Diffondiamo una notizia che cogliamo con grande speranza per il futuro del nostro collega Julian Assange, ingiustamente detenuto in un carcere di massima sicurezza nel Regno Unito: l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (CdE) il 28 gennaio u.s. ha approvato la Risoluzione 2317 in cui chiede il rilascio immediato di Julian Assange, ai sensi della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Abbiamo tradotto per voi i punti salienti di questa importante Risoluzione.

Ma facciamo innanzitutto qualche passo indietro per inquadrare meglio il motivo per cui il caso Assange riveste per noi, e crediamo per tutti, un’importanza cruciale, cercando anche di chiarire il contesto nel quale si inserisce questa risoluzione.

Come rete di giornalisti ed attivisti sociali riunita sotto il nome di MediAttivisti, nasciamo dall’impulso dell’Agenzia di Stampa Internazionale Pressenza, il cui primario obiettivo è la diffusione di una cultura dei diritti umani, della pace e della nonviolenza.

La stampa indipendente quale strumento necessario alla vita democratica e civile

Va da sé che crediamo fermamente nella necessità di una stampa indipendente che possa fungere da controllore delle istituzioni, con una narrazione il più possibile plurale sui fatti del mondo, quale strumento necessario alla vita democratica e civile, esercitando il quarto potere che le è proprio.

Per questo non possiamo che esprimere la nostra più profonda riconoscenza verso Julian Assange, e seguiamo con crescente turbamento la sua persecuzione, ritenendo la lotta per il suo rilascio immediato ed incondizionato una priorità assoluta.

Ecco perché Pressenza e la rete Mediattivisti, tra le altre azioni intraprese, ha cercato e cerca di aggiornarvi continuamente sul drammatico caso di persecuzione politica dell’editore, giornalista, attivista informatico e co-fondatore australiano del celebre sito Wikileaks, Julian Assange, in quanto pare destinato a diventare, suo malgrado, uno dei casi più emblematici della volontà sempre meno celata da parte dei governi e di alcuni gruppi di potere di controllare i mezzi d’informazione di massa, impedendone la regolare libertà d’espressione e con essa anche il diritto del cittadino all’informazione.

Wikileaks, è un’organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 2006 dal caporedattore dell’omonimo sito, Julian Assange, con l’intento di raccogliere e diffondere documenti riservati di pubblico interesse per mezzo di segnalazioni anonime. Da allora ha rivelato al mondo intero innumerevoli casi di abuso di potere da parte di stati e organizzazioni internazionali per mezzo di email riservate, cablogrammi militari e documenti di ogni genere che sono stati a loro volta rilanciati e pubblicati dalle maggiori testate giornalistiche mondiali. È fondamentale sottolineare inoltre il fatto che nessuno, tra le centinaia di migliaia di documenti pubblicati da Wikileaks in 14 anni di attività, è mai stato smentito. Non a caso Julian Assange per la sua attività giornalistica e il suo ruolo fondamentale nel favorire la libera informazione è stato insignito di innumerevoli premi e riconoscimenti in tutto il mondo.

Principali (wiki)leaks di pubblico interesse

Tra i numerosi documenti di cui il grande pubblico è venuto a conoscenza grazie all’opera di Wikileaks, possiamo annoverare i War Diaries, report grazie ai quali si vengono a scoprire le innumerevoli vittime civili, abusi di ogni tipo e torture perpetrate ai prigionieri di guerra; i Guantanamo Files, che descrivono attraverso centinaia di migliaia di documenti il trattamento disumano riservato ai prigionieri di Guantanamo; le email di Hillary Clinton,  grazie alle quali veniamo ad esempio a sapere delle operazioni sotto copertura da parte degli USA in Libia con l’invio di forze speciali e armamento di gruppi terroristici; i TTIP Chapters, ovvero le bozze preliminari del famigerato trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, i cui termini sarebbero altrimenti rimasti segreti, nonostante le profonde implicazioni sullo stato sociale dei paesi coinvolti, Italia compresa; gli Spy Files, migliaia di documenti che attestano la sorveglianza di massa in atto; inoltre sappiamo ora che sono “Made in Italy” molte delle società che vendono in tutto il mondo programmi per poter spiare la cittadinanza.

