In tutto il mondo, gli scienziati parlano come mai prima d’ora di una situazione di emergenza riguardante la salute del pianeta, la quale minaccia la “vita complessa”, compresa, per definizione, la vita umana. Il che è spaventoso. A tal proposito, le ONG verdi americane preferiscono affrontare il pericolo senza sbilanciarsi troppo per non spaventare la popolazione: troppa tragicità e l’assenza di speranze hanno l’effetto contrario, inibiscono le persone, sono controproducenti.

Tuttavia, tali emergenze si verificano ormai da tempo e sono perciò difficili da ignorare. In effetti, è per questo che è così palesemente facile dichiarare emergenze oggi, ieri, l’altro ieri e molto prima ancora. In altre parole, la casa è in fiamme da tempo, ma i vigili del fuoco non si vedono.

Un recente studio di fondamentale importanza discute la questione cruciale del mancato supporto alla vita complessa: “L’umanità sta causando una rapida perdita di biodiversità e, con essa, la capacità della Terra di sostenere la vita complessa”. (Fonte: Corey J.A. Bradshaw, et al, Underestimating the Challenges of Avoiding a Ghastly Future, Frontiers in Conservation Science, 13 gennaio 2021)

Le conseguenze sono inquietanti. Secondo lo studio, la capacità della Terra di sostenere la vita complessa è ufficialmente a rischio. Questo è il significato che gli scienziati intendono trasmettere tramite il titolo dell’articolo: “Capire la sfida di evitare un futuro spaventoso”.

In effetti, l’articolo identifica una cronologia di vita o di morte, o una sintesi, di tutte le emergenze già in corso. È la realtà! Inoltre, il rischio di un “futuro spaventoso” viene preso tutt’altro che alla leggera; l’articolo, ampiamente documentato, include il lavoro di scienziati rinomati ed autorevoli che elaborano uno dei documenti più significativi del 21° secolo, descrivendo in modo audace i rischi di un percorso inusuale verso un futuro indesiderabile, sollevando quindi la domanda di come possa poi manifestarsi sul piano della realtà.

La descrizione di un futuro spaventoso descrive un pianeta che ansima, tossisce e boccheggia per l’aria, alla ricerca di acqua non tossica, mentre la biodiversità si riduce a zero e i livelli eccessivi atmosferici di CO2-e causano un calore letale alla sopravvivenza della vita complessa. Suona familiare? In parte lo è.

Nel frattempo, la perdita irrimediabile di vertebrati, o forme di vita complesse come mammiferi selvatici, uccelli, rettili e anfibi si è ridotta al 5% della biomassa totale del pianeta. Il restante 95% sono il bestiame (59%) e gli esseri umani (36%), (Bradshaw, et al). Quanto durerà una tale relazione di comodo?

Potrebbe forse anche durare per decenni, ma probabilmente non per secoli. D’altronde, nessuno lo sa con certezza. Intanto, la versione umana della vita complessa assume uno stile di vita comodo e artificiale, incorniciato da cemento, acciaio, vetro, legno e plastica, e circondato da fertilizzanti nocivi, insetticidi tossici e tonnellate di sostanze chimiche non testate. Negli Stati Uniti ci sono più di 80.000 prodotti chimici registrati per l’uso, la maggior parte dei quali non sono stati testati per la sicurezza o la tossicità nei confronti degli esseri umani. (Fonte: It Could Take Centuries for EPA to Test all the Unregulated Chemicals Under a New Landmark Bill, PBS News Hour, 22 giugno 2016)

Come esempio degli stili di vita artificiali che influenzano il modo di vedere il mondo, non sorprende che Disneyland abbia un enorme successo e sia popolare con la sua impeccabile artificialità che offre una zona di comfort alle famiglie in uno scenario di biodiversità tanto esilarante quanto fittizia.

Ma, mentre Disneyland prospera, la biodiversità è su un pendio scivoloso, sul quale cerca di aggrapparsi tra gli stenti, ridotta al 5% della biomassa totale. Una volta che quest’ultimo 5% andrà a farsi benedire, cosa che sembra ormai probabile, la vita umana sarà tutto ciò che rimane, insieme a mandrie di mucche, recinti di maiali e pollai. Uff!

