Vorrei aiutarti. Da che parte sei arrivato?

Vorrei consigliarti un modo per rendere possibile l’impossibile, partendo dal presupposto che i principi giuridici di base e i fondamenti culturali dell’economia globale impediscono ormai all’umanità e alla biosfera di sopravvivere alle crisi che generano molto più a lungo. Se superiamo le calamità di oggi, presumo che le stesse cause che le hanno generate genereranno ulteriori calamità, a meno che le istituzioni umane non vengano radicalmente modificate. Genereranno più incompetenza nell’affrontare nuovi e peggiori attacchi di virus, più incendi boschivi, disuguaglianze più estreme, rifugiati economici più disperati che attraversano i confini come migranti illegali e reazioni più ostili contro di loro, condizioni meteorologiche più estreme, più violenza, una politica più insensata, più razzismo… Come metodologia per modificarli radicalmente, suggerisco di ripercorrere selettivamente a ritroso la costruzione storica e sociale della realtà che ci ha portati a raggiungerli.

Non che io ignori gli orrori del passato o che non sia grato per le benedizioni della modernità. Tra queste benedizioni, includo le lezioni che apprendiamo e la motivazione che sentiamo, a causa del fallimento perenne della modernità nel mantenere le sue promesse: il suo liberté, égalité, fraternité (1789); il suo governo del popolo, dal popolo e per il popolo (1863); il suo trattato che bandisce la guerra (1928); la sua dichiarazione universale dei diritti umani (1948); il suo accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (2016)… . Se quelle promesse non fossero mai state fatte, proveremmo meno ispirazione e meno indignazione. Sapremmo meno di come funziona il mondo.

Nel frattempo, la modernità ha anche portato risultati concreti dei quali essere grati. Le sue realizzazioni ci consigliano di evitare di risolvere i nostri problemi ancora irrisolti in modi che complicano problemi che sono già stati risolti, come il problema di rifornire un supermercato con prodotti di qualità a prezzi accessibili.

Qui di seguito, voglio concentrarmi sulla tradizione giudaico-cristiana, sia perché è quella a cui appartengo, sia per una ragione più importante. Il sistema mondiale moderno è iniziato come sistema mondiale europeo. La religione europea era il suo interlocutore. Partendo dall’Europa e, in una certa misura, dai tredici stati originari degli Stati Uniti, si espanse fino a includere il resto del mondo, principalmente con la forza delle armi. La costruzione sociale della giurisprudenza di base, dell’economia e della religione civile che costituiscono l’OMC, l’FMI, la Banca mondiale, l’OCSE, le borse e le banche, ecc… deriva proprio da questo percorso. In effetti, tutte le organizzazioni mondiali esistenti oggi, legali e illegali, pubbliche e private, militari e civili, sono il risultato, per ora, almeno in parte, di processi iniziati in Europa. L’Europa stessa non è un vero continente, ma una penisola dell’Asia che ha cominciato ad assumere un’identità propria di quasi-continente separato in quanto “Cristiano.”  Le istituzioni dell’ipermoderno mondo globalizzato di oggi hanno invariabilmente origine nella lunga lotta del capitalismo per nascere nel luogo in cui è nato.

Qui di seguito, propongo di ripercorrere a ritroso la strada che ha condotto all’odierna ipermodernità, che è iniziata nella premodernità europea e che risale alle radici dell’Europa nel Vicino Oriente. Conosco persone le cui nazioni hanno conosciuto per la prima volta l’Europa quando furono conquistate. E che si sforzano anche di ottenere il meglio di entrambi i mondi, sintetizzando il meglio del vecchio con il meglio del nuovo. I loro contesti tradizionali sono africani, americani precolombiani, musulmani, indù e cinesi. A giudicare dalle sue osservazioni del 1978, quando fu invitato a tenere il discorso per la cerimonia di consegna delle lauree ad Harvard, Alexander Solzhenitsyn perseguiva una sintesi simile per la Russia. Scelse il giorno della cerimonia di consegna delle lauree per diagnosticare un’overdose di modernità che paralizzava gli Stati Uniti. Troppi americani avevano totalmente creduto alla definizione di libertà del XVIII secolo di Denis Diderot: libertà significa che sei libero di fare tutto ciò che la legge non vieta.