Ma ciò che probabilmente ha fatto più scalpore nell’immaginario comune, è stato il rilascio nel 2010 degli archivi di guerra iracheni con annesso video denominato Collateral Murder, in cui si vedono le forze armate statunitensi sparare come in un videogioco dagli elicotteri Apache contro obiettivi civili a Baghdad, tra cui bambini, miracolosamente scampati alla morte ma rimasti gravemente feriti, e due giornalisti della Reuters, rimasti uccisi mentre cercavano di soccorrere altre vittime civili inermi.

Tutti questi documenti sono tuttora visionabili nel sito di Wikileaks, alla pagina: https://wikileaks.org/-Leaks-.html

Il totale paradosso delle democrazie occidentali

Il totale paradosso per quelle che si definiscono le democrazie occidentali sorge proprio qui: a seguito della diffusione del video Collateral Murder, così pure delle migliaia di altri documenti compromettenti che mettono in luce un sistema corrotto fin dalle sue fondamenta e pratiche illegali di ogni tipo, nessun individuo o organizzazione è stato investigato, né tantomeno punito per i crimini commessi. In compenso però, con un sorprendente tempismo, poco dopo il clamore destato dal video Collateral Murder e dai War Diaries, in particolare l’Afghanistan Diary, rilanciato dal New York Times, da The Guardian e Der Spiegel a fine luglio del 2010, comincerà per Assange un’odissea giudiziaria senza precedenti che continua tuttora, ed ora più che mai, a distanza di quasi 10 anni, si trova nella sua fase più critica (chi voglia leggersi un breve resoconto dell’assurdo caso giudiziario montato sulla pelle di Julian Assange, legga in nota[i]).

Come ha detto Glenn Greenwald (avvocato e giornalista americano, noto per una serie di articoli che raccoglievano le rivelazioni del whistleblower o informatore Edward Snowden sulla sorveglianza di massa ad opera del NSA che gli sono valsi il Premio Pulitzer per il miglior giornalismo di pubblico servizio, ora anche lui oggetto di persecuzione giudiziaria) subito dopo l’arresto di Assange: “Il giornalismo non è spionaggio. Essere una fonte giornalistica non significa essere spie. E pubblicare informazioni che mettono a nudo la cattiva condotta del governo o i crimini di guerra non è spionaggio. Quando il giornalismo viene trattato come un crimine, siamo tutti in pericolo. L’accusa di Assange non è la fine della saga di WikiLeaks. È l’inizio di un grosso assalto alla libertà di stampa.” https://www.pressenza.com/it/2019/05/cio-che-larresto-di-assange-significa-per-il-giornalismo/

Ma veniamo ora alla recente notizia della presa di posizione netta a favore dell’immediata scarcerazione di Julian Assange del Consiglio d’Europa (CdE). Il CdE è un’organizzazione internazionale i cui obiettivi fondanti sono promuovere la democrazia, i diritti umani e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa; il CdE è estraneo all’Europa e conta 47 membri, tra cui il Regno Unito, che tuttora ne fa parte eche è stato tra i suoi membri fondatori nel 1949.

Ecco la traduzione ad opera della sottoscritta dei punti salienti di ciò che è stato deliberato dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il 28 gennaio, con l’approvazione della risoluzione 2317 intitolata: “Minacce alla libertà dei mezzi di comunicazione e alla sicurezza dei giornalisti”, in cui si fa esplicitamente riferimento al caso di Julian Assange (punto 6.2) chiedendo che venga vietata la sua estradizione negli USA e che venga immediatamente scarcerato.

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Risoluzione 2317 (2020) Versione provvisoria

Minacce alla libertà dei media e alla sicurezza dei giornalisti in Europa

Autore/i: Assemblea parlamentare

Origine – Discussione dell’Assemblea del 28 gennaio 2020 (4a seduta) (vedi doc. 15021, relazione della commissione per la cultura, la scienza, l’istruzione e i media, relatore: Lord George Foulkes). Testo adottato dall’Assemblea il 28 gennaio 2020 (4a seduta) Vedi anche la raccomandazione 2168 (2020).

