Chissà cosa avrà pensato l’artista Maria Lai dall’altrove in cui si è rifugiata, vedendo ieri passare di mano in mano sotto il carcere Le Vallette di Torino un Nastro Celeste, esplicito riferimento a quella magnifica impresa collettiva, che nel settembre del 1981 venne orchestrata ad Ulassai con il titolo Legarsi alla Montagna… Vedendosi insomma associata a un movimento in resistenza contro una Grande Opera che da trent’anni sta mettendo sotto assedio l’intera Val di Susa.

Ci piace pensare che avrebbe fatto un bel sorriso, con tutte le rughette in evidenza intorno a quei suoi occhietti da bambina curiosa anche quando era già anziana. Ci piace immaginare che avrebbe molto amato la passione, il piacere di affermarsi come comunità, l’inesausto sforzo di costruzione, di presidio in presidio, di casetta in casetta. E senz’altro avrebbe specialmente amato quel capanno un po’ sghembo, con l’angolo acuto del tetto virato chissà perché verso la montagna, che venne costruito sul tetto dell’ex-autoporto di San Didero in pieno lockdown, con la partecipazione proprio di tutti – capanno così intimo, strano, poetico, e non più accessibile da quando è stato requisito dalle Forze dell’Ordine in vista di un quanto mai invasivo ‘nuovo’ auto-porto. E le sarebbe piaciuto capire che proprio di fronte a quell’area ormai così intollerabilmente militarizzata è sorto un capanno ben più grande e accogliente, vero e proprio Tempio di Convivialità – e che qualche sera fa sul piazzale antistante il fortino i/le Giovani NoTav si sono esibit* nella performance Un Violador en tu camino, contro la violenza sulle donne essendo proprio la stessa che aggredisce così brutalmente Madre Terra: “…I pri-gio-nie-risie-te voi…  Nessuuuna Giu-sti-zia, Nessuuuna Pace…”.

E sicuramente sarebbe stata felicissima di sapere della raccolta in progress proprio in queste ore di decine e decine di lenzuola, in vista dell’evento collettivo che il prossimo week end, 18 e 19 settembre, partirà dalla cava di Caprie per denunciare la totale insostenibilità di TUTTO il TAV-progetto, anche per la bassa valle: con decine di macchine da cucire pronte a inaugurare sabato mattina il collettivo evento Cuciamo la Lotta, con tutti quei lenzuoli intrisi di incubi e di sogni che alla fine diventeranno un’enorme bandiera, la prova tangibile di una comunità che non si arrende e anzi si riafferma nel fare-insieme.

E chissà che, passando in rassegna tutti questi affanni da lassù, non le sarebbe venuta voglia di replicare anche in Val di Susa quel capolavoro che fu appunto Legarsi alla Montagna, opera collettiva che la grande Maria Lai orchestrò esattamente 40 anni fa, 8 settembre 1981, nel piccolo comune di Ulassai dove si era rifugiata, un pugno di case all’ombra di una montagna, territorio penalizzato dalle frane, in qualche modo ostile. Un nastro celeste lungo ventisei chilometri, ricavato da una partita di tessuto ridotto a striscioline, che “di mano in mano, lanciato da una casa all’altra, annodato e addobbato”, riuscì a un certo punto a legare insieme tutte quante le case. E le case vennero poi legate a vari punti della montagna, nell’opera d’arte più partecipata e comunitaria che mai fosse stata concepita.

Emozionante rivedere adesso il filmato che documenta quell’evento (lo trovate in rete, opera di Tonino Casula), per quel senso di collettiva eccitazione, palpabile fratellanza nell’azione che nell’arco di tre giorni richiese la preparazione del nastro nelle diverse metrature, l’annodarsi dei capi a questo o quel balcone, lampione, transenna, oltre ai ganci che fu necessario attrezzare nella roccia. Evento che davvero riuscì a legare insieme tutti quanti, donne e uomini, anziani e ragazzini, superando anche le inimicizie tra vicini, tutti intenti nei loro compiti, tutti registi a pieno titolo della stessa Opera, uniti come mai era successo prima.

