Il 14 novembre la Terza camera preprocessuale della Corte penale internazionale ha autorizzato la procuratrice a portare avanti le indagini sui presunti crimini commessi contro la popolazione rohingya in Myanmar.

La decisione è arrivata pochi giorni dopo l’accusa di genocidio, formalizzata dal Gambia contro Myanmar davanti alla Corte internazionale di giustizia, e la denuncia presentata da alcuni rifugiati rohingya presso i tribunali argentini.

“Si tratta di un passo avanti importante in direzione dell’accertamento delle responsabilità e della giustizia. I responsabili delle atrocità contro i rohingya ora sanno che l’impunità di cui hanno sin qui goduto potrebbe avere i giorni contati”, ha dichiarato Nicolas Bequelin, direttore di Amnesty International per l’Asia meridionale e sudorientale.

Nell’agosto 2017 le forze di sicurezza di Myanmar lanciarono una devastante operazione militare contro la popolazione rohingya residente nello stato di Rakhine.

Amnesty International e altri hanno documentato uccisioni, stupri, torture, riduzione alla fame, incendi dei villaggi e uso delle mine antipersona.
Una missione di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite ha chiesto che una serie di alti ufficiali di Myanmar siano indagati e processati per crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio.

Le forze armate di Myanmar continuano a compiere gravi violazioni dei diritti umani – tra cui crimini di guerra e crimini contro l’umanità – nelle zone di conflitto degli stati di Kachin, Rakhine e Shan, dove quest’anno Amnesty International ha documentato uccisioni e ferimenti di civili, arresti arbitrari, maltrattamenti e torture, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali e riduzione ai lavori forzati.