La storia dell’Africa cominciò a cambiare negli anni del secondo dopoguerra quando si cominciò a porre fine alla dominazione coloniale che per circa un secolo aveva depredato il continente, schiavizzato le popolazioni e perpetrato orrendi genocidi. Per la precisione diciamo che si cominciò a porre fine al colonialismo “diretto”, poiché le ex potenze coloniali hanno poi trovato modi diversi per continuare a depredare l’Africa.

Uno degli ultimi paesi coloniali a sloggiare dal continente fu il Portogallo che, dopo la “Rivoluzione dei garofani” del 25 aprile 1974 che si liberò dalla dittatura di Salazar, concesse l’indipendenza all’Angola. L’ultimo paese africano ad essere realmente decolonizzato fa parte della storia che voglio succintamente raccontare, il Sudafrica, dove la componente bianca della popolazione, i boeri, perpetuarono il regime di spietato apartheid rispetto alla componente nera fino alla fine degli anni Ottanta. Penso che pochi sappiano, o ricordino, che le vicende e il destino di questi due paesi, l’Angola e il Sudafrica, sono stati profondamente legati: e che questo legame è stato costituito da Cuba

Ma andiamo con ordine, pur se dovrò fare drastiche semplificazioni perché la vicenda, che per me è avvincente, è estremamente complessa e intricata. Ma sarò costretto anche a fare un po’ di slalom, flashback fra piani diversi.

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Quando nel novembre 1975 l’Angola ottenne l’indipendenza dal Portogallo era in atto da anni una Guerra d’Indipendenza Angolana, ancorché animata da correnti di ispirazioni molto diverse, divise per motivi etnici, territoriali, religiosi, politici e di appoggi internazionali. Ottenuta l’indipendenza scoppiò infatti una guerra civile nella quale si contrapponevano il Movimento di Liberazione dell’Angola (MPLA) guidato dal filocomunista Agostinho Neto, e dall’altra parte il Fronte di Liberazione Nazionale dell’Angola (FLNA) guidato da H. Roberto alleato con l’Unione Nazionale per l’Indipendenza (UNITA) guidata da J. Savimbi. Il FLNA di ispirazione conservatrice era finanziato dallo Zaire e sostenuto da tutti i paesi occidentali, e l’UNITA direttamente dalla Repubblica Sudafricana, supportata dagli Stati Uniti e dalla CIA. Perché il Sudafrica si era impegnato militarmente, in modo pesante, per sconfiggere l’MLPA?

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Prima parentesi. Nel caos del ritiro dell’esercito portoghese e il fuggi fuggi degli abitanti europei, era presente a Luanda un solo giornalista internazionale, il polacco Ryszard Kapuściński, che nella sua carriera di reporter ha seguito ben ventisette rivoluzioni: il suo libro, Ancora un Giorno (of life nell’inglese), tradotto in Italia da Feltrinelli (2008), ha avuto una vibrante e avvincente trasposizione in un film di semi-animazione di De la Fuente e Nenow del 2019.1 Riprendo dalla quarta di copertina perché è significativo: “Attento in primo luogo agli esseri umani, l’autore fa vivere con tratti affettuosi e vivaci le poche, umili e belle persone con cui ha stretto amicizia e con le quali ha condiviso i momenti di sconforto, privazione e paura”, fra le quali spicca la straordinaria figura della guerrigliera Carlota (lo splendido fermo immagine finito nella copertina del libro e nella locandina del film).

Qui mi interessa un’affermazione di Kapuściński, “Se il Sudafrica avesse sconfitto l’MPLA in Angola avrebbe imposto il regime di apartheid in tutta l’Africa”. Ma prima di lui, Fidel Castro lo aveva ribadito innumerevoli volte.

Di fatto la Repubblica Sudafricana, dopo la piena indipendenza dal Regno Unito nel 1961, aveva proceduto a un’annessione di fatto della Namibia come sua provincia, in realtà colonia (la Namibia era l’ex Africa Tedesca del Sud-Ovest, dove i tedeschi avevano perpetrato orrendi genocidi e sperimentato i precursori dei “campi di concentramento”).

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Ritorno ai complessi avvenimenti del 1975. Siamo in piena Guerra Fredda. Gli Stati Uniti erano appena usciti dalla disastrosa Guerra nel Vietnam (1955-1975), sia per gli USA che l’URSS sarebbe difficile un intervento militare diretto, ma in Angola si gioca una partita decisiva non solo per l’Africa ma per gli equilibri mondiali.

Fra i tre movimenti scoppiò una guerra civile. L’MPLA prese il controllo della capitale e dichiarò l’indipendenza dell’Angola l’11 novembre 1975, giorno in cui i portoghesi abbandonarono Luanda. Di fronte all’offensiva da sud del forte esercito sudafricano, Agostinho Neto chiese l’intervento militare di Cuba.

Apro un’altra parentesi.