Ed ecco che appunto un Nastro Celeste intriso di tutti questi valori nel ricordo della Lai, è passato di mano in mano ieri tra i tanti che hanno aderito all’ennesimo presidio organizzato dal Comitato delle Mamme in Piazza per la Libertà di Dissenso, nel piazzale antistante il Carcere di Torino. L’idea è venuta alle Donne della storica Biblioteca UDI di Palermo, che già dall’8 settembre avevano fatto circolare un appello per richiamare l’attenzione sull’accanimento giudiziario che trattiene dietro le sbarre l’attivista Fabiola De Costanzo – e in vista dell’udienza prevista in Tribunale proprio oggi (14 settembre) per la richiesta di una mitigazione di pena, dal carcere duro ai domiciliari, o così speriamo. Il verdetto potrebbe arrivare fra qualche giorno, e possiamo solo augurarci un barlume di buon senso dopo tanta gratuita ingiustizia.

Ma intanto per Fabiola sono già trascorsi nove durissimi mesi, durante i quali è stata più volte privata della possibilità di comunicare con i suoi affetti più cari, e per ben due volte è dovuta ricorrere allo sciopero della fame per far valere i suoi diritti. E un anno esatto è trascorso per Dana, da quel 17 settembre che l’anno scorso vide l’arrivo delle Forze dell’Ordine a Bussoleno, e l’uscita della Lauriola da una casa che non ha mai più potuto rivedere, nonostante a lei i domiciliari siano già stati concessi da qualche mese – però a Torino, ma guarda un po’ il dispetto! Come se il fatto di tornare in quel che sarebbe il suo domicilio a Bussoleno, potesse rappresentare chissà quale pericolosità sociale, data la vicinanza degli esponenti ‘storici’ del Movimento. E su questo punto, sull’umiliazione estesa a un’intera comunità ritenuta ‘laboratorio di antagonismo’ solo perché in dissenso alla Grande Opera, si è più volte pronunciata la stessa sindaca di Bussoleno, Bruna Consolini.

Sia per Dana che per Fabiola l’imputazione è la stessa che “motivò” la galera anche per Nicoletta Dosio un paio di anni fa, nonostante l’età non più giovane e non pochi problemi di salute: aver partecipato in data 3 marzo 2012 all’occupazione (peraltro brevissima, il tutto durò meno di mezz’ora) di un casello autostradale lungo la A32 Torino-Bardonecchia. Per la Sitaf, la società che gestiva i pedaggi e ritenuta complice dei promotori della Torino-Lione, il mancato-guadagno ammontò a circa € 750, un’inezia che il Movimento NoTav ha già da tempo rimborsato. E andrebbe tra l’altro sottolineato il momento di gravissima tensione che il popolo della Val di Susa viveva in quel periodo, dopo il ricovero d’urgenza dell’attivista Luca Abbà, precipitato da un traliccio della luce dove si era inerpicato, inseguito (roba da matti, roba da non credersi) da un celerino: coma profondo, in bilico tra la vita e la morte per giorni, per aver tentato di difendere la Val Clarea dall’ennesima occupazione all’alba, plotone di militari alle prese con gli odiati jersey per le recinzioni… ci sono situazioni che segnano la vita di una comunità in resistenza in modi così punitivi e crudeli, così evidenti!

E invece la procura di Torino su quella storia non ha mai smesso di accanirsi. Un anno a Nicoletta Dosio per il crimine di aver tenuto in mano lo striscione (e solo sul finale la concessione dei domiciliari, nonostante da febbraio 2020 impazzasse il Covid) ma già si prevedono nuove penalità per le troppe ‘evasioni’ che si sarebbe concessa una volta a casa. Due anni a Dana Lauriola per l’ancor più grave crimine del megafono, per spiegare le motivazioni di quella protesta agli automobilisti. Altri due anni a Fabiola per aver distribuito i volantini, oltre a chissà quali altre nefandezze accumulate in precedenza.