È sconvolgente che i due terzi delle specie selvatiche di vertebrati siano scomparsi dalla faccia del pianeta in soli 50 anni, un record mondiale di velocità per gli eventi di estinzione. Di questo passo, il famigerato Antropocene inaugurerà il secolo più cupo fin dagli inizi dell’Era olocenica degli ultimi 10.000 anni, soprattutto in considerazione del miserabile fatto che le zone umide globali sono state ridotte negli ultimi 300 anni al 15% della loro estensione originale.

Quest’unico fatto, come evidenziato nel rapporto Bradshaw, rappresenta già di per sé una falla enorme nella linfa vitale del pianeta. Le zone umide sono i “reni del paesaggio mondiale” che (a) puliscono l’acqua, (b) mitigano le inondazioni, (c) ricaricano le falde acquifere sotterranee e (d) forniscono gli habitat per la biodiversità. Cos’altro ha tante funzioni benefiche?

Una volta che le zone umide saranno sparite, non rimarrà alcuna speranza per i sistemi di supporto della vita complessa. Come saranno ricaricate le falde acquifere? Le falde acquifere sono la più importante riserva d’acqua del mondo. La NASA afferma che 13 delle 37 più grandi falde acquifere del pianeta sono classificate come sovrasfruttate, per la mancanza quasi totale di afflusso di acqua per compensare i prelievi. Nessuna zona umida, nessun rifornimento. Ipso facto, il Medio Oriente è in allerta speciale!

Nel frattempo, gli ecosistemi danneggiati e agonizzanti di tutto il mondo stanno morendo come mosche, contando un calo di più del 40% per le foreste di alghe, del 50% per le barriere coralline e del 40% per tutta la vita vegetale in via di estinzione, oltre alla grave perdita di insetti nell’ordine del 70 –  90%, avvicinandosi all’annientamento totale in alcune regioni. È assolutamente plausibile che il pianeta non avesse finora sperimentato un tale tasso di perdita.

Purtroppo, la perdita di biodiversità porta ad una pletora di riduzioni nei benefici associati ad un pianeta sano: (1) sequestro ridotto di carbonio (CO2-e già ai massimi storici), (2) impollinazione ridotta (annientamento degli insetti), (3) degradazione del suolo (specialmente in Africa), (4) aria e acqua inquinata (specialmente in India), (5) gravi inondazioni (specialmente nel Midwest americano), (6) incendi colossali (Siberia, California, Amazzonia, Australia), (7) salute compromessa (virus dilaganti e 140 milioni di americani con almeno una malattia cronica, probabilmente causata, in parte, dal degrado ambientale e dalla troppa tossicità).

A meno che non si compia uno sforzo universale di recupero dei sistemi di supporto della vita complessa sulla Terra, per esempio tramite il ripristino delle zone umide, è difficile concepire la vita futura senza tute di protezione.

In concomitanza con la crescente perdita delle ricchezze della natura, un pianeta sovraffollato porta alla limitazione delle risorse rigenerative. Alcune stime affermano che 700-800 milioni di persone stanno già patendo la fame e 1-2 miliardi sono malnutriti e incapaci di vivere nel pieno delle proprie forze. Cos’è questa, la vita o una sua sottospecie?

Una delle statistiche più eloquenti del rapporto Bradshaw afferma: “Contemporaneamente alla crescita della popolazione, il consumo della capacità rigenerativa della Terra da parte degli esseri umani è cresciuto dal 73% nel 1960 al 170% nel 2016”. Ipso facto, gli esseri umani stanno consumando più di una Terra. Per quanto tempo potremo andare avanti così, considerando il fatto deprimente che i prelievi di risorse hanno superato la capacità di rigenerazione già negli anni ’70?

