Il lockdown è terminato, la vita riprende. Con poche certezze e tante incognite. Il Covid19, non è una semplice emergenza sanitaria. Ha reso ancora più palesi le criticità del nostro sistema di vita: del sistema sanitario; del sistema scolastico; della tutela delle fasce deboli; della tutela dell’ambiente; del sistema economico e produttivo. Molto è da riscrivere. In questo contesto, si torna a parlare di energia nucleare. Recentissima è la lettera dell’industria nucleare alle istituzioni europee. Tra i firmatari anche l’Associazione Italiana Nucleare e Ansaldo Nucleare. il testo integrale della lettera, può essere consultato sul sito www.associazioneitaliananucleare.it.

Ne riportiamo uno stralcio: “La capacità nucleare già operativa ad oggi, unitamente alla continua innovazione del settore, alla ricerca e sviluppo (per esempio nel campo dei reattori avanzati e dei reattori modulari), costituisce il complemento perfetto delle fonti rinnovabili al fine di rendere disponibile elettricità a bassa intensità di carboni, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno”. Il nucleare come fonte di energia pulita e a basso costo quindi, il volto buono dell’energia nucleare.

La storia del nostro paese, ha invece mostrato il suo lato oscuro . Siamo alla fine degli anni 50, l’Italia è impegnata nella ricostruzione. Dalle macerie, sorgono industrie, attività commerciali, infrastrutture, abitazioni. Con le nuove costruzioni, arrivano macchinari industriali, elettrodomestici, treni. Tutte cose che necessitano di energia elettrica. Tantissima . Produrre energia elettrica, costava molto. Con queste premesse, il nucleare venne visto come l’opzione migliore. Combustibile a basso costo e dalla lunga durata. Tanto bastava. Inizia così l’epoca del nucleare in Italia. Esiste un luogo simbolo, che racconta la corsa italiana all’atomo. Si tratta della centrale termonucleare del Garigliano. Nel territorio di Sessa Aurunca, al confine tra Campania e Lazio.

Il sito venne scelto, per la presenza del fiume Garigliano. Poteva fornire, in abbondanza, l’acqua necessaria per il funzionamento del reattore nucleare. Eppure proprio la presenza del fiume, rendeva la zona poco adatta, perché nei mesi invernali, il Garigliano esondava con conseguenti e rovinosi allagamenti. Inoltre la zona è ad elevato rischio sismico. Venne deciso di procedere comunque alla costruzione della centrale, per un costo di quaranta miliardi di lire. I lavori iniziano nel novembre 1959, cambiando la geografia fisica e sociale della zona. Una zona abitata da allevatori e contadini, a pochi chilometri dallo splendido golfo di Gaeta. Iniziano i lavori ed iniziano i problemi. Il 12 gennaio 1961, il fiume Garigliano straripa, allagando una parte del cantiere (Corriere della Sera 13 gennaio 1961). Un campanello d’allarme, ignorato. Il 31 agosto 1963, durante le prove di collaudo, un guasto danneggia gravemente l’avvolgimento dell’alternatore (Corriere della Sera 1 ottobre 1963). Saranno necessari sei mesi per le riparazioni. Il 1 giugno 1964, finalmente, la centrale nucleare del Garigliano inizia a produrre energia elettrica. Energia elettrica destinata, in gran parte all’illuminazione di Napoli  Corriere della Sera 27 febbraio 1964). L’attività della centrale nucleare del Garigliano, è segnata da numerosi incidenti. Otto, dal 1964 al 1978 ( Corriere della Sera 1981). Addirittura un tentativo di sabotaggio nel febbraio 1970 ( Corriere della Sera 4 febbraio 1970 ). Incidenti senza conseguenze secondo l’Enel. Eppure qualcosa comincia a cambiare. Le persone, gli animali e le piante, iniziano ad ammalarsi. Nei comuni attorno alla centrale nucleare  del Garigliano, i casi di malformazione genetica passano dai cinque del 1971 ai trentanove del 1983 (dati forniti dalla Unità Sanitaria Locale LT/6 di Formia). Si tratta dei comuni di Gaeta; Formia; Minturno; Castelforte; San Cosma e Damiano; Spigno Saturnia; Sessa Aurunca, Cellole, Mondragone. Sempre i medesimi comuni, tra il 1972 e il 1978 hanno registrato un aumento del 44,28% di casi di leucemia e cancro, mentre l’incremento a livello nazionale è stato del 7,99% (dati ISTAT). Pesanti anche le conseguenze sulla natura. Verdure  e animali con malformazioni genetiche. Pomodori con le corna; zucchine siamesi; frumento e granoturco con i cancro; vitelli con due teste (Corriere della Sera 7 ottobre 1979). Anche la magistratura inizia ad interessarsi della centrale nucleare del Garigliano. Nel 1981, il pretore di Sessa Aurunca indaga il direttore della centrale per reati che vanno dalla mancata denuncia di emergenza nucleare alla violazione delle prescrizioni per l’esercizio al superamento dei valori massimi ammissibili di radiazioni nell’aria o nelle acque potabili (Corriere della Sera dicembre 1981). Indagini che non avranno conseguenze penali, ma  portano all’attenzione della pubblica opinione le criticità del programma nucleare italiano. La centrale nucleare del Garigliano, viene fermata nell’agosto 1978, a causa di un guasto. Sarà l’ultimo. Enel considera troppo costosa la riparazione. Troppo costosa considerando anche la scarsa efficienza dimostrata negli anni dalla centrale. A tal proposito sono indicativi i dati sulla produzione di energia elettrica. Nel 1971 1163,7 GWe; nel 1972 436 GWe; nel 1973 970 GWe; nel 1974 719 GWe; nel 1975 470 Gwe; Nel 1976 1144 Gwe; nel 1977 448 GWe; nel 1978 456 GWe (dati IAEA).

