Libertà vaccinale od obbligatorietà vaccinale? È tra i più accesi dibattiti del secolo. Ecco la seconda parte dell’intervista a Marco Reggio, attivista antispecista che si occupa di intersezioni fra teoria queer e antispecismo e di resistenza animale. È stato tra i fondatori dell’associazione Oltre la Specie, promotore della Festa Antispecista a Milano e redattore di Liberazioni. Rivista di critica antispecista. Ha curato l’edizione italiana del Manifesto queer vegan di Rasmus Rahbek Simonsen (con M. Filippi, 2014), e il volume Corpi che non contano. Judith Butler e gli animali (con M. Filippi, 2015). 

In un mondo in cui si parla, anche spesso in modo esasperante e strumentale, di “libertà”, perché la libertà vaccinale non viene vista come una rivendicazione legittima? 

Beh, la questione della libertà individuale è sempre stata ambigua, in effetti, proprio perché è individuale. Io parlerei piuttosto di esercizio di democrazia. Le richieste di libertà vaccinale possono essere considerate come opposizione a un trattamento sul proprio corpo, benché un vero e proprio TSO non sia più praticato dagli anni ottanta in questi casi, e lo Stato preferisca sistemi di coercizione più blandi (sanzioni pecuniarie, esclusione dalla scuola non dell’obbligo, e soprattutto attività di persuasione). Questa opposizione è messa in atto da genitori che hanno dei dubbi, più o meno legittimi, si pongono in modo critico di fronte all’istituzione, e ricevono perlopiù risposte insoddisfacenti. Mi stupisce che questo tipo di atteggiamento, diciamo pure una certa sfiducia verso l’istituzione statale, non sia più degna di rispetto “a sinistra”, perché comunque dovrebbe esserlo. Lo hanno ammesso anche molti tribunali dei minori cui le aziende sanitarie locali inviavano i genitori “obiettori”: riconoscevano in sostanza che si trattava di genitori attenti e responsabili e che le informazioni fornite dall’istituzione erano lacunose (e ovviamente i magistrati non erano certo novax, cioè non mettevano in dubbio l’efficacia e la sicurezza dei vaccini). Se oggi non abbiamo più alcune formulazioni vaccinali, in primis per esempio quelle con il mercurio, in fondo lo dobbiamo proprio a questi genitori e alle associazioni di riferimento, che hanno incalzato le istituzioni fino a farle ritirare. Di questo beneficiano anche tutti quei genitori che denigrano i “novax”. Del resto, la cosa non riguarda solo i vaccini: sappiamo bene che se non c’è una vigilanza dal basso, le multinazionali del farmaco, che sono mosse dal profitto, non si pongono davvero il problema della sicurezza di ciò che vendono. D’altra parte, non si può nascondere che ci sia stato uno spostamento “a destra” dell’ambiente novax, in particolare nel periodo del varo della Legge Lorenzin. Questo ha comportato un maggior accento sulla libertà individuale, intesa in senso egoistico, piccolo-borghese se vogliamo, e sugli argomenti più irrazionali e strettamente “complottisti”. C’è persino una strumentalizzazione, una sussunzione, da parte di forze sovraniste, forse addirittura eversive, che si appropriano di un argomento, un campo lasciato libero. E come sempre in questi casi, la colpa è anche di chi lo lascia libero: se qualcunǝ, a sinistra, avesse articolato un discorso di critica alle politiche vaccinali la storia sarebbe un pochino diversa.

La propaganda mainstream a rete unificate sui vaccini si sta imponendo sempre più violentemente, inserendosi anche nel linguaggio comune, nelle chiacchiere tra amici. Perché non si parla più di “biopolitica”?

