“Donne! È arrivato il Comune e la Regione! Svendiamo Lucha y Siesta, abbiamo già i palazzinari per Lucha y Siesta. Se a voi serve Lucha y Siesta, noi la chiudiamo. Se a voi servono servizi, noi togliamo servizi alla vostra città.

Questo un estratto della traccia audio che la mattina di sabato 26 ottobre ha echeggiato a Roma per le strade del Quadraro, riprendendo nell’intonazione e nella cadenza il tormentone dell’arrotino, l’affilatore di forbici, forbicine e coltelli che solo alle “femmine” si rivolgeva. Un’azione per far luce sulla grave situazione speculativa che incombe sulla Casa delle Donne Lucha y Siesta, progetto complesso che contrasta la violenza di genere e dei generi ogni giorno e che riguarda tutte le donne e gli uomini di questa città.

È un gruppo di donne con la maschera delle Luchadoras a lanciare questo appello sonoro perché nessuno possa dire “Io non lo sapevo”.

Quando il Comune ha annunciato la vendita dello spazio liberato 12 anni fa e il taglio delle utenze, previsto il 13 novembre, la cittadinanza ha risposto fondando il Comitato “ Lucha alla città ” con il proposito di comprare collettivamente lo stabile. Purtroppo, anziché venire incontro a questa coraggiosa e generosa iniziativa dal basso, concedendo il diritto di prelazione, il Comune si ostina a ostracizzare il Comitato e a non riconoscere l’immenso valore del progetto Lucha y Siesta. Perché, invece di favorire questo processo, la giunta Raggi lo ostacola? Questa scelta politica apre uno squarcio su una situazione speculativa che i Romani conoscono bene e voci sempre più insistenti indicano nomi noti nell’ambiente dei palazzinari romani. Sfrattare, sgomberare per vendere al miglior offerente?

Il nodo è al pettine? Sì, se a questo si aggiunge la riflessione di Christian Raimo: “Torre, sgomberata nel 1995, vuota. Astra, sgomberato nel 2004, vuoto. Horus, sgomberato nel 2009, vuoto. Teatro Valle, sgomberato nel 2014, vuoto. Palazzo di via Curtatone, sgomberato nel 2017, vuoto. Stabile di via Capranica, sgomberato nel 2019, vuoto. L’obiettivo non sono gli spazi pubblici da recuperare, ma l’autorganizzazione da reprimere .” A Roma, come in tante altre città, gli spazi occupati produttori di socialità, politica, cultura, rappresentano la cartina al tornasole dell’inadeguatezza e della carenza delle amministrazioni. Ostacolando i percorsi di costruzione di “bene comune” e di autodeterminazione, le varie giunte, comunali e regionali, tradiscono la preoccupazione nei confronti di antagonisti politici e culturali che autonomamente e dal basso costruiscono sistemi alternativi di cittadinanza e di solidarietà.

Sabato un collettivo di donne mascherate da luchadoras, ha sfilato in bicicletta diffondendo con altoparlanti l’audio curato dalle PlayGirls from Caracas e con la voce dell’attore e performer Tony Allotta.

Lucha y Siesta deve il suo nome ad un gioco di parole: è la versione femminile della via che la ospita (via Lucio Sestio) e, essendo gemellata con una casa delle donne in Messico (Colectiva Chereza a San Cristobal nel Chiapas), rimanda alla Lucha Libre, la lotta messicana. Nella tradizione messicana le luchadoras sono combattenti di lotta libera, indossano maschere tradizionali che rappresentano spiriti protettori o alleati. È questo l’immaginario a cui facciamo riferimento: siamo all’angolo del ring, ma comunque sempre pronti a tornare all’attacco con la nostra più potente arma a disposizione, la creatività.

L’ intervento vuole portare alle orecchie di tutti il pericolo speculativo che incombe sulla casa delle donne. La raccolta fondi non basta ad assicurare Lucha y Siesta alla città se ci sono interessi non detti che le Istituzioni tutelano non concedendo il diritto di prelazione al Comitato. Allora si scende in strada e lo si grida forte, con un megafono, alla luce del sole:

Siamo tutt* Lucha y Siesta.

https://www.facebook.com/lucha.ysiesta/videos/420992148614453/

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