Le professioni legate alla medicina sono state quelle più sotto i riflettori, dall’inizio della pandemia da coronavirus. Ricercatori di tutti i tipi si sono susseguiti nelle trasmissioni televisive, sui giornali e nei social network e hanno diffuso le loro verità, spesso contrastanti, con maggiore o minore superbia e saccenteria. Poco invece si è visto parlare i medici internisti, i medici di base, gli infermieri, gli operatori sanitari e tutti quelli che erano davvero impegnati nel contenere la malattia. Forse non avevano il tempo di andare in TV o di rilasciare interviste?

Ma le guarigioni sono aumentate e i nostri “eroi” erano sempre vestiti come astronauti, con le ferite sul viso da mascherina portata troppo tempo, stanchi e visibilmente soddisfatti o tragicamente frustrati, a seconda degli eventi della giornata e della condizione in cui versavano. A parlare invece, solo gente in giacca e cravatta – generalmente uomini -, gente ben pulita e pettinata, che firma libri, gioca alla guerra di twitter e sorride ai fotografi.

Poi hanno iniziato ad arrivare le notizie meno edificanti: gli errori di protocollo medico, gli aneddoti di pessima gestione dei malati con e senza covid-19, i comportamenti tutto fuori che eroici da parte di alcuni lavoratori della sanità. Non più eroi, dunque, ma codardi, scansafatiche, approfittatori, corrotti?

Anche i ricercatori in TV hanno perso un po’ del loro splendore mentre le diverse realtà nei vari paesi, oltre che in Italia, iniziavano a smentire le verità da loro rivelate. Sono iniziate le diatribe fra di loro, fino ad arrivare agli insulti, anche se a volte pronunziati in un gergo medico da iniziati.

Personalmente ho una avversione epidermica al Manicheismo (vedere tutto bianco o tutto nero). Adoro i toni di grigio. Ai miei occhi la realtà non è mai perfettamente definita ed è in rapida mutazione (forse a causa dei miei difetti visivi). Comunque sia, la storia dei “buoni e cattivi” o degli “eroi e codardi” non mi ha mai convinto molto.

Tra i cosiddetti eroi, c’è sicuramente una percentuale di persone che stava semplicemente cercando di fare bene il proprio lavoro. Persone che hanno scelto col cuore questo lavoro che, ricordiamolo, non è come andare a fare dei fogli in un ufficio. Persone con un’alta vocazione che sono disponibili ad affrontare questa ed altre emergenze sanitarie, come parte della loro funzione in questa vita. Un’altra percentuale di loro, anche se ha lavorato duramente, forse non si è sentita appagata, forse ha avuto paura e ha cercato di evitare dei turni, forse si è spazientita con i parenti che telefonavano in continuazione, forse ha fatto errori grossolani che sono costati delle vite?

Tra i cosiddetti codardi, c’è di sicuro chi si è biecamente approfittato della situazione, e questo forse lo ha sempre fatto, anche prima del coronavirus. La nostra sanità è sempre stata molto variegata, per dirlo in forma artistica. Ma c’è anche chi, forse, si è ritrovato incastrato in una situazione in cui non ha saputo dare risposte coerenti, o è stato intimorito e si è tradito per non perdere il lavoro, o ha creduto che fosse la cosa migliore da fare fino a che non ne ha visto i risultati, o ha cercato di minimizzare la percezione di ciò a cui assisteva perché nella vita personale aveva enormi gatte da pelare che gli consumavano tutta l’energia.

Quello che è certo è che oggi, con la curva discendente dei contagi, dei ricoveri e dei decessi, cominciano a levarsi le voci di quelli che erano sul campo.

Io sono una scrittrice, e quando scrivo storie è perché le ho vissute in prima persona o sono stata nello scenario in cui sono accadute, non le ho studiate in un qualche modello in laboratorio.

È arrivato il momento di ascoltare attentamente le loro voci.