In un momento di crisi improvvisa con il blocco quasi totale di mezzo mondo, la Scuola, checché se ne dica, ne sta uscendo egregiamente con la S maiuscola, almeno in Italia, anche se in alcune regioni di più e in altre di meno. A vederla bene, con gli occhi di chi ci lavora dal di dentro da anni, con passione e competenza, alla domanda se, di fronte alla pandemia, la scuola si sia ritrovata disarmata o in grande difficoltà o addirittura in panne, la risposta che arriva da ogni dove, dal nord al sud, è tutto sommato positiva.

Per rendere l’idea si può immaginare la scuola come una grossa locomotiva che, caricata al massimo in questo ultimo periodo di crisi-Coronavirus, ha dovuto accelerare davvero tanto e in breve tempo la sua velocità, per dare una risposta immediata ed efficace alle migliaia di studenti che si sono ritrovati dall’oggi al domani, con la chiusura delle loro aule, relegati a casa e privati della loro crescita intellettuale e sociale.

Tradotto in dati reali, all’improvviso insegnanti, studenti e famiglie nel giro di pochi giorni hanno dovuto, loro malgrado, intavolare una collaborazione, diversa e paradossalmente più stretta, sebbene distante, per una nuova organizzazione della scuola a casa; si è entrati gli uni nelle case degli altri cercando, da parte degli studenti, di mantenere quanto più possibile i protocolli standard del tempo-scuola e, da parte degli insegnanti, di stare molto attenti a non ‘invadere’ troppo gli ambiti familiari, cercando di cogliere altresì eventuali difficoltà specifiche di singoli studenti.

In questa situazione la risposta ministeriale è stata, come al solito, abbastanza generica – se non deleteria quando circa due settimane fa il Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ha comunicato a tutta la nazione, scavalcando giudizi e pareri di dirigenti e insegnanti, che quest’anno tutti saranno promossi – e non sempre all’altezza delle reali esigenze e tempistiche, comunque ha messo in campo programmi didattici on-line per studenti ed altri supporti, (risorse finanziarie), limitati per la verità, per far fronte alle nuove esigenze.

Dal canto loro invece, gli insegnanti, in generale e chi più chi meno, dopo un primo momento di disorientamento e tentennamenti, non si sono persi granché d’animo, essendo riusciti tutto sommato in poco tempo a riciclarsi, architettando un salto acrobatico dalla tradizionale didattica frontale ad una completamente virtuale, che ha comportato la repentina sostituzione della modalità relazionale in presenza con una modalità schermata e in remoto. Un cambiamento sostanziale e epocale se si pensa che una delle caratteristiche precipue della Scuola, come ambiente protetto, è la relazione insegnante-studente e studente-studente, quale condizione indispensabile ed ottimale, come si è detto, per una crescita oltre che formativa anche sociale. La relazione diretta, infatti, è fondamentale per veicolare la trasmissione della comunicazione, che diventa tanto più significativa quanto più empatico e partecipativo risulta il rapporto.

Allora ci si chiede cosa può essere successo, a partire dalla fine di febbraio, con l’interruzione degli spazi fisici entro cui incontrarsi e lavorare insieme, sinergicamente, studenti e insegnanti? In particolare nelle scuole primarie, dove la presenza della maestra o del maestro è essenziale per l’apprendimento elementare del bambino; e nelle scuole medie dove, con l’affacciarsi dell’adolescenza, gli alunni cominciano a manifestare le prime ribellioni e disobbedienze; e nelle superiori dove il confronto con l’adulto-professore oltre a fornire informazioni e spiegazioni più complesse serve come riferimento di un modello, da seguire e/o da cui distaccarsi? Una catastrofe. Certo. Ma è successo anche il solito miracolo d’ingegno che si è capaci di materializzare nelle situazioni più impensabili e disperate.  Maestri e professori, si sono ‘ingegnati’, chi più chi meno ma tutti, a utilizzare immediatamente al meglio tutti i veicoli e i programmi informatici possibili per la didattica a distanza, (Zoom, Weschool, Edmodo, WhatsApp, ecc…), in un’impresa di formazione autonoma e volontaria sul campo, al fine di continuare per quanto possibile, il proprio lavoro di ‘facilitatori dell’apprendimento’ con i propri studenti, rivedendo e riducendo all’essenziale ciò che era stato messo in programma per l’anno in corso, consapevoli di non poterli svolgere appieno, mancando le condizioni fisiche e, spesso con la collaborazione dei genitori.

Una realtà scolastica tutta nuova dunque che ha rivelato una modalità di insegnamento, studio e apprendimento molto più complessa e per certi versi anche più difficile, dovendo i ragazzi lavorare molto più tempo da soli, e gli insegnanti raddoppiando i tempi di correzione (uno ad uno) e di preparazione e sintesi dei testi. Un aspetto, non scontato, ma critico emerso da questa nuova didattica, è la ‘rivelazione’ attraverso le video-connessioni delle condizione familiari degli studenti dove, quelli meno abbienti, hanno dovuto per forza ‘svelare’, la propria situazione casalinga (abitazioni non presentabili e affollate, assenza di spazi propri) e la gran difficoltà di connessione alle video-lezioni e di lavorare possedendo solo il proprio smartphone, da cui spesso il ricorso a schermi oscurati e audio silenziati.

Ciò detto, cosa emerge in questo tempo di emergenza pandemica, dove la maggior parte degli istituti, dei servizi e degli esercizi pubblici è stato chiuso? Emerge che 8 milioni di studenti circa hanno continuato ad impegnare la maggior di giornata con la Scuola, tra video-lezioni al mattino e compiti al pomeriggio (così probabilmente anche gli universitari); che nonostante la confusione e spesso l’assenza di direttive specifiche, 800.000 insegnanti circa, immergendosi in una rapida auto-formazione, sperimentando sul campo, hanno preso atto di nuovi sistemi informatici per uso didattico, continuando, chi più chi meno, a svolgere il proprio lavoro quotidiano, con video-lezioni, tenendo in questo modo gli studenti ancora ‘agganciati’ alla loro scuola.

Certo è cambiato tutto, non si esce più per arrivare puntuali al suono della campana, non si ha più l’ansia di arrivare in ritardo o impreparati o di incontrare i compagni e non ci sono più neanche tutte le sgridate dei proff. e dei genitori; ciononostante ai ragazzi manca tutto questo, che è il loro piccolo palcoscenico fatto di insegnanti, compagni, commessi e delle quotidiane pacche sulle spalle, dei discorsi incoraggianti nei corridoi, degli scontri coi proff., dei litigi con i compagni ma anche dei baci, abbracci, lacrime,  sorrisi, caffè e delle cioccolate calde alle macchinette. Un piccolo mondo anzi un grande cantiere con ciascuno al suo posto di lavoro e ciascuno con il suo ruolo, con la fatica di starci dentro e, grazie al Coronavirus, il desiderio di ritornarci al più presto.

Alida Parisi (articolo originale ABC-aprile 2020)