Dal contratto allo status

Il mio percorso cristiano a ritroso (con radici ebraiche) prosegue parallelamente ai loro percorsi a ritroso, per lo più post-coloniali. Il mio inizia ripercorrendo all’indietro il percorso dallo status al contratto che, secondo Sir Henry Maine, è il percorso che si allontana da una società tradizionale e definisce una società moderna. Ripercorrendo il sentiero storico, smantellando selettivamente il percorso dallo status al contratto che, secondo la famosa teoria di Sir Henry Maine, pubblicata per la prima volta nel 1861, ci ha resi moderni, scopriamo che ogni vittoria per i diritti sociali umani è una vittoria per lo status. Ci avvicina al giorno in cui potremo dire a ogni bambino appena nato, il cui primo impulso è quello di attaccarsi al seno di sua madre: “Sì, tesoro, il messaggio di tua madre è vero. Sei davvero al sicuro qui, nel mondo in cui sei arrivato. Non sei destinato a crescere per diventare una risorsa umana, che potrà avere più o meno valore nel mercato del lavoro. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è una promessa che l’umanità ha fatto a sé stessa e sta mantenendo la sua promessa. Crescerai per avere dignità, per avere lo status di persona, e quindi avrai assistenza sanitaria, avrai un lavoro, avrai un’istruzione e una pensione adeguata nella tua vecchiaia”.

Come hanno proposto i vescovi del Cile, la vera libertà non è la libertà dello schiavo emancipato, libero di mettersi in vendita sul mercato del lavoro, che potrebbe trovare o non trovare un acquirente che calcoli quanto sia vantaggioso offrirgli un contratto di lavoro. E che potrà o non potrà avere un letto e una camera da letto dove dormire la notte, che potrà o non potrà ricevere cure mediche quando è malato o ferito e che potrà o non potrà avere un sostegno una volta raggiunta l’età pensionabile, a seconda che riesca o non riesca a vendersi sul mercato del lavoro a un prezzo abbastanza alto da guadagnare abbastanza denaro per affittare o acquistare un’abitazione, per pagare i premi dell’assicurazione sanitaria e mettere da parte qualcosa per la vecchiaia. La vera libertà è la libertà del membro della famiglia che viene amato in modo incondizionato.

Tornare dalla proprietà come dominio alla proprietà come responsabilità

Per aiutarci a ripercorrere a ritroso il sentiero storico dalla proprietà come dominio alla proprietà e al talento come doni, da amministrare per servire gli altri (Luca 12:48; 1 Corinzi 4: 7), ci rifacciamo agli storici e agli antropologi che dimostrano con i fatti che non c’è niente di universale o naturale nel diritto assoluto alla proprietà che oggi molti ritengono universale e naturale. Non solo non è universale. Non è nemmeno la nostra tradizione occidentale.

Dico “con i fatti” per creare un contrasto con le finzioni della giurisprudenza moderna che trionfò nell’Europa del XVII e del XVIII secolo. Oggi, mentre lottiamo per far fronte al Covid, alle economie in stallo e alla disoccupazione di massa che probabilmente sarà permanente, le prime inflessibili finzioni moderne competono con filosofie funzionali e pragmatiche che cercano di rendere la legge parte della soluzione e non parte del problema. Un esempio di inflessibilità: la finzione che i nostri lontani antenati fossero nobili selvaggi (o una volta esistesse la ragione pura, o la verità evidente, o i padri fondatori) nei quali la Natura aveva già instillato il principio dei diritti di proprietà assoluti. Questi si unirono per fondare una società. Lo fecero firmando un contratto che prevedeva che i diritti assoluti dei proprietari fossero eterni e non potessero essere modificati dai loro discendenti. Come ha dimostrato Michel Foucault, la giurisprudenza moderna si basa sulla finzione che il fondamento della legge sia un simile contratto solo perché i partigiani di quell’ideologia hanno vinto le guerre civili.

Se ripercorriamo la storia europea solo fino a pochi decenni fa, dopo la Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione britannica del 1689, scopriremo che le stesse tradizioni europee, e non solo i popoli postcoloniali che hanno recuperato la loro identità dopo la liberazione dal dominio europeo, sostengono la solidarietà e la condivisione. Nello stesso Occidente, oggi (2020) ci sono ondate di sostegno per comunità di solidarietà, imprenditoria sociale, nuovi accordi sull’impatto climatico, condivisione tramite lo scambio di necessità con gli altri tramite Internet, software gratuiti e imprese al servizio di tutte le parti interessate, incluso l’ambiente naturale. Ci sono ondate di sostegno per la ricostruzione delle reti di sicurezza sociale, annullare l’acquisizione dei guadagni di produttività dell’1% e mettere fuori legge tutti i numerosi racket, non etici ma legali, come il riacquisto di azioni e l’occultamento di denaro in fondi fiduciari segreti.

