Il Monastero di Dečani è l’istituzione alla quale fu affidato il primo censimento (era il 1482) dalla nuova amministrazione islamica della regione, la cui penetrazione era cominciata sin dai tempi delle battaglie leggendarie della Marica (1371), quando il re Vukašin e il despota Uglješa furono sconfitti dal generale ottomano Sahin Paşa, e del Kosovo (1389), laddove la morte in battaglia del sultano Murad I non impedì l’avanzata ottomana nei Balcani, al seguito del sultano Bayezid I. La Turbe (il monumento sepolcrale) di Murad I, poco distante dal Gazimestan, alle porte di Prishtina, è, oggi, il primo esempio di architettura ottomana in Kosovo, risalendo al XIV secolo.

Al riscontro del censimento del 1482, risulta che all’epoca era attestata una presenza albanese non superiore al 5% della popolazione, soprattutto intorno alle città di Peć, Prizren e Ðakovica (Gjakova), città, quest’ultima, importante nella tradizione culturale e nella memoria storica della popolazione albanese del Kosovo, parte di un’ulteriore tappa di questo «itinerario di itinerari». È solo una tra le testimonianze utili a mostrare l’importanza, per la storia della regione, del Monastero di Dečani, nel distretto di Peć/Pejë, sottoposto a «regime di protezione speciale», sotto la vigilanza della presenza militare della KFOR che, nel comparto occidentale comprendente questo distretto, è sotto il comando italiano. È un’evidenza, come si diceva, non l’unica, atta ad attestare la «singolare eccezionalità» di questo sito, legata, secondo la tradizione, ad un evento miracoloso: quando morì re Stefan Milutin, fondatore di Gračanica, il figlio, Stefan Dečanski, reso cieco dal padre per impedirgli di salire al trono, riacquistò miracolosamente la vista e, grazie all’abile opera della diplomazia, poté legittimamente conquistare la corona, avviando, subito dopo, la fondazione di Dečani e acquisendo, per sé, l’appellativo di Dečanski. Suo figlio, il principe Dušan, sarebbe stato destinato a ruolo ancora maggiore nel destino del regno.

Entrato in conflitto col padre, Stefan Dečanski, lo sconfisse, imprigionandolo nella fortezza di Zvečan, ove morì, e le sue reliquie sono conservate proprio a Dečani. Stefan Dušan, il figlio, fu incoronato re della Serbia nel 1331, e, all’apice della sua potenza, si trovò, per la prima volta, a regnare su un vasto regno, dall’Adriatico all’Egeo, un vero e proprio «Impero dei Serbi, dei Greci e degli Albanesi», che consentì a Dušan di fregiarsi del titolo di zar, fino alla morte, nel 1355. Non è un caso che il Monastero di Dečani sia dedicato alla figura del Cristo Pantocratore: il «Pantokrator» di Costantinopoli fu dimora in esilio di Stefan Dečanski.

Il Monastero consiste di un impianto monumentale di sbalorditiva bellezza: edificato tra il 1331 e il 1335, con uno stile architettonico tale da alternare ed integrare, in maniera singolarmente armoniosa, lo stile romanico, lo stile gotico, e specifici elementi bizantini, mostra un’ architettura esterna in marmi policromi a fasce alterne bianche e rosa, di perfetta regolarità ed eleganza, ed un interno letteralmente sbalorditivo, con venti grandi cicli di affreschi, articolati in oltre mille ritratti affrescati, che rappresentano, ad oggi, la più spettacolare galleria di arte medievale serba conservata. Il suo meraviglioso sfondo blu lapislazzuli (tipico al punto da avere consentito di definire una denominazione specifica, il cosiddetto «blu di Dečani») fa da meraviglioso sfondo tonale allo stupefacente insieme. All’interno, tre «tesori nel tesoro»: la tomba di Stefan Dečanski, la tomba di Maria Paleologa, moglie del sovrano (sebbene, secondo la leggenda, il sarcofago ospiti invece le spoglie della sorella di Stefan, Jelena, imperatrice bulgara), e, vero e proprio culmine di questo percorso interno al Monastero, la meravigliosa «Croce di Nestore», che, realizzata nella seconda metà del XVI secolo, reca incisa e scolpita una preghiera in antico serbo, spettacolare capolavoro dell’arte dell’intarsio in legno.

Dečani, con Gračanica, è un Patrimonio Mondiale dell’Umanità e, al contempo, come confermato dai monaci stessi del Monastero, un patrimonio a rischio, sia per la controversia con le autorità kosovare in ordine alle questioni della proprietà della terra (appartenente originariamente alla chiesa ortodossa e sottoposta alla legislazione serba), sia per le violazioni commesse, periodicamente, da estremisti nazionalisti albanesi kosovari. La tutela del patrimonio, soprattutto, ma non esclusivamente, in relazione al Tesoro di Dečani, rappresenta una questione, al tempo stesso, di tutela della memoria culturale e di difesa dei diritti culturali di una comunità.

Non va dimenticato, seguendo Karima Bennoune (2016), relatrice speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite nel campo dei diritti culturali, che «i diritti culturali tutelano la facoltà di ciascuno e ciascuna, di gruppi e comunità, di esprimere e sviluppare la propria umanità, la propria visione del mondo e i significati che essi associano alla loro esistenza e al loro progresso». Ciò significa che «il diritto di avere accesso e fruire del patrimonio culturale comprende il diritto […] di partecipare all’identificazione, interpretazione e sviluppo del patrimonio culturale» stesso. D’altra parte, concludendo questo percorso, come ha scritto Svetozar Radojčić, «la Chiesa, che nelle intricate situazioni della vita politica nell’Occidente apportava benefici elementi di stabilità e di continuità, anche in Oriente fu sostenitrice di quelle idee che tendevano all’unione, all’armonia e alla pace. […] Quei popoli, abituati a pregare nella propria lingua, e, nella propria lingua a pensare e scrivere, impararono presto anche ad osservare con i propri occhi e dipingere di propria mano». Un esempio trasparente del valore del patrimonio culturale per la comunità e del suo significato universale di fratellanza e di pace.