Non si sono ancora spente le polemiche sulla sentenza del tribunale di Palermo sulla trattativa Stato mafia. Sulla vicenda sono già intervenuto sottolineando come sia pericoloso e fuorviante giudicare le sentenze fuori dal loro ambito specifico. Sappiamo, per esempio, come il verdetto assolutorio abbia provocato le reazioni entusiaste della destra sulla lealtà degli uomini dello Stato, ingiustamente accusati da certa magistratura “di sinistra”. Ma cosa sarebbe successo in caso di esito diverso del processo? E’ probabile che a esultare sarebbe stata la (finta)-sinistra istituzionale al grido: “Giustizia è stata fatta! I colpevoli pagheranno!”, che può anche essere un modo per chiudere il discorso su quell’insieme di opacità istituzionali, fatte di possibili scelte occulte, connivenze, alleanze politiche o anche solo interessati silenzi, che stanno dietro (o potrebbero stare dietro) le scelte operative degli uomini dello Stato che agiscono sul campo. Insomma, per dirla tutta, gli eventuali condannati potrebbero  essere usati (il condizionale è d’obbligo) come capri espiatori di responsabilità più complesse e più specificatamente politiche.

Mi viene in mente a tal proposito il vecchio discorso sui “servizi segreti deviati”. Ma “deviati” in che senso? e rispetto a che? Rispetto ai loro compiti istituzionali? Può darsi. Almeno rispetto a quelli previsti sulla carta. Ma ricordiamo qui di passaggio che il buon vecchio Churchill diceva espressamente che i servizi esistono per fare il lavoro sporco che la politica non può fare esplicitamente.

Insomma io non credo che il funzionario dello Stato, specialmente chi ha compiti investigativi e di polizia, anche quando pone in essere comportamenti ed atti illeciti lo faccia per finalità criminali di tipo personale. Almeno nella stragrande maggioranza dei casi, e a parte fatti specifici di corruzione o di interessi personali che sono ovviamente sempre possibili, egli agisce, nel bene o nel male, come terminale di un processo decisionale complesso e variegato che viene comunque dall’alto.

Anche rispetto alla nostra vicenda, mi è capitato di leggere un interessante articolo, in cui i lunghi anni di attività entro gli apparati dello Stato degli imputati assolti, venivano scandagliati con grande dovizia di particolari, per metterne in risalto una lunga serie di atti e comportamenti illeciti, sui quali ovviamente sospendo il giudizio, non avendo il sottoscritto sufficienti informazioni. Quello che tuttavia ho trovato sorprendente è stato il titolo che sottolineava: «Ma quali servitori dello Stato…!».

Ora, ammesso per pura ipotesi che quanto riportato nell’articolo rispondesse a verità (cosa sulla quale, come detto non mi pronuncio) scegliere quel titolo equivale a dire che i presunti servitori dello Stato in realtà sono dei “traditori”, e che lo Stato in quanto tale, e cioè in tutta la variegata complessità delle sue articolazioni e senza eccezioni, deve essere assolto. Cosa che si può anche legittimamente sostenere qualora la si argomenti con la necessaria accuratezza. Ma l’articolo tralasciava completamente di toccare la delicata questione, lasciando un dubbio irrisolto: e se il titolo giusto invece dovesse essere “I perfetti servitori dello Stato”? Che sarebbe come dire, in sostanza e per essere chiari, che le colpe del killer non assolvono quelle, forse anche maggiori, del mandante (laddove ovviamente si accerti che vi sia un killer e vi sia un mandante).

A questo punto tuttavia è necessario fare due dovute precisazioni. La prima riguarda la constatazione che, dato per assodato che la ricostruzione storica dei fatti che hanno ancora nel presente particolare rilevanza politica, deve essere fatta innanzitutto con le armi della critica, per l’appunto, politica, questo non significa che questi stessi fatti non possano avere anche una significativa valenza criminale, sia nel senso etico del termine, che mette in gioco responsabilità collettive e, per così dire, di più ampio respiro storico e sociale, sia eventualmente nel senso giuridico dell’accertamento di circostanze, di cui singoli individui sono chiamati personalmente a rispondere. Giusto per fare un esempio storico di natura globale: Le molte guerre che definirei di natura imperiale ed imperialista (almeno secondo il mio giudizio, per l’appunto “politico”) sostenute dagli Stati Uniti dalla Corea al Vietnam, dall’Iraq all’Afghanistan avevano evidentemente motivazioni di natura geopolitica, senza le quali non sarebbero comprensibili, ma ciò non significa che non abbiano avuto, per i lutti e le distruzioni provocate, anche degli evidenti esiti criminali.

