, visto come stiamo trattando il pianeta, gli immigrati, il prossimo, c’è da dire ora: “Pagheremo caro, pagheremo tutto”.

Alle 22,30 l’assemblea si chiude con un appello. La rete Mai più lager-No CPR si rivolge ai tanti giovani presenti in sala: “Dateci una mano, da più di tre anni lavoriamo su questa vicenda e ora ci aspetta un anno duro. L’ente gestore del CPR di via Corelli 28 è cambiato e quello subentrato ci fa dire che siamo passati dalla padella nella brace. Abbiamo bisogno di voi, siete e sarete indispensabili.”

Molti applausi, di riconoscenza e per farci forza.