“Mai più tornerò sui miei passi

Sono una donna che si è destata

Mi sono alzata e sono diventata una tempesta

che soffia sulle ceneri

dei miei bambini bruciati

Dai flutti di sangue del mio fratello morto sono nata

L’ira della mia nazione me ne ha dato la forza

I miei villaggi distrutti e bruciati mi riempiono di odio contro il nemico.

Sono una donna che si è destata,

La mia via ho trovato e più non tornerò indietro.

Le porte chiuse dell’ignoranza ho aperto

Addio ho detto a tutti i bracciali d’oro

Oh compatriota, io non sono ciò che ero.

Sono una donna che si è destata.

La mia via ho trovato e più non tornerò più indietro.

Ho visto bambini a piedi nudi, smarriti e senza casa

Ho visto spose con mani dipinte di henna indossare abiti di lutto

Ho visto gli enormi muri delle prigioni inghiottire la libertà

nel loro insaziabile stomaco

Sono rinata tra storie di resistenza, di coraggio

La canzone della libertà ho imparato negli ultimi respiri,

nei flutti di sangue e nella vittoria

Oh compatriota, oh fratello, non considerarmi più debole e incapace

Sono con te con tutta la mia forza sulla via di liberazione della mia terra.

La mia voce si è mischiata alla voce di migliaia di donne rinate

I miei pugni si sono chiusi insieme ai pugni di migliaia di compatrioti

Insieme a voi ho camminato sulla strada della mia nazione,

Per rompere tutte queste sofferenze, tutte queste catene di schiavitù,

Oh compatriota, oh fratello, non sono ciò che ero.

Sono una donna che si è destata.”

Meena Keshwar Kamal, meglio conosciuta come Meena, femminista afgana e attivista per i diritti delle donne, venne uccisa da agenti della polizia segreta afghana o dai loro complici fondamentalisti a Quetta, in Pakistan, il 4 febbraio del 1987. Aveva 31 anni. Inizia così, con le parole della sua poesia più nota, il presidio all’Arco della Pace in favore delle donne afghane organizzato dal CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), al quale hanno partecipato più di un centinaio di persone.

Sotto il sole estivo i partecipanti ascoltano attenti e distanziati gli interventi che si susseguono dal palco. Gli applausi scandiscono le pause, gli slogan sui cartelli la volontà di non girarsi dell’altra parte. Vengono lette alcune testimonianze dirette arrivate da Kabul:

Malgrado tutte le insicurezze, le minacce, gli attacchi, il nostro intento principale è aiutare i rifugiati interni. Ad agosto si sono riversati a Kabul, specialmente donne, ragazze e bambini. Stiamo procurando loro un posto per dormire, coperte, cibo, acqua, cure mediche, l’essenziale e provviste. Portiamo latte, biberon e pannolini per i neonati. Vestiti, mascherine e prodotti igienici per le donne. A causa del caldo eccessivo ci sono molti casi di diarrea e vomito. Queste famiglie stanno vivendo in condizioni terribili, sotto il sole cocente e assembrate in parchi e strade senza nessuna precauzione contro il covid19. Si raccontano a vicenda storie orribili – ad esempio alcuni hanno perso uno o due dei loro figli perché sono fuggiti al buio e ora i genitori non sanno dove siano finiti. Molti erano così poveri e smarriti che non avevano idea di come raggiungere Kabul e hanno pagato 10 volte il prezzo sul mezzo per viaggiare, dato che non sapevano quanto venisse normalmente a costare. Non hanno neanche i soldi per tornare al loro villaggio ora che sanno che non c’è più la guerra.

Alcuni dicono che i loro raccolti e le case sono state bruciate e non hanno nessun posto in cui tornare. Le banche sono chiuse e non ci sono soldi in circolazione. Molte famiglie hanno fame perché di norma guadagnano per sopravvivere giorno per giorno e ora non possono lavorare; scuole e uffici sono tutti chiusi. La situazione continua a peggiorare, con l’economia e le infrastrutture devastate”. 

L’invasione dell’Afghanistan da parte degli USA e dei paesi NATO, fatta con il pretesto di sconfiggere il terrorismo e liberare le donne, è stata un gigantesco fallimento. La guerra ha causato 241.000 vittime.

Oggi l’Afghanistan produce il 90% dell’eroina mondiale, la corruzione all’interno delle cosiddette istituzioni afghane ha raggiunto livelli spaventosi (l’Afghanistan è al 165o posto su 180 paesi nelle statistiche di Transparency International), le infrastrutture sono pochissime e carenti, mancano scuole e ospedali.

In questi 20 anni di occupazione militare gli USA hanno speso 2.300 miliardi di dollari, la Germania 19 miliardi di euro e l’Italia 8,7 miliardi di euro.

La “liberazione delle donne” non è stata garantita, denuncia il Cisda: l’87% delle donne afghane è ancora analfabeta; quelle che hanno avuto la possibilità di studiare e lavorare costituiscono un’esigua minoranza, usata dall’Occidente per dimostrare il successo dell’occupazione.

Quanto al terrorismo, oggi in Afghanistan è più che mai rampante; il paese è stato regalato ai talebani, dal 2015 è attiva la violentissima cellula ISIS Khorasan e i signori della guerra a cui nel 2001 la coalizione di potenze occidentali ha dato il potere sono pronti a rialzare la testa nel caso in cui i talebani non assicurino loro una fetta della torta.

Fotoreportage di Andrea Mancuso