La seconda precisazione riguarda il fatto che laddove si dovesse arrivare a parlare di crimini compiuti dallo Stato, bisogna comunque avere l’accortezza di non pensare che ci si stia occupando di un “monolite”, con un solo cervello pensante, che impartisce ordini chiari e perentori ad organi periferici silenziosi ed ubidienti. Sarebbe oltretutto una posizione troppo facile da smontare.

Lo Stato è innanzitutto un complesso plurale e variegato di istituzioni ed apparati con specifica organizzazione e con finalità e pratiche molto diverse, alcune delle quali, per loro stessa natura, sono molto distanti dalla possibilità di logiche oscure o addirittura illegali. Anche se tali complessità sono correlate e complementari. In secondo luogo lo Stato è sempre caratterizzato, anche trasversalmente alle sue molteplici istituzioni, da una conflittualità politica e da un complesso di interessi che spingono verso scelte e soluzioni diverse. Ciò non toglie tuttavia che “classi”, “ceti” e “corporazioni” dominanti, che detengono la governance e il comando sulla società civile, non abbiano interesse e forza materiale per riprodurre l’esistente con tutte le sue storture e le sue ingiustizie sociali. Nelle situazioni e nei momenti particolarmente critici e di difficoltà, questo spinge alla ricerca di soluzioni occulte e spesso illegali.

Il perpetrarsi nel tempo di queste situazioni, solo apparentemente anomale, ha prodotto nella storia della nostra Repubblica almeno due vicende parallele che riguardano il rapporto Stato-mafia e quello servizi segreti-terrorismo nero. Specialmente per quanto riguarda la questione mafia, c’è una storia che, almeno a me, appare abbastanza chiara fino al maxi processo, e che diventa alquanto oscura nella vita della cosiddetta seconda repubblica, ivi compreso un’antimafia di regime, aggressiva, declamatoria e liberticida che fa spesso vittime tra gli innocenti, e di cui non si vedono invece veri successi contro il malaffare organizzato.

Per questa ragione capire esattamente cosa sia stata  la cosiddetta “trattativa” è fondamentare per ricostruire la nostra storia recente. Dove capire significa andare molto oltre la considerazione di vicende giudiziarie, che peraltro non sono al momento neppure concluse.

 

P.S. Proprio mentre finivo di ultimare l’articolo di cui sopra è giunta la notizia della condanna di Mimmo Lucano a 13 anni di carcere, che mi impone una ulteriore precisazione.

Lo scopo dello scritto era quello di chiarire come le sentenze della magistratura non possono essere usate per una esaustiva comprensione della storia a causa innanzitutto della loro specificità limitata, condizionata da strutturali finalità esclusivamente giuridiche. 

Nell’articolo tuttavia si precisava anche che le istituzioni statali, ovviamente magistratura compresa, sono costantemente attraversate dallo scontro politico che nella sua caratterizzazione generale è perlopiù interno alle logiche dominanti e alle posizioni di potere. E’ in questo senso che vanno lette molte delle decisioni che vengono dalle istituzioni, ivi comprese quelle della magistratura, che anzi per la rilevanza sociale (e politica) dei fatti che spesso vanno a giudizio, sono particolarmente esposte a questo tipo di devianze. 

Limiti interpretativi della realtà storica legati alla natura particolare della pratica giuridica, e visioni politiche di parte che condizionano, a volte anche pesantemente, determinate sentenze, sono cose diverse ma che riguardano egualmente la vita e l’operato della magistratura.

La sentenza di condanna di Mimmo Lucano ha tutta l’aria di una scelta con un evidente significato politico.

 

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