Il Piemonte è, dal punto di vista della situazione epidemica da Coronavirus, una Regione con gravi problemi: ci sono responsabilità politiche? Lo abbiamo chiesto a Marco Grimaldi, capogruppo dell’opposizione.

 

Buongiorno Consigliere Grimaldi, cosa ci può dire sull’attuale situazione piemontese riguardo all’epidemia di Coronavirus?

Noi, tra le grandi regioni del nord, abbiamo avuto una settimana in più proprio a febbraio per prendere le opportune misure contro l’epidemia da Coronavirus, a me sembra che non abbiamo utilizzato questo tempo per attrezzarci al meglio.

Attualmente il settentrione sta imboccando una parabola discendente,  in Piemonte abbiamo ancora una settimana di ritardo rispetto alla Lombardia.

Il contagio in questa settimana è cresciuto ancora ad un ritmo troppo alto: circa del 2%, In Lombardia la crescita è stata dell’1.3%, mente in l’Emilia Romagna dello 0,9%.

Nella nostra regione il numero di casi totali continua ad essere molto elevato, a fine della scorsa settimana i contagiati  erano 300 in più rispetto al lunedì precedente, di cui moltissimi nella provincia di Torino che purtroppo è tra le peggiori province italiane: abbiamo superato nel triste record Bergamo e Brescia.

Anche i dati sulla mortalità rafforzano la convinzione di essere in una situazione ancora difficile, nell’ultima settimana sono aumentati di oltre il 2%, il doppio dell’Emilia Romagna.

Certamente pesa il conto delle vittime nelle RSA, non ci convince il dato “rassicurante” diffuso dall’Unità di Crisi nel quale viene dichiarato che l’anno scorso sono morte 2400 persone mentre quest’anno “solo” – parola per a quale mi sono molto dispiaciuto  – 2800, ma i dati si riferiscono ai primi tre mesi dell’anno, manca tutto aprile.

La Magistratura ha aperto dei fascicoli d’indagine, al di là delle responsabilità penali che verranno eventualmente accertate, ritiene che ci siano delle responsabilità politiche?

Dai primi casi a Codogno – riscontrati se non ricordo male il 20 febbraio – al 20 marzo, data della delibera che destinava i malati Covid-19 nelle RSA, che ho contestato in Consiglio, è trascorso un mese.

In quel mese di tempo molti malati sono stati trasferiti dagli ospedali alle RSA senza aver effettuato il tampone, quindi non solo le residenze non sono state protette dal contagio, non sono neanche stati distribuiti i DPI (dispositivi di protezione individuale, n.d.r.) a protezione del personale.

Quindi non solo non abbiamo protetto i luoghi più a rischio di contagio, non li abbiamo neanche forniti delle minime misure per contrastarlo.

Come leader dell’opposizione sono stato accusato di essere stato molto duro su questo tema, così come sono stati accusati i giornalisti di Report di essere stati degli sciacalli: io credo che donare alle RSA 30.000 mascherine non idonee all’uso sanitario sia stato un errore, così come non aver adottato misure sufficienti.

Credo che parlare esclusivamente di responsabilità da parte delle direzioni sanitarie delle RSA sia insufficiente, non si può continuare a scaricare le responsabilità su tutti, occorre assumersi le proprie.

Certamente nei prossimi mesi continueremo a guardare tutto con l’attenzione rivolta alle stagioni precedenti di governo della Regione.

Le spinte liberiste e le politiche del rigore hanno certamente frenato lo sviluppo del Sevizio Sanitario Nazionale: mi riferisco non solo alle risorse, ma soprattutto al personale medico.

Quando l’Assessore Icardi dice che il Veneto ha disobbedito alle linee nazionali, dice una cosa non vera, inoltre la Sanità non è un potere speciale delle Regioni, è un potere ordinario: cosa ci ha impedito di fare i tamponi, e fare vigilanza attiva?

Certamente una struttura sanitaria territoriale non idonea, ma anche le direttive che imponevano di fare tamponi solo alle persone sintomatiche, e mi chiedo: siamo sicuri che a tutti i sintomatici sia stato fatto il tampone?

Siamo sicuri che siano stati tutti monitorizzati mediante le USCA? (Unità Speciali Continuità Assistenziale, n.d.r.) Che ci sia stato un buon rapporto con i medici di base?

