Fino a poco tempo fa Sutera era noto per il Rabato (dall’arabo rabad, borgo), l’antichissimo centro storico riconosciuto come uno dei borghi più belli d’Italia. In questo piccolo paese a 40 chilometri da Caltanissetta, si sono chiesti cosa fare oltre a mettere a disposizione dei loculi per la sepoltura dei migranti morti in mare e col tempo hanno fatto nascere una straordinaria storia di micro accoglienza diffusa e di riapertura di case chiuse e sfitte.

Curve, curve e curve, per arrivare a Sutera, comune di 1.400 abitanti in provincia di Caltanissetta, bisogna percorrere una strada fatta di molte curve fino a raggiungere una quota di quasi seicento metri. Spesso il clima è montano, nebbia e freddo. Una parte di Sicilia lontana dal mare, aspra e isolata, fatta di borghi che fanno storia a sé.

Il centro storico di Sutera, il Rabato – dall’arabo rabad, borgo – è un quartiere antichissimo, riconosciuto come uno dei borghi più belli d’Italia, caratterizzato da una forte matrice urbanistica islamica, era la sede di un’antichissima moschea a testimonianza di un passato ben diverso. “A tramontana di Gardutah giace Sutir, circondato da ogni banda dalle montagne, popoloso, industrie, frequentato, di passaggio da chi va e viene”, scrisse il geografo Arabo Al Idrisi per rilevarne la posizione strategica. La storia più recente testimonia invece che fino al 2013 il paese viveva, come molti altri, uno spopolamento iniziato con l’emigrazione degli anni Sessanta e Settanta. Anche per questo motivo il sindaco Giuseppe Grizzanti ha pensato alla possibilità di ripopolare il suo paese accogliendo migranti.

Quando gli venne chiesto di mettere a disposizione dei loculi per la sepoltura dei migranti morti in mare, al sindaco è venuto da chiedersi se non sarebbe invece stato meglio accogliere dei vivi. E così, il Comune ha aderito allo Sprar con un progetto coinvolgendo l’associazione I Girasoli.

In molti hanno accomunato il Comune di Sutera a quello di Riace, fra i primi a impostare una politica di micro accoglienza diffusa in grado di restituire al paese vivacità e ai migranti dignità. A Sutera vengono riaperte case fino a quel momento desolatamente chiuse e sfitte e quando finalmente si preannuncia l’arrivo delle prime due famiglie nigeriane, il sindaco decide di accoglierle al meglio, facendosi trovare in piazza con tanto di fascia.

Ma per arrivare al paese ci sono tutte quelle curve da percorrere. Curve che devono aver sorpreso e spaventato i richiedenti asilo già provati dal dramma del loro lungo viaggio, per terra e poi via mare e poi di nuovo via terra. Seduti sul pulmino che arrancava nelle salite devono essersi chiesti dove li stavano portando. Ma quando sono finalmente arrivati in piazza hanno deciso l’ammutinamento: non volevano scendere, non volevano fermarsi in quel posto che pareva dimenticato da Dio, dagli uomini e anche Allah.

Gli operatori cercavano di spiegare… il sindaco ha abbandonato la fascia e ha messo da parte la forma istituzionale, i musici sono rientrati a casa. Alla fine di questa scena tragicomica che ha coinvolto tutto il paese, si è riusciti a convincere le due famiglie a fermarsi almeno una notte. Si fermeranno invece un anno e mezzo dando inizio a un percorso e una presenza sempre più assidua di immigrati a Sutera. Un progetto che oggi funziona per tutti. Una suggestione che rivive ancora nei racconti della gente del luogo, anche dei più giovani. A partire dalla declinazione salvifica attribuita all’etimo del paese, Sòteira, ossia la “Salvezza”, quale antidoto per le aggressioni straniere, cataclismi e malattie.

 

 

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