Nonostante le recenti perdite delle sue conquiste storiche (con le riforme della legislazione del lavoro e della previdenza sociale), la classe operaia non ha delineato una reazione commisurata all’attacco sferrato dal governo dopo il colpo di stato del 2016.

Lo sciopero dei lavoratori petrolchimici, uno dei sindacati più forti e organizzati del paese, è iniziato questo mese. La motivazione è stata il mancato rispetto delle clausole del contratto collettivo di lavoro firmato dai datori di lavoro e dai sindacati alla fine dello scorso anno.

In una delle clausole era stato concordato che l’azienda non poteva effettuare licenziamenti collettivi o multipli senza averne prima discusso con i sindacati.  Quest’anno è stata annunciata la chiusura di un impianto di fertilizzanti, ANSA S.A., nello stato del Paraná, un bene appartenente alla Petrobras.  Il motivo addotto dall’azienda è il danno subito dallo stabilimento, perché una delle materie prime utilizzate per la produzione di ammoniaca e urea sul mercato internazionale oggi vale più del prodotto finale dello stabilimento. L’attuale governo sta offrendo un incentivo ad un gigante russo nel settore dei fertilizzanti, “Acron”, ad aprire fabbriche nel paese.  Petrobras aveva già delineato la sua strategia di riduzione del portafoglio e sta concentrando la sua attività sull’esplorazione petrolifera. Il problema non è che la Petrobras voglia vendere beni che sono al di fuori della sua strategia commerciale, come consentito dalla legge, ma che sia stato concordato che non ci sarebbero stati licenziamenti collettivi senza discuterne con i sindacati.

Quindi per i sindacati è fondamentale che venga rispettato il contratto collettivo.  La passività di fronte alla non conformità può creare dei precedenti che possono danneggiare l’intera categoria.

Finora abbiamo totalizzato 113 unità in sciopero, in 13 Stati del Paese, con più di 20.000 petrolchimici mobilitati.

Ci sono 53 piattaforme, 23 terminali, 11 raffinerie e altre 23 unità operative e 3 basi amministrative in sciopero, in tutto il sistema Petrobras, secondo la Federazione Unica dei Petrolchimici (FUP).

Tutte le unità continuano a funzionare solo con apparecchiature di emergenza. E finora non ci sono impatti sulla produzione.

Dal primo giorno di febbraio, un team di sindacalisti ha occupato la Sala dei Negoziati presso la sede di Petrobras nel centro di Rio de Janeiro.  L’azienda non ha ancora instaurato un dialogo con i sindacati, e sta trattando direttamente con il tribunale del lavoro, che l’ha dichiarato “sciopero illegale”.

Il processo si svolgerà il 17.  Con l’attuale gerno, la tendenza è quella di decretare l’illegalità, che imporrà una multa di un milione di dollari ai sindacati, che di fatto hanno già i conti bloccati dai tribunali.

Nello stesso contesto, altre imprese statali sono in sciopero a causa delle imminenti privatizzazioni e dei licenziamenti collettivi: la “Casa da Moneda” (la più antica impresa statale del Brasile, responsabile della stampa del denaro, dei passaporti, dei diplomi, etc.), “Dataprev” e “Serpro”, responsabile della banca dati completa della vita di tutti i brasiliani. Questi ultimi sono stati in grado di invertire momentaneamente le dimissioni collettive.

La situazione è critica, non c’è prospettiva di vittoria delle conquiste del lavoro, tuttavia, il dovere storico della classe operaia, se si erge contro l’oppressione, è più forte e non dipende dalle sue possibilità di successo.

Molta acqua deve ancora passare sotto i ponti.


Traduzione dallo spagnolo di Silvia Nocera