Si tratta di un quesito difficile. Credo comunque che la propaganda sia stata davvero potente, grazie a delle alleanze trasversali. Io sono stato impressionato– ma ad esplicitarlo si rischia di essere additati come “complottisti”! – dalla capacità dei mezzi di comunicazione di “preparare il terreno” alla Legge Lorenzin. Era evidente, ben prima del “dibattito” parlamentare, che si stava avvicinando una svolta, senza alcuna motivazione sanitaria reale (come evidente a posteriori: nessuna epidemia di morbillo, per esempio).

Il secondo passaggio è stato ovviamente quello legato alla pandemia, in cui ogni discorso relativo alle svolte repressive nella gestione delle vite delle persone e del dissenso è diventato impronunciabile perché sospetto di “cinismo” o di derive eugenetiche o di disprezzo dei soggetti vulnerabili. Poi si è visto che i soggetti vulnerabili sono tanti: lǝ anzianǝ, effettivamente lasciatǝ morire di Covid (e di tumore e di tanti altri mali, chiaramente, compresa la solitudine); lǝ bambinǝ, privatǝ dell’esercizio di alcune capacità fondamentali per il loro sviluppo; lǝ adolescenti, segregatǝ in famiglie spesso asfissianti, e fra questǝ lǝ adolescenti non eterosessuali, obbligatǝ spesso a stare giorno e notte con familiari ostili; le donne chiuse in casa con mariti violenti; i poverǝ in generale; i soggetti disabilizzati, sia perché a rischio di contrarre il covid, sia perché isolati e deprivati a fronte di problemi di tipo psichico, relazionale, ecc. Ma lo Stato ha deciso fin da subito di istituire una gerarchia delle vulnerabilità funzionale alla sua idea di gestione dell’emergenza, una gerarchia modificabile nelle varie fasi, adattabile alle priorità stabilite dall’alto, che ha tutelato alcuni (spesso più a proclami che nei fatti) e lasciato indietro tanti altri.

Quello che è davvero problematico, a mio parere, è che praticamente ogni settore della società, compresi quelli che con lo Stato normalmente non hanno certo un buon rapporto, hanno assunto in modo acritico tale “scala delle vulnerabilità”, riproducendola appunto nelle chiacchiere fra amici, come dici tu, con esiti spesso discriminatori, violenti e in sostanza inconsapevoli del privilegio di chi, per esempio, tollera tutto sommato decentemente un lock-down perché ha una casa, il wi-fi, un buon reddito, ecc. Ciò ha prodotto quel fenomeno per cui mettere in dubbio le politiche governative espone all’accusa di “cinismo”, di calpestare la sensibilità di chi ha un parente deceduto per il Covid-19, mentre è del tutto normale se non meritorio sbeffeggiare chi è stato danneggiato o chi è morto per un vaccino, o lǝ bambinǝ costretti a sopportare misure pesanti per la propria psiche, o ancora le persone il cui disagio mentale ha reso insopportabile l’isolamento sociale.

Del resto, la biopolitica è la gestione della vita, della popolazione, tramite le tecniche di promozione della produzione di soggetti, l’esercizio del potere selettivo di lasciar vivere, di gestire i flussi, e così via: tutto ciò necessita sempre di un discorso, da parte di chi detiene il potere, che indichi chi è più o meno degno di considerazione nella sua fragilità. Dunque, “dittatura sanitaria” suona come un’espressione eccessiva, ma non andrebbe liquidata con troppa superficialità. Non siamo in una dittatura, ma stiamo vivendo certamente delle svolte in senso autoritario su più fronti; se anche fossimo in dittatura, questa dittatura non sarebbe “sanitaria”, ma autenticamente economica e politica, e tuttavia il ruolo delle politiche sanitarie, delle motivazioni che da esse trae l’esercizio della repressione, della parola degli “esperti”, dello scientismo, ha chiaramente un enorme rilievo. In effetti, tante anime belle che, a sinistra, hanno giustificato ogni misura di restrizione della libertà, spesso facendosene sostenitori attivi e zelanti, ora si accorgono, per esempio, che il G20 di Venezia viene blindato, impendendo l’esercizio del dissenso, tramite l’appello alla salute pubblica.

