Mentre scrivo, il Covid 19  viaggia  spedito come un treno fermandosi  in perfetto orario in tutte le stazioni attraversate, scaricando il suo carico di bacilli,  goccioline infette, vermetti coronati, ansia e preoccupazioni e se ne frega delle zone rosse, arancioni o fucsia che ci affanniamo a istituire. Egli è uno spirito libero e selvaggio che corre a briglia sciolte tra le vaste praterie umane.

L’indiziato è un virus della famiglia influenzale, ma da questa  disconosciuto poiché non  vuol saperne di farsi ingabbiare in un qualsivoglia vaccino miracoloso;  grave o meno ce lo hanno spiegato confusamente e in tutte (troppe) le salse  tecnici, scienziati, politici e coglioni di ogni tipo. Quando si fermerà non è dato al momento saperlo, come non è facile seguirlo poiché sfugge a ogni intercettazione, posto di blocco, quarantena o cordone sanitario che sia. Finirà, ho l’impressione,  quando finirà  il suo anarchico girovagare tra monti e valli, metropoli, città e paesini  e  avrà parlato tutte le lingue  e i dialetti conosciuti  esaurendo volontariamente   la sua carica virale, la ribellione dedicata al suo periodo libero e libertario. E lo farà solo dopo aver stravolto le nostre vite,  travolto le nostre istituzioni, distrutto un pezzo della nostra economia e rivoluzionato il nostro comodo ed egoistico modus vivendi.

Magari dopo averci insegnato che un altro modo di stare al mondo è possibile, dopo aver risvegliato  menti e coscienze umane intorpidite, flaccide, rilassate, drogate dall’illusione individualista del successo e dall’effimero  benessere nel quale siamo sprofondati . Forse; o forse ci manterrà sulla corda,  sul chi va là, con quella spada “damoclana” pronta a caderci sulla testa quando meno ce l’aspettiamo, rientrando nei ranghi soltanto quando saremo, anche in questo caso, diventato “gregge” immune.

Il Coronavirus non è Armaggedon lo sappiamo, non è il cavaliere nero dell’Apocalisse, al più e volendo essere pessimisti, è il  messaggero che l’ annuncia, uno dei tanti  come ci dice la storia del mondo, che sono passati nei secoli sulla terra ad avvertirci di cambiare quella rotta  che noi però pervicacemente continuiamo a percorrere . Questa volta è  partito dalla Cina,  altre dalle Americhe,  dall’Africa, forse dall’ Europa seguendo il percorso di tanti suoi simili e fratelli (La Spagnola, la Sars, l’Hn51, l’Hiv, l’HN1, l’Aviaria, l’Ebola …). Luoghi diversi ma al  dunque stesso destino, che sia lo sconosciuto Codogno nella Bassa Lodigiana di quel  nord Italia economicamente produttivo, oppure le fredde steppe russe o le allegre spiagge californiane. Qualcuno direbbe: “E’ la globalizzazione, bellezza!”, altri che è il fato o la punizione divina.

Niente di tutto ciò, ovvio;  è semplicemente il risultato di una costruzione mondiale sociale,  politica ed economica sbagliata, di un capitalismo finanziario predatorio più attento ai numeri che alle anime, al lucro invece che al benessere sociale. Il Coronavirus  è una malattia, non  un killer; una delle tante e non delle più gravi  che però attacca  un corpo stanco, infettato, viziato  e indebolito  ma che si può ancora curare, raddrizzare, rinvigorire se soltanto prendessimo  come un’opportunità ciò che ci sta accadendo e usassimo al meglio  le conoscenze e le intelligenze che la scienza e la tecnologia  ci mettono a disposizione non per speculare, ma per curare, ricercare, prevenire. Ovviamente con meno egoismi, più solidarietà sociale e rispetto per la natura e il creato.

Andrà tutto  bene certo… ma c’è poco da stare tranquilli.

Umberto Silvestri