Ci stiamo vaccinando, le statistiche sorridono, le restrizioni cadono ed è pure arrivata l’estate. Insomma, abbiamo voglia di riconquistarci le nostre vite e di dimenticare quello che abbiamo passato l’anno scorso. Ai piani alti di Palazzo Lombardia l’hanno capito benissimo e sull’onda di una campagna vaccinale che al netto dei casini AstraZeneca corre veloce ed efficiente, il governo regionale si è lanciato in una vera e proprio campagna di whitewhashing, per rimuovere morti e responsabilità e presentare di nuovo la Lombardia in versione locomotiva del paese e vittima della propaganda di sinistra. E se non stiamo attenti, considerata anche l’inconsistenza dell’opposizione istituzionale, potrebbe pure funzionare.

La posta in gioco non è solo la sopravvivenza dell’attuale personale politico, ma soprattutto la salvaguardia di un sistema di potere costruito in 26 anni di governo ininterrotto e che si basa sull’equiparazione tra pubblico e privato nell’erogazione dei servizi e, quindi, nell’accesso ai finanziamenti pubblici. Un sistema pervasivo e radicato, che nel tempo ha sedimentato e organizzato consistenti interessi materiali, invadendo persino il campo teoricamente avverso. Cioè, quello che conosciamo con il nome modello Lombardia, in origine si chiamava più correttamente modello Formigoni, ma a un certo punto i Ds (poi Pd) cessarono di criticare la sua logica et voilà

Il core business del modello Lombardia è la sanità, che rappresenta da sola i due terzi dell’intero bilancio regionale, cioè circa 22 miliardi su 33 miliardi complessivi (previsione 2021) e di cui una parte sempre più importante viene drenata verso la sanità privata. Non è mai facile riuscire a fare in conti precisi, ma basti sapere che oggi in Lombardia su un totale di 238 ospedali ben 104 sono privati e che il 40% della spesa pubblica per le degenze ospedaliere, cioè 5,3 miliardi di euro, è stato assorbito dalle prestazioni in strutture private (dato 2019).

L’artefice del sistema era stato il ciellino Roberto Formigoni, Presidente lombardo dal 1995 fino al 2013, ma le cose non cambiarono neanche dopo la sua caduta nel 2013, causa accumulo di scandali e corruzione, in buona parte legati alla sanità. Anzi, a riprova della pervasività dell’intreccio di interessi, nonché della mancanza di credibilità e iniziativa dell’opposizione, il centrodestra vinse anche le elezioni anticipate, operando un semplice aggiustamento interno all’alleanza. In altre parole, nel 2013 finiva l’era di Comunione e Liberazione e cominciava quella della Lega, prima con Maroni e poi con Fontana.

Poi è arrivata quella maledetta pandemia e la Lombardia si è conquistata il triste primato mondiale del più alto tasso di mortalità per Covid per milione di abitanti, evidenziando non soltanto la manifesta inadeguatezza di un personale politico al potere da troppo tempo, ma soprattutto l’insostenibilità sociale del modello lombardo, ospedalocentrico e privatistico, capace di generare lauti profitti per alcuni, ma in ultima analisi incapace di tutelare la salute dei cittadini e delle cittadine.

Eppure è proprio quel sistema, quel modello e quegli interessi che la giunta regionale intende salvaguardare con la riproposizione della narrazione dell’eccellenza, come se non fosse successo nullo. Infatti, sul tavolo c’è ora qualcosa di molto concreto, cioè la necessità non più procrastinabile di riformare entro il 2021 la “sperimentale” riforma Maroni della sanità (legge regionale n. 23/2015).

Certo, oggi nessun esponente del centrodestra lombardo si sogna più di ripetere le terribili idiozie dell’allora sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Giancarlo Giorgetti, che aveva seriamente affermato che “nei prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base?”. No, parleranno molto di medicina territoriale, invece, e tenteranno anche così di ri-legittimare il modello esistente, magari aprendo anche quel settore al business della sanità privata. Sempre a spese del bilancio pubblico, beninteso.

Ecco, è per questo che bisogna muoversi, non permettergli di sottrarsi alle loro responsabilità ed esigere un cambio vero, sostanziale. Cioè, investimenti nella sanità pubblica e un sistema sanitario che abbia al centro le persone e la cura e non la malattia e gli affari. Ed è per questo che domenica 20 giugno, alle ore 15, è giusto, opportuno e necessario trovarci tutti e tutte sotto Palazzo Lombardia per la mobilitazione promossa ad un anno esatto dalla prima manifestazione sotto la Regione.

Qui l’evento Regione Lombardia #cacciamoli! 20 giugno dove trovate l’appello, gli aggiornamenti e tutto quello che c’è da sapere.

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