Un accanimento giudiziario che immagineremmo possibile in un regime totalitario, non certo in Italia, dove il dissenso dovrebbe essere un Diritto, garantito dall’Art 21 della Costituzione. Dove la detenzione dovrebbe essere comminata per reati di provata gravità, e rappresentare un momento di recupero sociale… E invece eccoci informati dell’ennesimo episodio di barbarie (come se non bastassero le violenze e le torture di Santa Maria Capua Vetere) accaduto il 3 settembre scorso al carcere di Rebibbia di Roma: il caso di una detenuta costretta a partorire senza altra assistenza che quella offerta dalla sua compagna di cella, che vergogna – come non ha mancato di denunciare con tutto il fiato che poteva avere in gola l’attivista che ha inaugurato il Presidio di ieri alle Vallette.

 

Ma per tornare al Nastro Celeste di Maria Lai e per spiegare almeno un pò come è arrivato al Presidio di ieri… la chiave è proprio il filo, in tutti i suoi valori metaforici e più ancora reali. Il filo che lega, la trama che si crea per chissà quale disegno che abbiamo già dentro, le relazioni che a un certo punto si intrecciano tra donne che pur distanti chilometri e chilometri si riconoscono sorelle. Un Nastro Celeste insomma che permette di ricostruire quindi anche l’incontro che a un certo punto si è creato nei primi mesi di quest’anno tra le Donne della storica Biblioteca UDI di Palermo e il Comitato della Mamme in Piazza per la Libertà di Dissenso di Torino. Era periodo di lockdown, vietato spostarsi se non per fondatissimi motivi. Ed ecco che a un certo punto ci si guarda in rete: la costanza, la determinazione, la convinzione con cui il Comitato delle Mamme di Torino persistono nel denunciare l’ingiustizia di quelle condanne, per Dana Lauriola e per Fabiola, catturano l’attenzione di alcune donne di Palermo. Partono le prime chat, ci si incontra su skype – e in fondo è proprio come lanciarsi un nastro da balcone a balcone, e annodare il bandolo alla ringhiera per sentirsi collegate, per via del nastro-ponte che c’è, è lì.

E insomma è successo che, nonostante quei1500 km di distanza, le Donne della Biblioteca UDI di Palermo hanno trovato il modo di associarsi alla puntuale, robustamente gridata, mai stanca protesta della Madri di Torino. Ogni santo giovedì, nei mesi più cupi dell’inverno, eccole arrivare, sotto la luce livida di quei quattro lampioni, armate di megafono, altoparlante, telefonini per ritrasmettere in viva voce anche i messaggi di solidarietà provenienti da altri Comitati di Madres, da Cagliari, da Melendugno, da Roma – e sempre più spesso, anche da Palermo. Così è partita una prima lettera/raccolta firme in favore di Dana Lauriola, subito ripresa da vari quotidiani. Era fine marzo e quando a metà aprile il Tribunale di Torino riesaminò il caso di Dana, le vennero concessi i domiciliari. Vietato incontrarsi con chiunque che non fosse strettamente motivato da ragioni di lavoro, consentito uscire solo per recarsi al lavoro, svolgere i compiti previsti, fare la spesa– ma fuori almeno dalle sbarre.

Un simile appello, anzi persino più bello e sentito, è partito la settimana scorsa per Fabiola. E questa volta, come già abbiamo detto, nel segno di un’Arte che si fa Opera proprio perché “luogo dello scambio, strumento di mediazione culturale, sociale e perciò autenticamente ‘politico’ se la politica è lo spazio della relazione” – come sarebbe piaciuto a Maria Lai.

Il testo integrale dell’appello, con l’elenco delle adesioni raccolte fino ad ora, è stato letto durante il Presidio di ieri pomeriggio dalle Mamme in Piazza– ed eccolo di nuovo nel link già uscito qualche giorno fa su questo nostro sito che è stato già ripreso da molti altri. https://www.pressenza.com/it/2021/09/udipalermo-un-nastro-per-fabiola/

Contatti email per aggiungere anche la tua firma se non lo hai ancora fatto: mammeinpiazza@libero.it, oppure bibliotecadonneudipalermo@gmail.com

 

Partecipiamo tutti e tutte!