1. Senza il diritto alla libertà di espressione e a mezzi di comunicazione liberi, indipendenti e pluralistici, non esiste una vera democrazia. Il Consiglio d’Europa e la sua Assemblea Parlamentare sono fermamente impegnati a rafforzare la libertà dei media in tutti i suoi aspetti, compreso il diritto di accesso alle informazioni, la protezione delle fonti, la protezione contro le perquisizioni dei luoghi di lavoro e dei domicili privati e il sequestro di materiali, la salvaguardia dell’indipendenza editoriale e della capacità di indagare, il diritto di criticare e contribuire al dibattito pubblico senza timore di pressioni o interferenze. La sicurezza di giornalisti e altri attori dei media è una componente fondamentale di questa libertà.

2. Ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo – in particolare, ma non solo, l’articolo 10 – gli Stati membri hanno l’obbligo positivo di istituire un solido quadro giuridico per i giornalisti e altri attori dei media affinché possano lavorare in sicurezza. Tuttavia, minacce, molestie, restrizioni legali e amministrative e indebite pressioni politiche ed economiche sono diffuse. Peggio ancora, in alcuni paesi, i giornalisti che indagano su questioni che coinvolgono la corruzione o l’abuso di potere, o che si limitano a esprimere critiche ai leader politici e ai governi al potere, vengono attaccati fisicamente, incarcerati arbitrariamente, torturati o addirittura uccisi. […]

3. Secondo le informazioni pubblicate dalla Piattaforma del Consiglio d’Europa per promuovere la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti (la Piattaforma), dal 2015 al 25 novembre 2019, 26 giornalisti sono stati uccisi, tra questi, in 22 casi vi è stata impunità, e 109 giornalisti sono attualmente in detenzione; 638 gravi violazioni della libertà di stampa sono state perpetrate in 39 paesi. Le minacce alla libertà dei media e alla sicurezza dei giornalisti sono diventate così numerose, ripetute e serie che mettono a repentaglio non solo il diritto dei cittadini di essere adeguatamente informati, ma anche la stabilità e il regolare funzionamento delle nostre società democratiche.

4. Gli organi del Consiglio d’Europa, compresa l’Assemblea parlamentare, non devono solo continuare a sostenere lo sviluppo in tutti i paesi europei ed oltre i confini europei di un ambiente sicuro per giornalisti e altri attori dei media, ma devono fare uso di tutto il loro potere per sollecitare gli Stati membri a porre rimedio in modo rapido ed efficace a qualsiasi minaccia alla libertà dei media, sollecitando e sostenendo le riforme richieste a tale scopo.

5. Pertanto, l’Assemblea invita gli Stati membri a proteggere più efficacemente la sicurezza dei giornalisti e la libertà dei media.[…]

6. L’Assemblea invita gli Stati membri a creare un ambiente mediatico favorevole e a rivedere a tal fine la loro legislazione, cercando di prevenire qualsiasi uso improprio di diverse leggi o disposizioni che possano avere un impatto sulla libertà dei media – come quelle sulla diffamazione, l’antiterrorismo, la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, l’hate speech, la blasfemia o le leggi sulla memoria – che troppo spesso vengono applicate per intimidire e mettere a tacere i giornalisti. A tale proposito, devono in particolare:

6.1. evitare di proporre sanzioni penali per un reato mediatico – in particolare pene detentive, chiusura dei media o blocco di siti Web e piattaforme social – tranne nei casi in cui altri diritti fondamentali siano stati gravemente compromessi, ad esempio in caso di incitamento all’odio o istigazione alla violenza o al terrorismo; assicurare che tali sanzioni non vengano applicate in modo discriminatorio o arbitrario contro i giornalisti;

6.2. riconoscere e assicurare il rispetto del diritto dei giornalisti di proteggere le proprie fonti e di sviluppare un adeguato quadro normativo, giudiziario e istituzionale per proteggere gli informatori o whistleblower e coloro che li facilitano, in linea con la risoluzione dell’Assemblea 2300 (2019) “Migliorare la protezione degli informatori ovunque in Europa”; a tale proposito, riconoscere che la detenzione e la persecuzione penale di Julian Assange costituiscono un precedente pericoloso per i giornalisti unendosi alla raccomandazione del relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti che ha dichiarato, il 1 ° novembre 2019, che l’estradizione del sig. Assange negli Stati Uniti deve essere vietata e che deve essere prontamente rilasciato;

