Fin dall’inizio dei suoi giorni sul pianeta, la specie umana si è sempre dovuta difendere delle malattie infettive. Epidemie come la peste, il vaiolo, il colera e la cosiddetta influenza spagnola hanno modificato il corso della storia umana. L’uomo è sempre stato consapevole della propria vulnerabilità di fronte alle epidemie; da un momento all’altro intere famiglie venivano decimate e addirittura intere città perdevano gran parte dei propri cittadini, basti pensare che a Firenze la peste decimò la popolazione di circa il 50%.

La scienza e la medicina non riuscivano a stare al passo delle epidemie, spesso riuscendo a capire solo dopo anni il modo in cui la malattia si trasmetteva tra le persone. All’uomo restava solo affidare le proprie speranze a preghiere di massa o riti religiosi.

Con l’avvento del ’900, un’altra pandemia uccise milioni di persone in tutto il globo: la cosiddetta influenza spagnola. Si stima che il virus abbia sterminato tra i 50-100 milioni di persone nel giro di pochi anni.

Di recente invece si sono diffusi virus come l’aviaria e l’ebola che nonostante abbiano provocato migliaia di morti, l’uomo è riuscito a contrarre la diffusione a livello mondiale riuscendo ad attuare moderne contromisure e salvaguardando gran parte della popolazione. In particolare l’ebola non ha mai oltrepassato i confini dell’Africa occidentale.

Dopo la sfida dell’inizio del nuovo millennio, si pensava che la minaccia di nuove pandemie non appartenesse più al mondo contemporaneo. Con i vaccini e farmaci di cui disponiamo si pensava di essere in netto vantaggio nella battaglia contro i germi; come se avessimo dimenticato di dover probabilmente convivere per sempre con la diffusione di nuovi virus.

Sebbene la scienza moderna abbia fatto passi da gigante, non è ancora pronta a poter evitare del tutto che una nuova e particolare epidemia diventi un problema serio per tutta la popolazione mondiale. Con molta probabilità, l’uomo moderno potrebbe addirittura essere più esposto alla diffusione di epidemie a causa del continuo movimento di merci e il miglioramento delle connessioni tra gli individui dei diversi paesi, rendendo quindi più veloce la trasmissione di qualsiasi virus. Basti pensare che da quando il COVID19 si è manifestato in Cina a fine 2019 e dal 31 dicembre in cui la Cina ha comunicato all’OMS l’esistenza dell’epidemia nei propri confini, secondo quanto riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità già il 25 gennaio abbiamo avuto il primo caso di contagio in Europa.

Eravamo certi che i moderni antibiotici, vaccini e norme igieniche nelle città, potessero proteggere l’uomo da qualsiasi malattia infettiva. Come evidenzia il periodo in cui stiamo vivendo, il COVID19 ha dimostrato il contrario trovando il mondo moderno impreparato alla sfida.

Tutti i paesi con i migliori sistemi sanitari al mondo si trovano a non poter rispondere alla grande richiesta di ricoveri in terapia intensiva, non sono in grado di soddisfare il fabbisogno nazionale di mascherine e guanti, addirittura in Paesi come l’Ecuador i defunti vengono lasciati nelle case dei familiari o in strada per mancanza di posti negli obitori.

La sfida del sistema di prevenzione e controllo sanitario contro le epidemie è stata ampiamente persa dall’uomo del XXI secolo.

Malgrado il COVID19 sia stato considerato un virus subdolo visto che buona parte dei contagiati risulta asintomatica, possiamo dire che, per adesso, ha dimostrato un tasso di mortalità inferiore rispetto ai virus dei secoli scorsi. Se solo fosse stato più letale e di conseguenza non essendo pronti ad evitare i contagi, adesso conteremmo ben più dei 70.000 morti in giro per il mondo.

Resta da considerare che l’ineluttabilità dei virus su scala globale potrebbe porre l’uomo costantemente dinanzi a pericoli anche peggiori del COVID19 in un futuro non molto lontano.

Nasce quindi spontaneo chiedersi se l’uomo sia disposto ad un mondo nuovo e come, a pericolo scampato, metta in atto misure che siano in grado di affrontare emergenze come questa che stiamo vivendo: ad esempio partendo dalla prevenzione e miglioramento del sistema di controllo sanitario, incremento tecnologico di tutti i settori e ridurre drasticamente la burocrazia, estendere e riconoscere più diritti, tutelare i più deboli. Questa crisi ha dimostrato che in nessun sistema possono essere negati i diritti umani fondamentali e che, quelli che troppo spesso vengono considerati “ultimi”, sono l’anello fondamentale per la sostenibilità di qualsiasi paese.

Al momento si parla di un futuro cambio di vita che la popolazione mondiale deve essere pronta ad affrontare. Prima però c’è da chiedersi se l’uomo sia disposto ad affrontare la vita pratica secondo altri concetti e con una miglior distribuzione delle risorse disponibili.

Si parla di ripartenza del settore turistico, di quello dei trasporti o della ripresa del commercio internazionale, senza la cognizione che il COVID19 ha dimostrato e messo in evidenza i limiti del capitalismo moderno e di come si avvii a compromettere la vita umana indistintamente dal proprio conto in banca.

I primi mesi del 2020 sono stati un manifesto di egocentrismo da parte della maggior parte dei capi di governo che hanno fatto a gara a chi fermasse più tardi la propria economia. Ancora oggi si parla della Cina che in città come Pechino continua a tenere le scuole chiuse ma l’attività produttiva sembra essere ripartita quasi a pieno regime. Le aziende manifatturiere del nord-est italiano hanno continuato a lavorare anche dopo l’allarme lanciato dall’OMS. Quasi a sfidare il virus, Trump parlava dell’impossibilità che potesse raggiungere gli Stati Uniti. Quando la storia insegna che tenere nascosta un’epidemia per non rischiare che lo Stato o la città vengano isolate a livello commerciale, poco dopo il contagio provoca danni maggiori alla stessa economia. Poco e troppo tardi si è pensato all’isolamento dei malati o all’interruzione di qualsiasi rapporto economico tra i vari paesi.

Ci riferiamo spesso ai secoli scorsi, quando poco si poteva per prevenire o combattere la diffusione dei virus; le morti future potrebbero avere come colpevole l’uomo moderno e il sistema di cui fa parte che è incapace di arginare il problema nonostante il livello di strumenti e conoscenze di cui dispone.

L’essere umano dovrebbe chiedersi se è pronto ad andare verso un sistema che abbia come priorità la salute e la vita di qualsiasi individuo.