Di Ana Riaño, badante senza permesso di soggiorno. Da Diverses8M

La crisi sanitaria odierna ha rivelato che esiste una crisi dell’assistenza in cui le ingiustizie, le disuguaglianze, le violenze e i maltrattamenti aumentano sempre di più; in cui le politiche sociali si indeboliscono piuttosto che rafforzarsi; in cui ci si dimentica degli anziani che “ormai non producono”; in cui si pensa solo a consumare e si crede che la felicità sia fatta da cose materiali e non dalla condivisione e dal vivere bene insieme.

In questa situazione, siamo migliaia le donne coinvolte nel settore lavorativo della casa e dell’assistenza senza riconoscimento di cittadinanza, senza permesso di soggiorno e dimenticate nell’irregolarità, non riconosciute come lavoratrici essenziali e senza diritto alla sicurezza sociale; lavoriamo tante ore senza riposo, con esperienze di maltrattamenti, molestie e violenze da parte dei datori di lavoro. La causa: la Legge sull’Immigrazione, una normativa disumana che viola i nostri diritti e che non dovrebbe essere in vigore in uno stato che si definisce democratico e sociale.

È importante denunciare questa realtà attraverso la nostra voce, affinché non parlino per noi.

Non ho documenti e non è un reato. Non ho documenti perché uno stato mi nega questo diritto, il diritto al riconoscimento della mia cittadinanza. Sono arrivata a Barcellona, dalla Colombia, il 23 Ottobre 2019, scappando dalla violenza politica e aspirando a migliorare l’economia della mia famiglia. Ricordo ancora le prime ricerche di lavoro, era così dura per noi donne. Insulti, proposte denigranti, indecenti e compiti più consoni al lavoro sessuale che alla pulizia. Dicevano che mi avrebbero pagata di più, ma dovevo accettare queste violenze in quanto donna, senza documenti e immigrante. Mi è toccato stare zitta e scappare da questi posti con il timore che mi facessero qualcosa.

Adesso, mi prendo cura di un anziano, ma senza permesso non si può avere né un contratto né una sicurezza sociale. È stato molto difficile ottenere questo lavoro, in quanto in Spagna, la Legge sull’Immigrazione ci nega le nostre opportunità. Con la pandemia, molte colleghe sono rimaste per strada, senza lavoro, senza reddito e senza un tetto sotto cui passare il lock-down. Noialtre abbiamo, invece, un lavoro temporaneo. Prima dell’emergenza, eravamo vittime del razzismo, della disuguaglianza, delle discriminazioni e delle ingiustizie e, con l’emergenza, la situazione è solo peggiorata.

State a casa, ci dicono. E dove stiamo se non abbiamo una casa? Chi ci affitta gli appartamenti per vivere ci umilia, perché siamo senza permesso di soggiorno, ci tratta come animali. Sono appartamenti senza finestre, senza luce e molto piccoli; non ci permettono di cucinare, di lavare le nostre cose, non abbiamo connessione internet e non può neanche risultare come nostro domicilio.

Questa crisi sta aggravando la precarietà in cui viviamo. Per questo, chiediamo al Governo di assumersi le proprie responsabilità: proteggerci e garantire i nostri diritti. La nostra richiesta di regolamentazione non è una richiesta di favore, stiamo esigendo un diritto: smettere di essere irregolari e avere le stesse opportunità per venire fuori da questa situazione di precariato e di ingiustizie. Si tratta di riconoscere che noi migranti siamo parte della società, una società a cui diamo il nostro contributo e dove vogliamo costruire un futuro migliore.

Avere il permesso di soggiorno ci permetterà di esigere un contratto di lavoro, migliori condizioni lavorative e, soprattutto, contribuire a dare una vita migliore alla nostra famiglia. Siamo tutte importanti, ma prendersi cura della vita è fondamentale. Da questa pandemia, non ne usciremo se nella società tutte le vite non hanno lo stesso valore. Regolarizzare la nostra situazione equivale a riconoscere la nostra dignità ed iniziare un buon vivere per tutti, smetterla di considerarci diversi e costruire nuove pratiche basate sull’attenzione e sulla condivisione di ciò che abbiamo in comune.

Tradotto dallo spagnolo da Francesca Vanessa Ranieri