Abbiamo chiesto a Valentina Guastini, insegnante di scuola primaria a Sestri Levante (Genova), una riflessione sulle possibilità di cambiamento in campo educativo aperte dalla nuova situazione creata dall’emergenza sanitaria. 

Valentina fa parte del direttivo dell’associazione RETE DI COOPERAZIONE EDUCATIVA  http://www.retedicooperazioneeducativa.it.

Forse la storia avrebbe dovuto insegnarci che situazioni terribili come guerre o, appunto, pandemie possono trasformarsi in qualcosa di utile per non continuare a cadere nei tombini.

Agli occhi di tutti è apparsa una sanità impreparata, senza fondi che, subendo anni di tagli, si è ridotta all’osso.  Molto simile l’effetto nella scuola.

Però credo anche che questa terribile faccenda del Covid-19 possa diventare un’occasione per progettare, una volta per tutte, quella scuola che gli insegnanti chiedono da tempo senza essere ascoltati.

Abbiamo delle Indicazioni Nazionali meravigliose già nella premessa e che ci dicono ben altro rispetto a quello che spesso accade fra le mura scolastiche. Abbiamo insegnanti spesso demotivati dalla crescente burocratizzazione che toglie tempo a bambini e ragazzi.

Lavoriamo in scuole senza spazi, adeguando con un cerotto attività che sogniamo ben differenti.  Le foto che ci arrivano da lontano, con bambine e bambini chiusi in scatole seduti ai banchi, sono deprimenti e anche inquietanti. Forse il sogno di alcuni insegnanti, di quelli che fanno alzare gli astucci perché fra di loro non copino, non interagiscano, non vivano. Gli unici a gioire di foto del genere sono quelli che dell’indifferenza e dell’odio fanno le loro basi culturali, ma sono convinta siano davvero pochi.

E forse questo periodo in cui molti insegnanti si sono mobilitati per fare e dare  il meglio di sé, lavorando come matti a tutte le ore del giorno, potrebbe essere servito a far capire che sono rimasti davvero in pochi quelli che non hanno a cuore la scuola. Eccoli gli ultimi giapponesi di cui parlava Faraone rivolgendosi erroneamente ai precari. Questa volta sono davvero venuti allo scoperto.

Da molto, moltissimo tempo la stragrande maggioranza degli insegnanti sogna  e chiede una scuola diversa. E adesso, ritrovandoci purtroppo nell’angosciante situazione di dover ricostruire tutto, di progettare ex novo, intravedo nella polvere delle cose buone che restano, quelle che abbiamo sempre chiesto.

La scuola è relazione!

Persino nella valutazione di apprendimenti specifici disciplinari, insieme allo studio, influisce il rapporto con l’insegnante. Ho incontrato professori meravigliosi nella mia vita, ma anche qualche ultimo giapponese.

La relazione affettiva che si instaura con un alunno è fatta di empatia e di fiducia, di tempo dedicato e di attenzioni personalizzate.

In Italia abbiamo classi sovraffollate in spazi ristretti, dove per ovviare a burocrazia e tempo mancante si fanno verifiche lampo, asettiche, prive di ogni motivazione. La motivazione è il perno di tutto l’apprendimento. Senza quella siamo fritti. La motivazione si sviluppa stimolando la curiosità e la bellissima sensazione di diventare proprietari del proprio sapere. Questa scuola a distanza ha ridotto i contenuti al minimo. Si lavora sui processi più che sui minimi dettagli dei contenuti e questo è un bene.

Allora immaginiamoci per tutti una scuola come dovrebbe già essere, con un numero adeguato di alunni per classe, dove poter lavorare sui processi che portano ad apprendere un determinato contenuto. I famosi compiti autentici, di realtà. Un lavoro di scoperta e di ricerca, motivato dalla passione che l’insegnante trasmette, mettendo corpo e mente in quello che fa e spronando gli alunni a fare altrettanto.

Io quando vedo le mie bambine e i miei bambini seduti davanti allo schermo mi deprimo. Alcuni hanno la fortuna di avere grandi terreni e fanno anche esperienze positive, altri sono asciutti, smunti, tirati. E nonostante gli insegnanti ce la stiano mettendo tutta, il difficile resta dotare di senso quello che viene fatto.  I bambini senza poter interagire si annoiano! L’apprendimento è veicolato da molti fattori difficilmente ripercorribili a distanza.  L’apprendimento passa attraverso il corpo, le emozioni, la libertà e il contatto con la natura.

Io e la mia collega abbiamo deciso di procedere con i colloqui individuali con le famiglie, così come avremmo fatto a scuola. Ci siamo prese tempi lunghi per collegamenti in video e abbiamo ascoltato i genitori per capire quali erano le condizioni e le reazioni effettive dei bambini rispetto alle attività che proponevamo. Condividere questo pezzo di strada con le famiglie ed eventuali situazioni, semplifica la percezione che la distanza non fa altro che incrementare. Le famiglie alleate in un patto educativo… Generalizzando un po’, ci sono situazioni dove questo non avveniva da molto tempo.

Non ho ancora idea di come si ripartirà a settembre. Penso che ogni Comune dovrà individuare le strategie più sicure, efficaci e funzionali in ogni territorio, ma per farlo dovrà finalmente ascoltare gli insegnanti e mettere in pratica investimenti già richiesti in tempi non sospetti a gran voce.

Abbiamo la possibilità di attuare quel cambiamento/ rinnovamento che già da tempo era necessario.

Ho appena fatto l’ordine del materiale per il prossimo anno scolastico e, senza sapere dove si andrà a parare, ho comprato un canestro. Un canestro da posizionare nel giardino spoglio della mia scuola senza palestra né panchine. E spero di passare all’esterno più tempo possibile con i miei bambini che non vedo l’ora anche solo di riguardare meglio negli occhi senza uno schermo.

E tutta la formazione di questi mesi servirà. Non verrà gettata alle ortiche perché in quegli apprendimenti c’è parte del futuro di quei bambini. E io voglio essere capace di fornirgli una riflessione fra indispensabile, emergenziale, opportuno e superfluo.  E so che molto hanno già capito.

Si parla molto di valutazione e dei voti che abbiamo dato a questi bambini. Faccio brutto se dico che non mi importa? Sarà che hanno imparato a capire come la penso e alcuni nemmeno guardano la pagella. I numeri non sono importanti, sono abituati ad avere un feedback sulle loro attività quotidiane. In questa situazione cerco sempre di ricordare quanto sono bravi. Ringrazio per ogni lavoro svolto, ben conscia del sottobosco emotivo che questa situazione comporta. Che voto potranno mai avere dei bambini e delle bambine di 8 anni in un momento così? Serve ancora chiederselo? Allora mi piace molto affidarmi al “giudizio di passaggio” come letto in alcune slide dell’Università di Genova. Una valutazione formativa che tenga conto di tutta l’ampia gamma di apprendimenti, voluti o meno, che l’esperienza ha portato ad instillare in ciascuno di loro.

Ci meritiamo di migliorare la qualità delle nostre vite, attraverso un lavoro sulle percezione di sé come parte di questo mondo che resta nudo. Ci meritiamo di ripartire senza dimenticare, ma lavorando su quello che sta accadendo e capirne le sfumature. Ci meritiamo tempi lunghi per dedicarci alle pieghe e alle domande.

Ci meritiamo l’aria aperta, il verde sotto ai piedi e un immenso cielo da imparare.

Io ho comprato un canestro.