Sicuramente dopo ogni decisione presa, dopo ogni percorso fatto, ti fermi per un attimo, giusto per riflettere su quello che hai passato, cosa hai cambiato nella tua vita. E lungo il cammino trovi tante cose da migliorare. Se potessi tornare indietro non cambierei nulla. Io farei lo stesso viaggio, con le stesse persone… Ci sono state delle difficoltà, ma non per questo ci devono essere rimpianti.

Ero una donna migrante e per poter costruire un progetto di vita dovevo capire e comprendere prima questa parola, che per me ha un altro significato rispetto a come viene generalmente interpretata. Oggi non so se vale la pena chiedere ‘Da dove vieni?’, ‘Perché sei qui?’, eppure sono domande che spesso si fanno appena si vede una persona di colore, una donna che indossa un velo, o una persona che parla un’altra lingua.

Sembra così assurdo, ma i migranti sono abituati alla parola discriminazione. Sai perché? Perché hanno occhi e mentalità per guardare oltre… il viaggio non finisce mai…

Il mio libro “La mia storia è la tua storia” cristallizza racconti, prospettive e sentimenti di quanti si lasciano alle spalle la propria terra per cercare il domani oltre un triste orizzonte di dolore, o più semplicemente per mordere il presente senza paura.

Ma la paura spesso si annida proprio là, dove si spera di trovare la propria dimensione per vivere, crescere, a volte rinascere e dove si finisce spesso per ferirsi contro un muro di indifferenza e intolleranza. Contro quello che, oggi come ieri, è il senso immotivato di un sentimento di dis-integrazione culturale e sociale che resta incrostato nella mente di tanti, pronto ad aggredire i cuori.

Il progetto “La mia storia è la tua storia” è una raccolta di testimonianze di tante persone che ho incontrato durante il mio percorso quinquennale come animatrice culturale. Penso che sia un progetto di cui ci sia molta necessità, sia per aiutare chi arriva in Italia a sentirsi meno “migrante”, sia per aiutare chi in Italia ci vive e ha bisogno di conoscere gli altri. Conoscere fa passare la paura. Le storie formano variabili e ammirevoli composizioni e i frammenti di vita dei migranti (uomini, donne, ragazzi e ragazze) mostrano la verità delle loro condizioni: qualcuno prima di partire era un venditore ambulante o un soldato, un farmacista o un calzolaio, oppure un falegname, alcuni sono fuggiti dalla guerra e altri da luoghi in cui bande di criminali pretendono denaro sotto la minaccia di una fine atroce.

Questo libro è uno strumento di cultura e di conoscenza. È un oggetto importante: non parla, ma dice tanto. Non a caso l’ho scelto per rappresentare il mio lavoro. Il libro è stato e sarà per sempre il mio compagno di questo viaggio. Ho sempre creduto in questo oggetto… adesso più che mai, perché lì dentro non c’è solo il mio sogno, ma anche i sogni di chi ci ha creduto e ha affidato a quelle pagine la sua storia di vita.

Tutte le storie sono uniche perché ognuna di loro trasmette un messaggio, un vissuto, un frammento di vita, ma ce n’è una che conservo nel cuore ed è quella di Ben Fadel. Un tunisino, un grande lavoratore che ha lasciato questa vita lavorando, dedicando al lavoro il suo ultimo respiro. Si è spento appena una settimana dopo avermi raccontato la sua storia e mi sento onorata di averlo conosciuto. Adesso la sua famiglia ha una memoria scritta da leggere, conservare, rileggere. E non solo loro, ma anche noi…

Raccontare le storie di chi lascia la propria terra vuole dire raccontare le radici, vuole dire raccontare l’origine di queste vite, alla fine vuole dire raccontare la storia di tanti paesi. Dietro la terra abbandonata o lasciata c’è sempre una motivazione, che non è sempre scontata, non è sempre facile da scoprire. Almeno ascoltiamola…