Il deficit ecologico è un elemento centrale nella perdita di biodiversità: “Questo massiccio deficit ecologico è in gran parte reso possibile dal crescente uso di combustibili fossili. Questi combustibili a buon mercato ci hanno permesso di disaccoppiare la domanda umana dalla rigenerazione biologica: l’85% dell’energia commerciale, il 65% delle fibre e la maggior parte della plastica sono ora prodotti da combustibili fossili. Inoltre, la produzione di cibo dipende dall’apporto di combustibili fossili, visto che ogni unità di energia alimentare prodotta richiede un multiplo di energia proveniente dai combustibili fossili ( 3 volte per i paesi ad alto consumo come Canada, Australia, USA e Cina; overshootday.org)”. (Bradshaw, et al).

Man mano che la perdita di biodiversità scava sempre più a fondo nella linfa vitale del pianeta, essa diventa un problema incancrenito che non conosce fine. Malgrado ciò, “arrestare la perdita di biodiversità non è neanche lontanamente la priorità dei paesi, passando in secondo piano rispetto ad altre problematiche quali il tasso di occupazione, la sanità, la crescita economica o la stabilità monetaria. Non stupisce quindi che nessuno dei Aichi Biodiversity Targets per il 2020, stabiliti alla conferenza della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD.int) del 2010, sia stato raggiunto” (Bradshaw, et al). Nessuna sorpresa.

A peggiorare le cose: “la maggior parte degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile  delle Nazioni Unite relativi alla natura sono anch’essi sulla strada del fallimento”. (Bradshaw, et al) Nessuna sorpresa.

“Persino il Forum economico mondiale, prigioniero della pericolosa propaganda dell’ecologismo di facciata, ora riconosce la perdita di biodiversità come una delle principali minacce all’economia globale. (Bradshaw, et al) Nessuna sorpresa.

Dove, quando e come allora vanno trovate le soluzioni? Come detto sopra, le idee non mancano, ma nessuno le mette in atto perché le soluzioni sono impegnative, troppo costose, troppo complicate. Eppure, sono in corso dei progetti per mandare l’uomo su Marte!

Intanto, il prorompente fiasco del riscaldamento globale è oggetto di una formula inopportuna ed autoregolamentata dagli Stati di tutto il mondo (Parigi 2015) per contenere il temuto CO2-e, ma che si dimostra angosciosamente inadeguata. I gas serra indotti dall’uomo continuano a raggiungere livelli da record anno dopo anno. Questa è l’antitesi del successo. Secondo il rapporto Bradshaw: “senza tali impegni, l’aumento stimato della temperatura terrestre sarà catastrofico per la biodiversità”. Mmm… sarà forse il caso di dichiarare un’altra emergenza, sì, no?

Ahimè, è difficile immaginare un’ulteriore perdita di biodiversità oltre a quella che si è già verificata con i due terzi della vita vertebrata selvatica sparita in soli 40-50 anni. Per non dimenticare poi gli invertebrati: quando è stata l’ultima volta che un insetto si è spiaccicato su un parabrezza da qualche parte in America?

Pensando al futuro, il miglior consiglio potrebbe essere quello di fare i preparativi per il pandemonio universale, che per coincidenza è l’omonimo della capitale (Pandemonio) dell’inferno nel Paradiso Perduto di John Milton, nell’Inghilterra del XVII secolo.

Cosa fare? Forse rinunciare a qualsiasi nuova dichiarazione di emergenza, visto che le numerose  emergenze già in atto, come l’imminente perdita della Grande Barriera Corallina, sono troppe da gestire. I piani di recupero non hanno un futuro, lasciandosi alle spalle un fiume di promesse infrante e false speranze dopo tanti anni di protocolli e riunioni che non hanno portato ad alcun passo avanti, mentre predicano la tutela del pianeta. A che pro?

Post scriptum: l’entità delle minacce alla biosfera e a tutte le sue forme di vita – compresa l’umanità – è in effetti così grande che anche per gli esperti più informati è difficile da comprendere. (Sottovalutando le Sfide di Evitare un Futuro Spaventoso)

Traduzione dall’inglese di Cecilia Costantini. Revisione di Thomas Schmid