Che cosa ci fa muovere? Cos’è che ci dice di andare, restare o ritornare? Cosa significa per una ragazza andare via, lasciare i propri cari e partire e, soprattutto, cosa rappresenta per una giovane la tipica frase che motiva la sua mobilità: “vedere se ce la faccio da sola”?

Si parla molto di mobilità e di giovani, di fuori sede e di fuga di cervelli. Tuttavia, questo tipo di narrazioni sono spesso proposte ad un livello micro, in cui emerge che l’unità decisionale è l’individuo. Si descrive quindi la partenza, la scelta di partire del singolo, focalizzandosi sui destini individuali. Narrazioni che sono tra l’altro rappresentate da giovani maschi che si spostano per primi, e generalmente da soli, alla ricerca di nuove opportunità, alcuni dei quali scelgono di mantenere forti rapporti con il proprio contesto di origine con frequenti ritorni in famiglia e testimoniati anche solo dal famoso “pacco da giù” pieno di cibo e oggetti utili per la casa.

La storia di Enrica può far riflettere sul significato della partenza e sulla scelta di tornare con disposizioni mutate che sono utili a livello individuale e che arricchiscono i saperi del proprio nucleo familiare, nonché della sua regione di origine, la Sicilia. Una storia di mobilità al femminile per proporre un cambiamento nei quadri percettivi, per porre l’attenzione e creare uno spazio di narrazione delle cosiddette fuori sede. Proprio per contrastare la visione tutta femminile dell’immobilità, in cui le donne non si muovono affatto oppure se si muovono è per amore o dopo la partenza di un familiare. Infatti, insieme ai meccanismi di attrazione che spingono a lasciare il proprio nido familiare, spesso per una giovane donna la decisione di partire consiste nello sfidare questo pregiudizio legato all’immobilità.

Enrica, prima di tutto, dice che partire ha significato abbattere le sue barriere e che «aveva bisogno di conoscere Altro». E continua:

«[…] di vivere una realtà più grande di un paesino minuscolo nell’entroterra siciliano. Sentivo il desiderio di comprendere chi io fossi realmente, di vedere quanto riuscissi a cavarmela da sola, oltre quelli che potevano essere semplici pensieri, desideri. Avevo sempre detto che, se avessi potuto, sarei andata via. L’idea di fossilizzarmi in provincia di Agrigento per me era davvero un limite, perché sarei finita sempre con le stesse persone e probabilmente non avrei mai scoperto di più su di me».

Enrica oggi ha 27 anni, ma quando è partita aveva appena finito il liceo classico, ne aveva 18. Il richiamo è venuto dal mare, dalla città di Napoli e dalla volontà di iscriversi all’Università “L’Orientale”. Questa prospettiva di studi l’aveva già, come conferma la sua scelta di studi liceali e la sua propensione per le lingue, in particolare il cinese. Enrica si iscrive quindi a Scienze Politiche, con un curriculum in “Asia-Africa”, tralasciando così un percorso circoscritto all’insegnamento o, eventualmente, alla traduzione e all’interpretariato, in modo da avere un orizzonte di carriera più dinamico e che le consentisse di viaggiare. Dopo la laurea triennale, ha deciso di andare in Cina per qualche mese, perché sentiva il bisogno di migliorare le sue competenze linguistiche e di vedere se il cinese le piacesse davvero, non solo come lingua ma anche come contesto in cui vivere in futuro, dove trasferirsi per intraprendere una carriera professionale. «È stato un viaggio fondamentale che mi ha dato tantissimo e mi ha insegnato a vivere. […] Avevo voglia di dimostrare a me stessa che potevo fare tanto», dice Enrica.

Dopo questo viaggio, e soprattutto visti i ricordi positivi della sua esperienza a Napoli, dove ha potuto anche stringere un rapporto di amicizia con una sua cugina di secondo grado, Enrica ha continuato il suo percorso accademico iscrivendosi alla magistrale dell’Università di Napoli per completare e perfezionare i suoi studi.

A questo punto, dopo la genesi della sua partenza, il periodo in cui ha scelto di rimanere a Napoli, si apre ora nella biografia di Enrica un’ulteriore direzione, una nuova prospettiva, quella di tornare in Sicilia. In particolare, a Palermo, dove ha iniziato il suo Servizio Civile Universale con “People Help the People” nell’ambito del programma di Educazione alla Cittadinanza Globale contro la povertà educativa e l’emarginazione.

Enrica ha scelto di tornare, «Restare ora significherebbe avere la possibilità di vivere i miei affetti e dare alla mia terra una chance, dal punto di vista del lavoro». In futuro, spera di lavorare in una azienda nel settore alimentare, vinicolo o oleario, lavorando in particolare per le relazioni con l’estero e, perché no, con la Cina stessa. Uno dei suoi fratelli produce birra e questa potrebbe essere un’occasione per connettere le ambizioni di lavoro con la chance di cui parla.

La storia di Enrica mostra come i destini non siano solo individuali, la partenza, il restare e il ritorno coinvolgono spesso l’organizzazione familiare, e la gestione dei progetti futuri si basa sulla divisione delle aspettative dei giovani e quelle dei familiari, tra chi resta e chi parte.