La COP25 di Madrid non riesce ad incidere sull’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi. La regolamentazione planetaria del mercato del carbone, così come l’avvio a una transizione energica priva dell’utilizzo di carbone fossile, non trova accordo tra i paesi protagonisti della conferenza. Numerosi paesi e il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres hanno ribadito il proprio dispiacere, confermando il non raggiungimento dell’obiettivo prefissato. “La comunità’ internazionale ha perso un’occasione importante di mostrare una crescente ambizione su mitigazione, adattamento e finanziamenti contro la crisi del clima. Se ne riparlerà nel 2020, con un sempre più motivato impegno a lavorare perché sia l’anno in cui tutti i paesi si impegnino a fare quel che ci dice la scienza”.

Durante i lavori è intervenuto anche il ministro dell’ambiente italiano Sergio Costa che ha dichiarato: “In queste ore tutti stanno parlando di tutto ciò che non è stato ottenuto e questo ci rammarica, perché molte di queste cose sono vere. Non possiamo ritenerci soddisfatti, però voglio dire che l’Europa, e quindi l’Italia hanno spinto per ottenere molto di più. L’articolo 6, l’articolo che regolamenta il mercato del carbonio, è stato al centro della discussione. Si sono poste le basi per continuare il dialogo”.

Tutto rinviato alla COP26 di Glasgow, il prossimo novembre. Entro fine 2020, tutti i paesi dovranno presentare nuovi Piani nazionali per non superare la soglia fatidica di 2° sopra la temperatura media terrestre pre-industriale, da abbassare a 1,5°, secondo gli studi scientifici, per evitare il punto di non ritorno.

La COP25 ha generato contemporaneamente delusione e speranza per il futuro. Tra i paesi che hanno espresso emblematicamente il proprio diniego ad accordi ritroviamo gli Stati Uniti, che hanno avviato le procedure per uscire dall’Accordo di Parigi, insieme con Arabia Saudita, Australia e Russia, che hanno evidenziato l’opposizione più strenua a maggiori tagli delle emissioni.

Inoltre, il Brasile ha bloccato l’accordo sul mercato del carbonio, rivendicando di poter conteggiare crediti vecchi. Bocciati Cina e India, che insieme al gruppo dei Fossili rappresentano il 55% delle emissioni globali. Positività degna di nota è l’atteggiamento propositivo e incoraggiante avviato dall’Unione Europea, che  rilancia la sua leadership globale sul clima con l’European Green deal. Il Consiglio Europeo, dopo una lunga, complessa e contrastata trattativa, ha concordato proprio nei giorni della COP le linee guida per azzerare le emissioni inquinanti di CO2 entro il 2050. Un impegno che arriva tardi e dovrà comunque tener conto delle reticenze dei paesi dell’Est, Polonia in testa, ancora fortemente dipendenti dal carbone.

Le crescenti ambizioni e speranze delle masse fino ad ora non hanno trovato una degna rappresentanza nelle istituzioni mondiali, che appaiono incapaci di affrontare gli allarmi, forti e chiari, che arrivano da buona parte dell’opinione pubblica e dalla quasi totalità della comunità scientifica. L’Emission Gas Report del programma ambientale dell’Onu, rilasciato pochi giorni prima della Cop25, del resto stabiliva che quei pochi impegni finora presi dai leader mondiali non sono minimamente sufficienti e l’obiettivo di mantenere l’aumento delle temperature globali al di sotto della soglia di sicurezza di 1,5°C fissata dagli esperti dell’ Intergovernmental Panel on climate change sta inesorabilmente scivolando al di fuori della nostra portata.

L’analisi del Global Carbon Project, inoltre, illustra non solo che le emissioni di anidride carbonica sono aumentate negli anni dopo gli accordi di Parigi, ma che sono destinate a salire anche per 2020, anche e soprattutto a causa delle emissioni della Cina, che continua a finanziare centrali a carbone.

Impatti ambientali che giungono anche dal profondo Artico. Durante i lavori della COP25 di Madrid, il Consiglio Artico ha organizzato un evento collaterale dedicato alle nuove problematiche derivanti dall’inquinamento dell’Oceano Artico. Come ribadito dagli analisti del Think Tank “Imprese del Sud“: “l’acidificazione delle acque dell’Oceano Artico va diffondendosi rapidamente, suscitando l’attenzione da parte del Consiglio Artico, che tenta di richiamare la comunità internazionale sulla tematica e denunciando le conseguenze globali di tale fenomeno. La potenziale riduzione del raccolto sostenibile degli stock di merluzzo bianco del Mare di Barents entro la fine del secolo non è solo un problema locale, ma una preoccupazione planetaria, che deve essere affrontata urgentemente. L’acidificazione degli oceani sta diminuendo la loro capacità di assorbire l’anidride carbonica presente nell’aria. Un continuo avanzare del fenomeno dell’acidificazione oceanica contribuirà ulteriormente alla già compromessa capacità di assorbimento dell’anidride carbonica, generando un ulteriore riscaldamento delle temperature sul Pianeta”, ha illustrato il professore dell’Università della Cina Orientale e dell’Istituto norvegese sulla ricerca dell’acqua Richard Bellerby.

Abbiamo bisogno di rivedere completamente il nostro approccio all’ambiente, tutelando l’ecosistema, le acque dei nostri mari e comprendendo che disastri ambientali in contesti geografici precisi generano danni anche in altre zone del mondo.