Io credo di no: invece che continuare ad autoassolversi occorrerebbe ammettere che qualcosa non ha funzionato, se tutto avesse funzionato non saremmo in questa situazione a 50 giorni dal lock-down.

Che cosa è successo dal 20 febbraio al 20 marzo, data della delibera e dal 20 marzo all’11 aprile, data di pubblicazione della delibera? Le ASL e le RSA conoscevano già la delibera del 20 marzo prima della sua pubblicazione? E’ legittimo che una delibera votata il 20 marzo venga pubblicata 22 giorni dopo, in una situazione di tale portata?

Dal 20 febbraio all’11 aprile non ci sono stati dispositivi da parte del Governo della Regione Piemonte, quindi non vorrei che ogni ASL si fosse mossa come riteneva più opportuno.

Al di là del numero dei malati destinati alle RSA, parliamo comunque di luoghi nei quali il rischio di contagio è elevatissimo: mi chiedo se abbiamo fatto di tutto per mettere in sicurezza quelle comunità.

Guardando i dati ritengo che qualche lacuna dal punto di vista politico ci sia stata, al di là del fatto che possa avere o meno implicazioni penali.

Che cosa si dovrebbe fare, a Suo parere, d’ora in poi in materia di Sanità?

Spero che dopo questa situazione anche i più liberisti, anche i più intransigenti, che riferendosi al SSN parlavano di sprechi e di privilegi, comincino a capire che l’esiguità del numero di borse di specializzazione ha fatto sì che pochi medici potessero sostituire quelli andati in pensione, che i giovani per potersi specializzare si siano dovuti trasferire all’estero, o siano andati a lavorare nel privato a fare i “gettonisti”.

Ci sono tantissimi reparti come i Pronto Soccorsi, la medicina di base sul territorio, che sono sprovvisti di personale, non si sono incentivati questo tipo di professionalità, le scuole di specializzazione.

Il Centro Sinistra aveva lanciato il progetto di mettere insieme i medici di famiglia con gli infermieri di comunità, riforma stralciata dalla giunta Cota.

Saitta, con tutti i suoi limiti, aveva iniziato a fare questo lavoro sugli ospedali di territorio, le cosiddette Case della Salute, quindi strutture più prossime rispetto alle strutture ospedaliere.

Un’intuizione sbagliata? Non so:  di sicuro questa giunta, a parte l’aver commissariato l’Assessore Icardi con l’ex Ministro Fazio, non ha ancora dato degli input.

Veniamo alla fase 2 qualora arrivi davvero presto: occorre aumentare la vigilanza attiva, effettuare test di positività e immunità, per tutti noi, a partire non solo dalle persone sintomatiche.

Se, altro errore, le USCA non hanno consegnato i dispositivi a tutte le persone in quarantena: come facciamo a sapere se nel frattempo non siano stati contagiati anche i familiari di persone Covid-19 positive?

Occorre chiedersi: chi sono queste persone che in pieno lock-down si sono infettate? Se a fronte delle norme per il distanziamento sociale, siamo rimasti tutti a casa, come mai i contagi continuano a crescere?

Le RSA sono di sicuro dei focolai, ma chi sono tutti gli altri? Lavoratori dei servizi essenziali? La Sanità stessa? Sono i familiari dei contagiati?

A queste domande prima o poi qualcuno dovrà rispondere.

Si sta parlando di App per il tracciamento: cosa ne pensa?

Tutto è positivo, se poi però qualcuno elabora i dati.

I temi del dibattito vertono sulla libertà individuale, su quanto sia giusto essere tracciati: credo che per gli  attuali motivi sanitari ci sia l’esigenza di fare questo passo ulteriore.

Quello che mi chiedo è: questi big data verranno gestiti in modo efficace?

Se questi dati non verranno gestiti in modo utile, se non serviranno per mettere in campo nuove strategie, allora capisco la perplessità di molte persone.

Benissimo avere più dati, benissimo la vigilanza attiva, ma tutto ciò deve servire a qualcosa, deve avere un significativo impatto sulla salute pubblica a fronte di strategie efficaci.

Avremmo dovuto proteggere chi lavorava per tutte e tutti noi là fuori. Nella fase 2 ancora di più non possiamo permetterci più questi errori.