Proseguendo a ritroso il percorso della storia, scopriamo che l’Occidente stesso, come l’Est e il Sud postcoloniali, sta recuperando la sua identità. Né Giovanni Calvino né Martin Lutero (e certamente nemmeno il suo omonimo Martin Luther King Jr.) sarebbero in disaccordo con San Tommaso d’Aquino quando scrive: tutto ciò che possiedi non è solo tuo; appartiene anche ai bisognosi, che puoi aiutare con ciò che ti avanza. (Summa Theologiae, 2da Questione 32, Art. 5. Risposta 2)

Dall’impulso per il denaro all’impulso per la missione

Quest’ultima proposta è salita su un treno che stava già viaggiando. Viaggia da molto tempo e recentemente è stata al centro della scena come visione psicologica in grado di risolvere i problemi irrisolti dell’economia. Era pronto a partire quando Mosè disse al Signore “Eccomi.” (Esodo 3: 4) Cominciò quando il Signore mandò Mosè in missione per liberare Israele dalla schiavitù dell’Egitto, dicendo “Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: …) (Esodo 3:12) La missione di Mosè divenne il tema centrale della Torah e, quindi, una componente fondamentale dell’Antico Testamento cristiano e parte integrante dell’eredità comune del Popolo del Libro riconosciuto dall’Islam. Nel ventesimo secolo, è stata il fulcro della Teologia della Liberazione.

In precedenza, quando gli studiosi occidentali avevano iniziato a prendere sul serio l’Oriente, alcuni avevano già ipotizzato che forse i concetti indù e buddisti del dharma svolgessero funzioni sociali simili e fossero più antichi. Ma non finisce qui. Più la scienza impara sugli esseri umani, più impara che siamo creature che hanno bisogno di risposte alle domande “Chi sono io?”e “Perché sono io?” Victor Frankl è riuscito a dimostrare che le persone che vivono per uno scopo al di là di sé stesse sono più resilienti. È più probabile che sopravvivano e rimangano sane di mente anche nelle difficoltà e nelle umiliazioni estreme di un campo di concentramento nazista.

Altri psicologi collegano la motivazione all’identità. Le notizie non sono sempre buone. Sebbene il potenziale genetico umano sia codificato biologicamente per essere codificato culturalmente e le culture siano infinitamente varie, alcuni risultati sono più probabili di altri. In condizioni favorevoli, la maggior parte degli esseri umani, qualunque sia la loro cultura, provano empatia per coloro che soffrono e sono fedeli alle convenzioni del clan o della nazione con cui si identificano. Tuttavia, possono provare indifferenza o ostilità verso persone diverse da loro. Il concetto di diritti umani universali non è un istinto. Deve essere appreso. Dovremmo considerare proposte come quelle di alcuni filosofi africani di insegnare gli antichi principi di Ubuntu (“Io sono perché tu sei”) come contributi all’educazione universale ai diritti umani.

La pratica di San Paolo Apostolo, l’autore dei primi testi cristiani, dà un contributo speciale al treno che oggi trasporta numerose versioni di economia responsabile, verde e orientata alla missione.Il lavoro di Paolo era costruire tende. Dopo aver costruito abbastanza tende per guadagnarsi da vivere, continuò deliberatamente a costruire altre tende da condividere con i bisognosi. (Atti 20: 33-35) Quanto a sé stesso, Paolo non desiderava lussi. Al giorno d’oggi, ciò che faceva Paolo costruendo tende si è trasformato nel riuscire a creare valore sociale.

Ripercorrendo il sentiero storico che ci ha portati dove siamo, noi umani dovremmo cogliere l’attimo, carpe diem. La disoccupazione di massa, insieme all’attuale tendenza a vivere una vita etica e significativa e al flusso continuo di tecnologie super-produttive, si aggiunge alle opportunità. Dovremmo arrivare al giorno in cui gli esseri umani trascorreranno il loro tempo svolgendo attività di valore intrinseco (sport, musica, scienza, filosofia, danza, religione, studi, giardinaggio, yoga, ecc.), mentre la tecnologia avanzata produce maggiori e migliori beni e servizi, creando un’eccedenza da condividere.

Traduzione dall’inglese di Simona Trapani. Revisione di Thomas Schmid