Inoltre la sensibilità ambientalista della pubblica opinione, aumenta. Se l’impegno politico caratterizza gli anni 70, il movimento ecologista caratterizza gli anni 80. Dopo la catastrofe di Chernobyl, il destino delle centrali nucleari italiane è segnato. A certificarlo, il referendum del 1987 e il successivo referendum del 2011. Purtroppo le centrali nucleari non basta “spegnerle”, vanno smantellate e vanno smaltite le scorie radioattive. Con queste finalità, il 1 novembre 1999, viene costituita la Società Gestione Impianti Nucleari (SOGIN). SOGIN deve smantellare i siti nucleari e gestire i rifiuti radioattivi. SOGIN deve smantellare la centrale di Caorso; la centrale del Garigliano; la centrale di Latina, la centrale di Trino;  l’impianto FN di Bosco Marengo; gli impianti IPU e OPEC di Casaccia; l’impianto ITREC di Rotondella; l’impianto EUREX di Saluggia; il reattore ISPRA-1 di Varese. SOGIN deve gestire anche il combustibile irraggiato negli nelle centrali nucleari e negli impianti del ciclo del combustibile. Il combustibile irraggiato derivante dall’esercizio delle centrali nucleari è pari a 1864 tonnellate ( dati disponibili sul sito www.sogin.it). Quasi tutto il combustibile irraggiato nelle centrali, è stato inviato in Belgio, Francia e Inghilterra. Discorso diverso per il combustibile irraggiato presente negli impianti del ciclo del combustibile, che secondo i piani andrebbe conferito al Deposito Nazionale. Il Deposito Nazionale dovrebbe consentire la sistemazione definitiva di 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività e lo stoccaggio provvisorio di circa 17 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività. Dovrebbe, perché ancora non è stato realizzato, non si riesce ad individuare il sito idoneo. Tradotto, nessuno lo vuole.

Facciamo ancora i conti con la pesante eredità del fallimentare programma nucleare italiano, con le criticità emerse. I rischi per la salute pubblica e per la natura. Le grandi difficoltà nella gestione dei rifiuti radioattivi. Non ha senso parlare di futuro del nucleare in Italia, quando ancora non abbiamo risolto i problemi del passato. Forse non ci riusciremo mai completamente.

Il fallimento del programma nucleare italiano ci ha lasciato un prezioso insegnamento. Non conta quanta energia elettrica viene prodotta, ma come viene prodotta e come viene utilizzata, perché  vale ancora oggi il monito di John Kennedy “ I nostri problemi sono provocati dall’uomo ed è quindi l’uomo che può risolverli”.

Pierdomenico Corte Ruggiero