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Non si capirebbero queste vicende senza ricordare che l’internazionalismo fu un asse della politica di Cuba fin dai primissimi anni della vittoria delle Rivoluzione nel 1959. Nei primi anni ’60 il Che aveva visitato vari paesi africani e stretto contatti con le forze che si battevano per la liberazione dal colonialismo (fra i quali l’MPLA e Agostinho Neto, e il Congresso nazionale Africano e Nelson Mandela). Nel 1961 durante la guerra di liberazione dell’Algeria una nave cubana portò ai patrioti algerini armi (americane, catturate nella tentata invasione della CIA alla Baia dei Porci), e al suo ritorno portò a Cuba un centinaio di bambini orfani o feriti di guerra. L’11 dicembre 1964 il Che intervenne all’Assemblea generale dell’ONU denunciando l’aggressione nordamericana-belga contro il Congo. Il Congo sarebbe un’altra storia estremamente complessa: dopo l’indipendenza dal Belgio nel 1960 il primo ministro eletto Patrice Lumumba venne rimosso da un golpe militare e assassinato nel 1961 e si innescò una guerra feroce con pesanti interventi stranieri; il Congo possiede i più ricchi giacimenti di minerali preziosi e diamanti (costati indirettamente la vita il 25 febbraio scorso al nostro ambasciatore Attanasio più carabiniere e autista, ma nel 1961 al segretario generale dell’ONU Dag Hammarskjold in un attentato aereo!). Nel 1965 il Che lasciò tutte le cariche che aveva nel governo cubano e si eclissò in Africa, dove con un contingente cubano cercò di intervenire nello scontro in atto in Congo, ma la spedizione fu sfortunata anche per voltafaccia dei leader africani.

Nel 1966 istruttori e medici cubani intervennero a supporto delle lotte di liberazione di Amilcar Cabral nella colonia portoghese Guinea Bissau. Più le lotte anticoloniali si intensificavano, principalmente nelle colonie portoghesi di Angola, Mozambico e Guinea Bissau, più la partecipazione dell’internazionalismo cubano si rafforzava.

Lo scontro della Guerra Fredda tra Est e Ovest si articolava in Africa nello scontro fra la minoranza bianca e la popolazione africana, la guerra di liberazione dei popoli dell’Africa australe.

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1975-76 – In Angola dalla fine di ottobre 1975, anticipando la date dell’indipendenza, scatta l’offensiva del Sudafrica da Sud e dello Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo) da Nord, in sostegno all’UNITA e al FLNA. convergendo minacciosamente su Luanda. Alla richiesta di aiuto militare di Agostinho Neto, Cuba lancia la “Operación Carlota”. E qui ritengo necessaria un’altra precisazione: il nome non ha nulla a che fare con la guerrigliera Carlota celebrata da Kapuściński, ma si rifà al nome attribuito alla schiava nera che nel 1843 guidò una rivolta libertaria che si diffuse in vari zuccherifici e piantagioni: la rivolta fu repressa dal governatore spagnolo e Carlota catturata e uccisa. Carlota simboleggiava la solidarietà dei popoli dell’Africa e di Cuba.

Dunque, fra il 4 e l’11 novembre 1975 tre navi cubane arrivano con specialisti militari e una brigata medica, armi ed equipaggiamento per scuole, e dal 5 novembre atterrano le prime unità di combattimento ed armamenti con lo scopo di impedire agli aggressori la conquista della capitale. L’intervento delle truppe cubane ha un ruolo decisivo, con il suo aiuto l’MPLA sconfigge le truppe dello Zaire a Nord costringendole a ritirarsi definitivamente, e a Sud blocca l’avanzata dei sudafricani e dell’UNITA (10 novembre), consolidando l’insediamento dell’MPLA a Luanda.

Il 27 marzo 1976 tutti i soldati sudafricani sono cacciati dal territorio angolano.

La vittoria delle forze cubano-angolane, di colore, contro l’esercito bianco ha una grande risonanza simbolica in quanto dimostra che i bianchi non sono invincibili: questo avvenimento genera scompiglio nello stesso Sudafrica e alimenta una nuova ondata di mobilitazione della maggioranza nera nel paese, che nella rivolta di Soweto del 1976 esprime la comparsa di una nuova generazione.

Ma la storia non è finita. Questi sviluppi, uniti a nuovi problemi che si presentano in Angola, costringe Cuba a non ritirare i suoi combattenti, mantenendo nel paese un contingente stabile che oscilla fra i 30 e i 35 mila soldati.

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1977-1988 – Anche perché le acque non si placano: colonialismo e razzismo sono duri a morire, gli interessi sono enormi e le interferenze esterne incessanti. Si sommano anche i disordini che scoppiano nella vicina Namibia, che come si è detto rimane una provincia del Sudafrica e lotta per l’indipendenza, con SWAPO attiva fino dagli anni ’60 (South West African People’s Organisation). Anche l’UNITA di Sawimbi è tutt’altro che domata, e il Sudafrica la sostiene, la fornisce abbondantemente di armi, ed interviene. Dietro ci sono sempre gli Stati Uniti.

Dai primi anni ’80 si susseguono attacchi dell’esercito sudafricano dal sud in Angola in appoggio all’UNITA e contro le basi della SWAPO. Una lunga serie di scontri e di vere battaglie campali, in cui il supporto dei cubani all’esercito angolano è fondamentale: Cuba è costretta a inviare altre truppe, e assume il comando delle forze angolane-cubane. È impossibile, e poco utile, entrare nei dettagli dei complessi sviluppi militari, cerco di andare alla sostanza.