Già con il Decreto Lorenzin nel 2017 si era parlato di “razzismo vaccinale”, poiché si stava provocando discriminazione tra i bambinǝ. Secondo te c’è il rischio che si ripresenti con i vaccini anti-Covid? 

Forse il termine “razzismo” è eccessivo, ma certamente ci sono stati fenomeni discriminatori. Quello che fa rabbia è che tali fenomeni sono stati spesso incoraggiati da figure pubbliche, medici e politici di rilievo. C’era stato un medico di uno di quegli ospedali privati lombardi che ora stanno facendo una fortuna sullo sfascio della sanità pubblica che lo raccomandava apertamente: discriminateli, escludeteli, emarginateli. Del resto il dispositivo utilizzato dalla legge – sanzionare con l’esclusione dalle comunità infantili – segue questa logica, anche se è bene ricordare che è motivato dal fatto che in tali contesti alcune patologie possono trovare maggiore diffusione (e che negli asili nido e scuole dell’infanzia possono anche essere presenti bambinǝ immunodepressǝ che rischiano molto più della media in caso di contagio). Con i vaccini anti-Covid c’è questo rischio, anche se ovviamente gli adulti sono in grado di “difendersi” meglio. Ma certamente la tendenza è quella di creare un clima per cui chi non si vaccina è ignorante o egoista. Il primo soggetto che non utilizza argomenti scientifici è proprio lo Stato, che ora, con gli adolescenti, sta dando il peggio di sé. Di recente ha fatto un’iniziativa in cui ai giovani che si vaccinavano regalava una copia della Costituzione, come a dire “chi si vaccina è il prototipo del buon cittadino”: mi pare una risignificazione molto subdola dell’idea di cittadinanza, se consideriamo tutti gli aspetti importanti, e urgenti, delle idee alla base della nostra democrazia, in un paese in cui ogni giorno vengono aggredite persone trans, migranti, “diversi”, in cui i fascisti possono riunirsi e vomitare odio tramite vari canali pubblici. Per non parlare dei “vax day” a base di birrette e gadget vari (di recente ho visto addirittura un caso in cui una Regione ha approntato delle postazioni per farsi il selfie dopo la somministrazione…) offerti dalle istituzioni per gli adolescenti in vista delle vacanze, grotteschi ma anche preoccupanti se pensiamo che vengono pubblicizzati prima ancora che gli organi di vigilanza farmaceutica e sanitaria a ciò deputati abbiano formulato un parere sulla sicurezza del vaccino per le fasce di età basse. Mi pare bizzarro che l’accusa di non scientificità colpisca i cittadinǝ criticǝ o dubbiosǝ, che spesso certamente utilizzano argomenti discutibili, ma che non hanno la stessa responsabilità dei rappresentanti dello Stato.

Parliamo nell’ambito etico. I vaccini aprono un dibattito bioetico in quanto la maggior parte di essi sono stati sperimentati su feti abortiti e su pratiche di vivisezione d’animali, eppure non sembra interessare. Vi è una sospensione dell’etica? 

Non conosco bene il tema dei feti, che credo sia comunque molto diverso da quello delle cavie animali (nel senso che solo le seconde sono persone: di per sé, la sperimentazione su un feto non pone gli stessi problemi, se non per quanto riguarda il consenso da parte della donna). In ogni caso, quanto accaduto negli ultimi mesi conferma il fatto che le statistiche che dieci anni fa noi antispecistǝ ostentavamo con ingenuo ottimismo, sondaggi secondo cui oltre l’80% dellǝ cittadinǝ sarebbero statǝ contrariǝ alla vivisezione, erano fuorvianti. L’opinione pubblica è contraria alla segregazione e alla tortura dei non umani nei laboratori quando gli scopi sono percepiti come superflui (i cosmetici, i farmaci non essenziali, i materiali utilizzati in ambito commerciale, ecc.), ma quando il conflitto fra la nostra salvezza e il loro diritto a non essere manipolati senza il proprio consenso è più stringente, emerge tutto l’antropocentrismo che caratterizza il nostro modo di vivere. Antropocentrismo che, per inciso, continua a impedire a uno degli elementi più significativi della pandemia di irrompere nel dibattito pubblico: mi riferisco al fatto che indubbiamente fra le cause sistemiche dell’emergere delle zoonosi c’è il sistema degli allevamenti intensivi. E così, non appena l’idea che l’unica soluzione su cui puntare fosse la messa a punto di un vaccino ha fatto terra bruciata di ogni altra misura (dal potenziamento della sanità pubblica alla sua ridefinizione verso una sanità domiciliare, fino alle cure per il covid), non era nell’ordine del discorso una critica all’uso degli animali, nonostante una volta tanto potesse emergere prima che le sperimentazioni iniziassero.