[…]

12. Infine, l’Assemblea invita i parlamenti nazionali a garantire che i governi agiscano nel pieno rispetto delle norme del Consiglio d’Europa relative al diritto alla libertà di espressione, compresa la libertà dei media e la sicurezza dei giornalisti. I parlamenti nazionali devono essere i custodi di questo diritto e garantire il pieno impegno dell’apparato statale a tutti i livelli: politico, legislativo, giudiziario, esecutivo ed educativo. A tale proposito, i parlamenti nazionali dovrebbero tenere maggiormente conto dei lavori del Consiglio d’Europa e, in particolare, portare le raccomandazioni del Comitato dei Ministri, nonché le relazioni e le risoluzioni dell’Assemblea, all’attenzione dei rispettivi comitati competenti e basarsi su questi testi durante la stesura di una legislazione afferente alla libertà dei media e alla sicurezza dei giornalisti.

Link al documento originale nella sua versione inglese e integrale: http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-en.asp?fileid=28508&Lang=en

 

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[i]  Il caso Assange è complesso sotto vari punti di vista e nel corso degli anni e soprattutto degli ultimi mesi ha visto avvicendarsi una lunga lista di storture giudiziarie e soprusi ascrivibili tanto al diritto internazionale, quanto ai diritti umani. Ragione per cui ridurre il caso a pochi fatti salienti non risulta particolarmente agevole. Spero però mi scuserete se per esigenze di sintesi mi tocca tentare proprio questo, cosciente di dover omettere anche fatti di una certa rilevanza.

Il 20 agosto del 2010 due donne si presentano in una stazione di polizia a Stoccolma per motivi diversi e l’indomani Julian Assange veniva già definito stupratore su tutti i giornali locali ed internazionali.

Dalla vicenda svedese ha inizio un lungo e surreale calvario da parte del fondatore di Wikileaks che, apprendendo dai giornali la notizia dell’investigazione preliminare a suo carico per stupro, desidera rilasciare una dichiarazione alla stazione di polizia, ma gli verrà permesso di farlo solo il 30 agosto, quando la campagna diffamatoria a suo carico era già ampiamente in atto. Poco importa se le due donne ammetteranno fin dall’inizio che i rapporti avuti erano consenzienti. Poco importa se una delle due rifiuterà addirittura di sottoscrive la denuncia, in quanto modificata dalla polizia con parole che lei non aveva mai espresso. Poco importa se le accuse della polizia non hanno mai assunto un carattere formale, mentre la sua richiesta di difendersi dalle accuse davanti ad un Pubblico Ministero veniva rimandata ad oltranza per motivi irrisori.

Sta di fatto che tre settimane dopo Assange fa sapere tramite il suo avvocato che deve recarsi all’estero per una conferenza e chiede il permesso di lasciare il paese; permesso che gli verrà garantito in forma scritta dall’ufficio del Pubblico Ministero. Salvo in seguito spiccare un mandato di arresto internazionale nei suoi confronti. Nel frattempo però Julian viene a conoscenza di un procedimento penale segreto aperto nei suoi confronti negli USA che lo obbligherà a chiedere asilo politico nell’ambasciata ecuadoregna di Londra dove lo otterrà nel 2012 e ivi resterà in un limbo per sette lunghi anni; gli viene però concessa udienza per la prima volta dalla Procura svedese nell’ambasciata il 14 novembre del 2016 , dopo anni di richieste formali di potersi difendere dalle accuse di stupro di persona, recandosi a Stoccolma con l’assicurazione però di non essere estradato negli USA – cosa che non gli è stata mai garantita o direttamente nell’Ambasciata dell’Ecuador. La Procura svedese si è infatti ingiustificatamente negata per anni di offrire la garanzia per la non estradizione verso gli USA e di recarsi a Londra per interrogare Assange nell’ambasciata dove godeva legalmente di asilo politico. Da notare che in tutto questo periodo si raccontava ai media che la paura di Assange di essere estradato negli USA fosse del tutto ingiustificata e che fosse una scusa per non affrontare la giustizia.

