Che cosa significa essere antirazzisti? Chi sono i razzisti oggi? Quali sono le sfide che il nostro paese e i suoi nuovi italiani devono affrontare per costruire il futuro? Quale ruolo ha il linguaggio, e quindi la comunicazione sui media, nel diffondere una cultura antirazzista? Come contrastare i discorsi d’odio?

Le due giornate promosse dalla Rete 21 marzo – mano nella mano contro il razzismo hanno offerto molti spunti di riflessione su questi e molti altri temi. Perché la questione è complessa, non risolvibile con un tweet o un post su Facebook, ha bisogno di analisi e considerazioni che partano soprattutto da chi il razzismo lo vive nel suo quotidiano. E ha bisogno di azioni concrete.

Un denso incontro online sabato 20 marzo ha iniziato a guardare il tema da tre punti di vista diversi:

  • Ivana Nicolic, Sueni De Biasi e Janet Buhanza, attiviste a livello personale e associativo, italiane di diversa provenienza, hanno dialogato nella prima parte, raccontando la loro esperienza personale e il loro impegno socio/culturale contro l’antiziganismo, i pregiudizi, per l’educazione di bambini e adulti, per la diffusione di un’informazione vera e diretta;
  • Antonella Ferrero, Juan Tafur e Stefano Chicco hanno animato la seconda parte, raccontando rispettivamente l’esperienza del Nodo contro le discriminazioni della Città Metropolitana, il lavoro quotidiano dei sindacati per far valere i diritti in ambito lavorativo, il Patto di Collaborazione per una Torino antirazzista, che aspira a far diventare l’antirazzismo un bene comune della Città
  • il linguaggio, la comunicazione e la relazione con l’altro sono invece le tematiche affrontate dal tavolo conclusivo con il linguista Federico Faloppa, la scrittrice Espérance Hakuzwimana e l’attivista e attrice Djiana Pavlovic. Un discorso appena accennato che sarà interessante continuare ad approfondire.

L’incontro è visibile sulla pagina Facebook della Rete 21 marzo e sul canale YouTube di Pressenza Italia.

Domenica 21 marzo, nella Giornata Internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale istituita dall’ONU, la riflessione è stata portata in piazza. Un flash mob con la scritta “Io sono antirazzista” ha fatto da sfondo agli interventi che si sono alternati. Qui si è parlato di ONG che salvano vite in mare e vengono criminalizzate, di confini bloccati e violazioni continue dei diritti umani, di CPR (Centri di Permanenza e Rimpatrio) dove vengono detenute persone che non hanno commesso alcun crimine: tutti temi che, purtroppo, sono all’ordine del giorno ormai da anni senza trovare soluzioni o miglioramenti pur nell’avvicendarsi di governi con sfumature di colore diverse. Questioni oscurate in parte dalla pandemia che ha stravolto le vite di tutti, ma che poco ha cambiato, se non in peggio, per le persone la cui vita era già segnata dalla sofferenza e spesso dalla tragedia. Si è parlato della semplificazione criminalizzante e degradante che spesso i mezzi di comunicazione fanno di situazioni che invece hanno bisogno di essere trattate nella loro complessità e con lo sguardo di chi cerca di dare delle risposte, di trovare soluzioni, di aiutare veramente le persone piuttosto che provocare quello sdegno che cattura i sentimenti più bassi delle persone.

Infine si è parlato di ius soli e ius culturae, una battaglia in cui la Rete 21 marzo è da sempre impegnata, solo temporaneamente persa, ma mai abbandonata.

Essere antirazzisti è un divenire, è un percorso di crescita, impegno, ascolto e condivisione. Dichiarare di esserlo è un primo passo. L’impegno sociale, in qualsiasi campo, è qualcosa che può cambiare la vita, far vedere il mondo in modo forse più crudo, ma più vero e aprire la strada verso una vera conoscenza dell’altro, della bellezza delle diversità che solo unendosi possono fare la differenza.

Daniela Brina