Quando, durante la crisi sanitaria da Covid-19, hai percepito che gli epiteti di “negazionista” e “complottista” venivano usati in modo strumentali?

Beh, praticamente sempre. Fin da subito. “Negazionista” viene usato, nei casi più scorretti, per chiunque non sia allineatǝ alla propaganda governativa. Ma è forzato anche quando si riferisce a chi nega l’esistenza del Covid-19 (un numero di persone insignificante) o a chi nega l’impatto del Covid sulla mortalità (sicuramente più persone, ma bisognerebbe anche intendersi su cosa significa negare l’impatto di questo virus), perché rimanda chiaramente ai negazionismi di tipo più propriamente politico, a partire da chi nega lo sterminio degli ebrei sotto il nazismo. E già questa mi sembra un’operazione retorica che inquina il dibattito, perché mischia opinioni che hanno oggetti di natura diversa (tali sono una politica di genocidio pianificato, da una parte, e un virus, dall’altra, benché gli effetti di quest’ultimo consistano nella morte di decine di migliaia di persone). Di recente, a Genova, è morta una ragazza per una trombosi insorta dopo il vaccino. Il vaccino non era sicuro? Quel lotto non lo era? Il vaccino era sicuro ma non era stata fatta una corretta anamnesi? L’anamnesi è stata fatta correttamente ma la ragazza ha omesso dei dati importanti? Non si sa, ma in ogni caso prendere più sul serio le persone dubbiose non può che avere effetti positivi sull’attenzione da parte del personale sanitario alle particolarità individuali, o sull’atteggiamento delle persone, che dovrebbero sapere che non stanno prendendo dell’acqua fresca. Al contrario, il messaggio che viene lanciato, infantilizzando lǝ cittadinǝ, è proprio che si tratti sempre e comunque di acqua fresca.

Il “complottismo”, poi, è una categoria disarmante, soprattutto fra chi si schiera per la giustizia sociale. Fra queste ultime persone, dovrebbe essere ben chiaro che i complotti esistono, sono sempre esistiti e abbiamo sempre cercato di smascherarli e combatterli. Basta vedere, retrospettivamente, di quali crimini si sono macchiati, letteralmente complottando, le aziende farmaceutiche, le mafie, i gruppi neofascisti, i servizi segreti, o altri settori dell’apparato statale, per non fare che alcuni esempi. Questo non impedisce di osservare, e criticare, il fiorire di teorie del complotto improbabili e dannose nei termini in cui viene denunciata una certa funzione reazionaria del “complottismo”. Anche secondo me l’attribuzione di politiche non trasparenti in materia di vaccini a fantomatici piani per impiantare microchip sottopelle allǝ cittadinǝ può costituire una deriva preoccupante, ma fatico a capire come questo immaginare complotti non necessari per spiegare dei fenomeni politici possa essere accostato alla legittima diffidenza di gruppi di persone smaliziate nei confronti dei gruppi di potere. Pensare, ad esempio, che chi vende i vaccini cerchi di nasconderne gli effetti collaterali, mi pare addirittura banale.