E così, mentre il processo iniziato a giugno dell’anno scorso a Locri contro Lucano e Riace dilatava i suoi tempi e diradava le udienze; mentre l’informativa della Guardia di Finanza su cui si basa l’accusa andava avanti  da un’udienza all’altra – e chissà quante ancora ce ne vorranno perché il colonnello Sportelli esaurisca la sua presentazione; mentre interveniva l’emergenza sanitaria legata al coronavirus che ha sospeso le udienze nei tribunali e ha quindi, di fatto, rimandato ulteriormente la prosecuzione di quel processo; ecco, mentre accadeva tutto questo, è spuntato un nuovo processo contro l’ex-sindaco di Riace.

Alla Procura di Locri evidentemente non bastava aver montato un processo monstre, che da quasi un anno sta ancora illustrando l’accusa e non ha ancora nemmeno iniziato l’esame delle testimonianze e delle carte delle difese. Non le bastava aver rappresentato l’esperienza di accoglienza a Riace come un fatto criminale, e i suoi artefici, in primis Lucano, come membri di un’associazione a delinquere, colpevoli di gravi reati penali. Non le bastava che la Cassazione avesse già demolito, in sede di giudizio sulle misure cautelari, la sostanza delle accuse, negando che ci siano stati comportamenti fraudolenti da parte di Lucano e affermando che aveva sempre agito per ideali di umanità. Non le bastava aver sottoposto a sequestro perfino la Fattoria didattica, perché le casette dove stanno gli asinelli mancherebbero di certificato di agibilità, quando la Fattoria ha rappresentato la bonifica di quell’area e la sua restituzione all’agricoltura. E si potrebbe continuare così a lungo. Ma no, non le bastava tutto questo. Ha sentito il bisogno di infierire, proponendo un nuovo processo per falso ideologico, che reitera peraltro un’accusa già presente nel primo processo.

Lucano sarebbe reo di aver rilasciato due carte d’identità a soggetti sprovvisti di permesso di soggiorno. Evidentemente, quelle carte d’identità erano sfuggite alla pur poderosa macchina investigativa messa in piedi dalla Procura per un anno e mezzo a Riace e che ha riguardato un periodo di tre anni, 2014-2017. Qui si tratta di una giovane donna eritrea richiedente asilo e del suo neonato di 4 mesi, entrambi inviati a Riace dalla Prefettura di Reggio Calabria nell’aprile 2016, poco dopo la nascita del piccolo. Mamma e neonato vengono presi in carico da una delle associazioni che a Riace gestivano le strutture per i migranti, inseriti nel progetto e ospitati in una casa. Qualche mese più tardi succede che il bimbo ha bisogno di cure per delle insufficienze enzimatiche che gli sono state riscontrate, ma senza carta d’identità non potrebbe accedere alle visite specialistiche; per questo i referenti del progetto di accoglienza che li hanno in carico chiedono al Comune il rilascio di queste carte d’identità e Lucano, che è anche ufficiale dell’anagrafe, le firma il 14 settembre di quello stesso 2016, nel pieno dunque del periodo indagato.

Succede che tre anni più tardi, a dicembre 2019, Lucano riceve un avviso di garanzia che lo informa di un’indagine in corso su queste due carte d’identità. Da non crederci; dal 2012 era in vigore la norma in base alla quale la ricevuta della richiesta d’asilo valeva come permesso di soggiorno, per ovviare alla lentezza degli uffici nel rilasciare i permessi. Sembrava dunque un errore bello e buono. E invece adesso arriva l’amara conferma: il 2 luglio si aprirà presso il tribunale di Locri un altro processo contro Lucano.

Evidentemente il clima mentale, ancor prima che giuridico, in cui siamo stati immersi negli ultimi anni sulle questioni del diritto di asilo dei rifugiati ha inficiato così in profondità i nostri ragionamenti e le nostre condotte da farci dimenticare che non sempre le leggi in questa materia avevano disatteso il rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. Nel 2016 i decreti sicurezza salviniani non erano nemmeno nei piani di Dio – e questo possiamo provarlo! Ma erano già nella testa del procuratore, per il quale evidentemente quei decreti funzionano in modo retrospettivo e rendono illecito quello che allora era addirittura obbligatorio.

È quello scarto, quel mutamento di orientamento politico nei confronti dei fenomeni migratori, che ci ha portati nella spirale dei respingimenti, del rifiuto di soccorso in mare, dei “porti chiusi”, che orienta il giudizio. È qualcosa che già mi è capitato di osservare sul processo in corso a Locri: i reati attribuiti a Lucano sono “reati ex-post”. Pratiche portate avanti alla luce del sole, ammesse e tollerate per anni, diventano improvvisamente reati per effetto di quel cambiamento di prospettiva politica le cui ombre si prolungano all’indietro. Da un processo all’altro, l’atteggiamento della Procura si porta appresso il peso di questa forzatura sugli atti, in nome di idee che hanno preteso riscriverne il senso.

Ed è proprio questo che mette in risalto il carattere politico del processo che la Procura conduce a Locri: sono idee contro altre idee. Non sono gli atti al centro della sua attenzione, né i moventi, visto che non può provare che Lucano si sia mosso per interesse, ma l’idea di accoglienza praticata da Lucano e quella di una comunità multiculturale, in cui gli stranieri non siano ospiti, ma parte integrante della comunità, coinvolti negli stessi bisogni, negli stessi destini.

Così un processo, che non riesce a scrollarsi di dosso la confusione fra irregolarità e inadempienze amministrative da una parte, e gravi reati penali dall’altra; che non è in grado di dimostrare l’esistenza del dolo e cerca affannosamente prove negli stralci di intercettazioni che continua a leggere, sebbene non siano nemmeno state trascritte, e che quindi non potrebbe utilizzare, adesso si demoltiplica, e da luglio avrà un suo gemello. Possiamo immaginare che, se il primo procederà lentamente, il secondo potrà comunque prolungarlo anche dopo la sua seppur lontana conclusione. Un modo per tenere appeso ad un filo Lucano e la comunità di Riace, per non permettere che si scrollino di dosso questa fase distruttiva e riprendano fiato per ripartire, un accanimento ossessivo che si propone di prolungare nel tempo gli effetti intimidatori e disgreganti della violenza che si è abbattuta su Riace.

I processi a Mimmo Lucano si moltiplicano. Ma anche la tenacia di tutti quelli che di Lucano condividono i valori dell’accoglienza, della solidarietà e dell’umanità.