Dopo anni di reclusione forzata nell’ambasciata Ecuadoregna a Londra, di spionaggio del giornalista commissionato dalla CIA 24 ore al giorno – anche in bagno – e di limitatissime occasioni per l’incontro con persone esterne, famiglia compresa, e impossibilità di potersi curare a dovere, al cambio del Governo dell’Ecuador, le condizioni d’asilo, già notevolmente più rigide rispetto alla norma, si sono ulteriormente irrigidite fino alla revoca dell’asilo, avvenuta nello stesso giorno (11 aprile u.s.) in cui è stato arrestato dalla polizia inglese. Quest’ultima è entrata nell’ambasciata dell’Ecuador e lo ha trascinato fuori con la forza come il più pericoloso dei criminali per portarlo in un carcere di massima sicurezza, quello di Belmarsh, definito la “Guantanamo europea”. Non solo, JA è rimasto in regime di isolamento fino a pochi giorni fa, nonostante le attestate precarie condizioni di salute, e la richiesta di ricovero immediato presso un ospedale universitario come attesta la prima lettera aperta al Governo britannico sottoscritta da oltre un centinaio di medici https://medium.com/@doctors4assange. Inizialmente il motivo dell’arresto era attribuibile ad una presunta violazione del rilascio su cauzione legata all’investigazione preliminare svedese per il presunto stupro. Caso che, nonostante la mancanza totale di prove a carico di Assange, la Svezia ha aperto e richiuso ben 3 volte e mantenuto nella sua fase preliminare per nove lunghissimi anni, senza incriminarlo, né scagionarlo definitivamente. Ciondimeno gli è stata comminata una pena del tutto sproporzionata di 50 settimane da scontare a Belmarsh, poi estesa quando infine è stato reso pubblico il procedimento penale in atto nei suoi confronti, nonché la richiesta di estradizione da parte degli USA per 18 capi d’imputazione sulla base dell’Espionage act per i quali rischia, oltre alla pena capitale, nella migliore delle ipotesi 175 anni di prigione (ma allora… si direbbe proprio che Assange avesse ragione di temere!). Da notare che l’Espionage act non era mai stato adoperato per incriminare un giornalista prima d’ora negli USA in quanto contravviene al 1° emendamento della Costituzione americana che protegge la libertà di stampa e d’espressione.

Tutto questo e molto altro che non abbiamo modo di raccontare in questa sede, dimostra in maniera palese l’inquietante potere extraterritoriale degli USA, capaci di incriminare ed estradare un individuo che non è cittadino americano e che non svolgeva il suo lavoro negli USA, oltre che una serie infinita di soprusi e atti che esulano completamente dal diritto internazionale perpetrati da Svezia, UK, Ecuador ed USA. Questi ultimi, non solo pretendono l’estradizione di un cittadino straniero che non lavorava o abitava nel loro territorio, ma è notizia di pochi giorni fa che si arrogano anche il diritto di escludere arbitrariamente gli stessi cittadini stranieri dal 1° emendamento della Costituzione americana che tutela la libertà di stampa, come hanno notificato recentemente; in altre parole della libertà di stampa ne godrebbero solo i cittadini americani.

Intanto Julian Assange, colpevole di aver divulgato notizie veritiere di pubblico interesse (come fa qualsiasi giornalista d’inchiesta che si rispetti), rimane detenuto in un carcere di massima sicurezza in UK con accuse di spionaggio in attesa di un processo per l’estradizione negli USA per il quale non ha avuto modo di preparare la sua difesa, la cui prima udienza si terrà il 24 febbraio.

Già a maggio dello scorso anno, a seguito della sua visita presso la prigione di Belmarsh con due medici specializzati in tortura, l’inviato speciale delle Nazioni Unite contro la tortura, Nils Melzer, ha dichiarato: “In 20 anni di lavoro con vittime di guerra, violenza e persecuzioni politiche non ho mai visto un gruppo di Stati democratici unirsi per isolare, demonizzare e abusare deliberatamente un singolo individuo per così tanto tempo e con così poca considerazione per la dignità umana e lo stato di diritto.” Se volete approfondire ulteriormente il caso, consiglio la lettura dell’ottimo articolo in lingua inglese basato su una recente intervista a Nils Melzer: https://www.republik.ch/2020/01/31/nils-melzer-about-wikileaks-founder-julian-assange