Fra dicembre 1987 e marzo 1988 ha luogo la lunga battaglia decisiva attorno a Cuito Cuanavale, nel sud dell’Angola: la più grande battaglia in Africa dalla seconda guerra mondiale. La battaglia si conclude il 23 marzo 1988. Esaminando tanti resoconti, spesso contraddittori, si può forse dire che non è chiaro se vi sia stato militarmente il vincitore, ma una conclusione è incontrovertibile: il regime sudafricano di apartheid, presieduto dall’afrikaner P. K. Botha (detto anche Die Groote Krokodill), accusa il fallimento definitivo della sua offensiva in Angola, e delle sue ambizioni sull’Africa australe: fallimento rafforzato nella seconda metà del 1988 da una successiva manovra militare inattesa dei cubani verso il confine namibiano di accerchiamento dell’esercito sudafricano, il quale paventa veramente la disfatta. Si sa che Fidel Castro teme anche che il Sudafrica possa fare ricorso alla bomba nucleare, che ha sviluppato in segreto con il supporto di Israele.

Nell’agosto 1988 il New York Times scrive inequivocabilmente: «Il Sudafrica ha perduto la reputazione di invincibilità».

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Il 9 dicembre 1988 Nelson Mandela viene spostato dalla sua cella in una casa nel cortile della Victor Versten prison, dove ha inizio una serie di incontri con funzionari del governo: il primo incontro con il presidente Botha avviene il 5 luglio 1989, e sembra che Mandela gli abbia detto qualcosa come: «Lei si sta incontrando con me solo a causa di quello che è avvenuto in Angola a Cuito Cuanavale».

Nel frattempo si sono svolti negoziati tra Angola, Sudafrica, Stati Uniti e Cuba, culminati il 22 dicembre 1988 con la firma degli accordi di pace che sanciscono l’indipendenza della Namibia.

Malgrado questi accordi, la guerra si protrae fino al 1991, con la guerriglia proseguita dall’UNITA con l’appoggio della CIA, e solo allora i cubani lasciano militarmente l’Angola: con la quale ha proseguito la cooperazione attiva sul piano medico e dell’istruzione.

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Nel 1989 il presidente del Sudafrica P.W. Botha si dimette ed è sostituito da F. De Klerk, che promuove negoziati con i neri (1990-91) per eliminare progressivamente l’apartheid e legalizza l’African National Congress (ANC). L’11 febbraio 1990 Nelson Mandela viene scarcerato: il 26 luglio visita Cuba (anniversario della storico attacco alla caserma Moncada, 1953), pronuncia uno storico discorso2, rivolgendosi a Fidel e agli «internazionalisti cubani che tanto avete fatto per liberare il nostro continente»: «Il popolo cubano occupa un posto particolare nel cuore dei popoli africani. Gli internazionalisti cubani hanno fornito un contributo senza precedenti all’indipendenza, alla libertà e alla giustizia in Africa, grazie ai loro principi e al loro carattere disinteressato. … Cuito Cuanavale fu il punto di svolta nella lotta per liberare il continente e il nostro paese dal flagello dell’apartheid! … La decisiva sconfitta di Cuito Cuanavale ha modificato l’equilibrio delle forze nella regione e sensibilmente ridotto la capacità del regime di Pretoria di destabilizzare i vicini. Tutto questo, in sintonia con le lotte del nostro popolo all’interno del paese, è stato cruciale perché Pretoria capisse di dovere avviare un negoziato.»

Nel 1990 il Sudafrica, unico caso al mondo, smantella il proprio arsenale nucleare, che aveva evidentemente un ruolo di dominio regionale. Nel 1994 si tengono le prime elezioni libere, vinte dall’ANC: ne segue un governo di unità nazionale, presieduto da Mandela (in qualità anche di presidente della Repubblica) e con De Klerk alla vicepresidenza.

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La vittoria definitiva nella guerra d’Angola cade anche per Cuba in una svolta cruciale della sua storia: la dissoluzione dell’URSS nel 1991 apre un periodo drammatico, il PIL cubano crolla del 40%, Fidel proclama il “Periodo Speciale in tempo di pace”. L’epopea della guerra in Angola diventa anche collante della nazione cubana: le profonde difficoltà economiche non arrestano comunque la solidarietà internazionalista, che prosegue e si intensifica soprattutto con la cooperazione medica, e con l’Angola anche nell’istruzione.

Cuba è stato il solo paese esterno all’Africa che è intervento militarmente senza portare via una goccia di petrolio o un grammo di altre ricchezze del continente.

1. Raccomando l’appassionata recensione del film di Davide Turrini, “Ancora un giorno, il vibrante e avvincente racconto per immagini del reportage di Kapuscinski in Angola”, Il Fatto Quotidiano, 16 aprile 2019, https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/16/ancora-un-giorno-il-vibrante-e-avvincente-racconto-per-immagini-del-reportage-di-kapuscinski-in-angola/5112814/.