Zico spalancò le porte della leggenda al suo Flamengo, la squadra più popolare di Rio de Janeiro. Socrates trascinò il suo Corinthians in prima fila nella lotta per il ritorno della democrazia dopo vent’anni di dittatura. Pelé scolpì il nome del Santos nell’eternità. Certo, sto parlando di alcuni dei migliori giocatori di ogni tempo, di squadre e di epoche che vanno oltre lo sport e rendono il calcio uno dei fenomeni sociali di massa più importanti della nostra epoca. Definire il calcio come oppio delle genti, o, ancora peggio, valvola di sfogo dei malesseri esistenziali, significa ignorare un secolo di storia al quale lo sport più popolare al mondo ha partecipato attivamente, a volte come vero e proprio protagonista. La corruzione dei dirigenti delle varie federazioni, gli imbrogli di ogni tipo, i favoreggiamenti per la costruzione di stadi e infrastrutture, la connivenza con i governi dittatoriali, non hanno niente a che fare né con il gioco in sé, né con la passione che esso suscita. Dicono che esista più dramma nei novanta minuti della partitella aziendale di fine d’anno tra scapoli e ammogliati che in tutte le tragedie di Shakespeare; e chi ne dubita, provi a giocare.

I brasiliani costretti all’esilio dalla dittatura degli anni sessanta e settanta, raccontano che fu la Cecoslovacchia ad andare in vantaggio, a segnare il primo gol della partita di apertura dei Mondiali del Messico. Dicono che, con l’espressione tirata di chi annuisce senza volere, si congratularono l’un l’altro: un piccolo paese comunista stava mettendo in ginocchio la colossale nazionale brasiliana, orgoglio della giunta militare, e ciò poteva essere interpretato come un simbolo di vittoria contro il capitalismo internazionale, avanti companheiros! Poco dopo, quando Roberto Rivellino segnò un golaço su calcio di punizione, i brasiliani in esilio sorrisero, … così … , come un riflesso corporale involontario che istintivamente fece volare qualche benevola pacca sulla spalla. Un golaço è molto più di un “gol” qualunque, un golaço è un gol d’autore, un super gol, sia per l’azione in sé che per la situazione in cui avviene. Quello di Rivellino fu un golaço vero e proprio, bisognava riconoscerlo, la pacca sulla spalla ci stava davvero, e anche qualche parola di ammirazione esplicita poteva pur star bene. Quando Pelé portò in vantaggio il Brasile, gli esiliati videro che il più grande giocatore di tutti i tempi poteva davvero fermare il tempo e far entrare il cielo in una stanza, videro che Pelé avrebbe trascinato la squadra verso la conquista definitiva della Coppa Rimet, videro che la nazionale brasiliana non apparteneva agli esecrabili militari che stritolavano il paese, la nazionale brasiliana era, ed è, un patrimonio collettivo, un simbolo di appartenenza, la vera passione popolare. E allora piansero e si abbracciarono l’un l’altro, abbracciarono i loro sogni di bambini e la loro realtà di adulti, abbracciarono la loro gente miserabilmente ricca, abbandonata in un orgia collettiva di delirio e felicità effimera, eterna, inutile come un gol, necessaria come il Sì definitivo. Ecco quindi che il calcio va al di là dello sport, del gioco, della Fifa, dei governi. Nel calcio possiamo riconoscerci come membri di una comunità di uguali. Nel calcio ci rivediamo bambini, ne calcio ci proiettiamo come quegli adulti che saremmo potuti diventare e ci confrontiamo con quello che realmente siamo. Zico e il Flamengo, Sócrates e il Corinthians, Pelé e il Santos. Nomi che vanno oltre, persone che significano qualcosa, anche per chi non ha mai visto una partita in vita sua.

La pandemia ha svuotato gli stadi. Ma il calcio è rimasto. I suoi gol, le sconfitte, le vittorie, i suoi gesti continuano a riempire di significati la semantica dei popoli.

Clube de Regata Vasco da Gama, o semplicemente, Vasco. È una delle grandi squadre del calcio brasiliano. Fondata da un gruppo di rematori di origine portoghese che decisero di rendere omaggio al grande navigatore. Fin da subito la squadra si caratterizzò per far giocare nelle sue fila la gente semplice, i figli dei lavoratori, dei braccianti e degli operai dei quartieri poveri di Rio. Il calcio, era ancora un sport esclusivamente praticato dalla elite: proveniva dall’Inghilterra, come si poteva capire dai vocaboli usati in campo: corner, penalty, cross, drible, offside e la parla più importante di tutte: goal… brasilianizzato poi in GOL. Così come avvenne per la parola che definisce il gioco: Football, subito trasformato in Futebol.

E il Vasco non è solo una squadra de Futebol. In prima fila da cent’anni nella lotta per i diritti civili, il 7 Aprile 1924 firmò e divulgò un documento conosciuto fino ad oggi come “la Risposta Storica”. Si comunicava alla federazione e al Paese intero che la squadra non avrebbe disputato il campionato senza i suoi giocatori di origine afrobrasiliana. Infatti per esigenza della federazione, in osservanza alle norme dettate dalla tradizione britannica, le squadre avrebbero dovuto essere formate solamente ed esclusivamente da giocatori bianchi, dai tratti somatici marcatamente europei. Il Vasco, nato nei quartieri popolari, mai, in nessuna occasione e per nessuna ragione si era prestato alla pantomima di camuffare i suoi giocatori neri con polveri speciali per sbiancare la pelle, come veniva fatto da tutte le altre squadre, per ingannare il regolamento, mai! Il Vasco si rifiutò, scrisse e divulgò la Risposta Storica. Il Vasco impose la presenza degli afrobrasiliani in campo come parte integrante della squadra. E così fu. 

Rio de Janeiro, 27 Giugno 2021. Germán Cano, giocatore proveniente dall’Argentina, scrive il suo nome nella storia del Vasco, del Futebol brasiliano e del calcio mondiale. Raccoglie un passaggio del compagno e con una girata rasoterra insacca di destro una palla imparabile. Non aspetta l’abbraccio, ma corre verso la bandierina del corner. 

Il Vasco gioca con una maglia diversa dal solito, oggi la maglia è bianca. E la fascia diagonale tradizionalmente nera, porta con enfasi i colori dell’arcobaleno, i colori della giornata mondiale dell’orgoglio LGBTQIA+ . Anche le bandierine dei quattro cantoni da dove si batte il calcio d’angolo, ricordano che oggi è un giorno speciale. E Germán Cano corre verso il corner, toglie da terra l’asta, alza il braccio impugnandola con fierezza e comincia a sventolare. Lo stadio è vuoto ma il Brasile intero si alza in piedi e applaude. Lo sventolio della bandierina arcobaleno come gesto di rispetto verso una comunità storicamente emarginata e, oggi più che mai, bersaglio della violenza istituzionale del governo Bolsonaro, ha un significato che va oltre l’esultanza per un gol. Non importa che il Vasco sia oggi una squadra di serie B, non importa che da tanti anni non vinca un campionato, non importa che i suoi giocatori non siano convocati in nazionale, non importa. Nel trasformare una semplice esultanza sportiva in una presa di posizione, in una dichiarazione di intenti, in una affermazione di rispetto, autonomia, identità, in un gesto simbolico per migliaia di persone che spesso non hanno né il modo né la forza per dichiarare la loro identità, oggi, un giocatore del Vasco, permette al Futebol di tornare ad incidere sulla realtà, per ricordare a tutti che la lotta per i diritti civili non si può fermare.

Vasco, orgoglio del calcio brasiliano. Germán Cano, atleta, calciatore, uomo libero!