Agosto è anche tempo di riposo e di cultura; due aspetti della nostra vita spesso sacrificati alle esigenze del quotidiano e messi ancor più a dura prova nel periodo pandemico, in particolare per chi ha scelto di fronteggiare il Coronavirus anche professionalmente, unendo all’attività medica una costante opera di informazione e di difesa del diritto alla salute di tutte e tutti.

Vittorio Agnoletto ha seguito per noi il festival del cinema di Locarno e come avviene ormai da diversi anni, ci racconta le sue impressioni e le riflessioni che ne scaturiscono. I 9 articoli che da oggi seguiranno con cadenza giornaliera non sono dei testi di critica cinematografica, ma appunti, stimoli e pensieri che Vittorio condivide con i nostri lettori. Nelle prossime settimane alcuni di questi film usciranno in diverse città italiane che ospitano rassegne e festival. Buona lettura e …buona visione.

Dopo un anno di pausa forzata a causa della pandemia anche il Festival del cinema di Locarno ha riaperto i battenti; un’edizione, la 74°, con un numero minore di partecipanti, realizzata nel rispetto delle regole sul distanziamento e l’uso della mascherina e con l’obbligo di prenotare in anticipo il posto attraverso un App a ciò dedicata.

Forte è stato il contrasto tra un Festival segnato profondamente, nell’organizzazione ma anche nell’ambiente cittadino circostante, dalle conseguenze della pandemia e le circa duecento pellicole che si susseguivano sugli schermi nelle quali, essendo state girate in epoca pre-Covid, non vi era traccia alcuna dell’infezione che sta condizionando la vita in tutto il pianeta. Due mondi, quello della realtà odierna e quello proiettato, che, soprattutto all’inizio del Festival, hanno suscitato negli spettatori qualche sorpresa e anche riportato nella superficie delle coscienze una dialettica interiore, non sempre facile da metabolizzare.

La libertà e l’onnipotenza dei movimenti, che ci restituivano gli schermi, erano qualcosa che ben conoscevamo, che apparteneva al nostro passato, recente ma ormai lontano e che oggi incarna l’anelito di ognuno per il proprio futuro.

Pochissimi, tra le tante pellicole che ho visto, i film che in qualche modo richiamavano la pandemia; tra questi: “The Sadness (La tristezza) prodotto a Taiwan del regista Rob Jabbaz, presentato fuori concorso: un horror, concentrato di crudeltà e violenza; “Zeros and Onesdi Abel Ferrara e “I Giganti” di Bonifacio Angius, ambedue inseriti nel concorso internazionale, nei quali il contesto pandemico condiziona, seppure in modo differente, lo scenario nel quale si sviluppano i film.

Un’edizione del festival che, sotto la direzione artistica di Giona A. Nazzaro, ha inserito nel palinsesto generi di film tra loro molto differenti, dando spazio, nel concorso internazionale, anche a pellicole più leggere, commedie capaci di far sorridere, che normalmente faticano a trovare posto a Locarno. Un atto di coraggio che il pubblico ha apprezzato, cogliendo anche i messaggi, tutt’altro che scontati, comunicati attraverso battute e narrazioni creative, come nel caso del catalano “Sis dies corrrents” (Sei giorni di fila) della regista Neus Ballùs e del serbo “Nebesa” (Paradiso) di Srdan Dragojevic.