È molto probabile che l’idea dell’Impeachment nei confronti di Donald Trump sia un boomerang. I fan di Trump stanno assistendo ad una campagna rabbiosa, in cui lui grida al colpo di stato e accusa i suoi detrattori di essere traditori che meriterebbero di andare in prigione. Nelle prime tre ore dopo che la Presidente della Camera dei Deputati, Nancy Pelosi, ha annunciato che sarebbe stato avviato un processo di impeachment, Trump ha ricevuto dai suoi sostenitori un milione di dollari, cinque milioni in 24 ore e 8 e mezzo in due giorni. La sua campagna ha raccolto 50.000 nuovi donatori.

Trump ha vinto le elezioni per poco meno di 80.000 voti. Bisogna ricordare che con il sistema elettorale statunitense il presidente non viene eletto con la maggioranza dei voti dei suoi cittadini, ma con i voti di delegati eletti in ogni stato. Per ragioni storiche di come venne fatta l’Unione, gli stati meno popolati e meno sviluppati hanno in proporzione più delegati degli stati grandi e ricchi.

Trump ha condotto la sua campagna negli stati meno sviluppati e meno popolati, ignorando in pratica le grandi città e gli stati più popolati come la California. Contando i voti di tutta la popolazione, cioè di tutti i cittadini, la candidata democratica Hilary Clinton avrebbe vinto di tre milioni di voti.

Penso che i democratici abbiano fatto un grande favore a Trump. E comunque, sebbene l’impeachment passi attraverso la House of Representatives (dove i democratici hanno la maggioranza), ha pochissime probabilità che passi al Senato, in cui, sempre per le ragioni storiche di come sono stati creati gli Stati Uniti d’America, ciascuno stato ha due senatori indipendentemente dal numero dei suoi cittadini. Il Wyoming, con 578.000 abitanti, ha due senatori come la California, lo stato più popoloso del paese con 37,2 milioni di persone.

E precisamente sono gli stati meno popolati, meno sviluppati e più piccoli che consentono ai repubblicani di avere la maggioranza del Senato. Per ottenere l’impeachment sarebbe necessaria una maggioranza dei due terzi dei senatori, il che è altamente improbabile.

L’unica possibilità è aumentare il numero di elettori, che alle scorse elezioni non hanno superato il 50% di coloro che hanno il diritto di voto. Ma l’impeachment avrà questo impatto? I cittadini degli stati meno sviluppati aumenteranno la loro partecipazione elettorale per protestare contro le azioni di Trump? Non ci sono prove per dirlo e molto dipenderà da chi sarà il candidato democratico.

La campagna di demonizzazione di Joe Biden avrà un certo impatto. E i candidati progressisti, Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, sono il tipo di politici che sembrano troppo elitari agli occhi degli elettori degli stati che votano Trump, stati molto conservatori. Trump ha anche il sostegno incondizionato della Chiesa Evangelica, che si stima abbia 40 milioni di parrocchiani, e della Chiesa Cattolica ultra conservatrice. Ovviamente, nel caso si verificasse una crisi economica, questo potrebbe avere un impatto trasversale dal momento che gli americani tradizionalmente votano con il loro portafoglio. Ma per il momento il 90% degli elettori repubblicani rimane fedele a Trump, così come ai suoi parlamentari.

Qui sta la fragilità della democrazia, quando si basa su regole non democratiche. Boris Johnson è stato eletto primo ministro non dal popolo inglese ma dai centomila membri del Partito Conservatore. La differenza è che Johnson ha dovuto espellere 21 membri del suo partito, tutti parlamentari di alto profilo. È stato bloccato dalla Corte Suprema per il suo atteggiamento personalista e autoritario e ha dovuto annullare la sua decisione di chiudere il Parlamento. Negli Stati Uniti invece nessun parlamentare affine a Trump lo ha criticato e la Corte suprema ha una maggioranza repubblicana, cosa che cambierà notevolmente il sistema legale americano.

La lezione che viene fuori da tutto ciò è che la democrazia funziona se ha leggi che garantiscono l’equilibrio dei poteri e se i cittadini sono consapevoli e interessati al bene comune, non divisi in fazioni per cui l’altro è considerato un nemico e non uno che ha idee diverse.

Il caso di Brexit e Trump sono buoni esempi. Ma non dimentichiamo il caso dell’Ungheria, in cui Viktor Orban, dopo essere stato eletto democraticamente, ha applicato una politica xenofoba contro i migranti, ha esercitato uno stretto controllo sulla stampa, sulla commissione elettorale nazionale e sulla magistratura arricchendo i suoi fedeli con i fondi dell’Ue, ha cambiato l’intero sistema elettorale facendolo assecondare dal suo partito e si è poi dichiarato seguace di una democrazia illiberale.

Data la possibilità che l’opposizione unita vinca le elezioni municipali a Budapest il 13 ottobre, il ministro Gergely Gulyas, capo di stato maggiore di Orban, ha avvertito che in questo caso il governo taglierà i finanziamenti destinati alla capitale.

Lo stile è stato simile a quello di Hitler e Mussolini, che salirono al potere in modo democratico, e dopo eliminarono la democrazia, identificando il nemico del popolo nel cui nome dicevano di parlare: il potere ebraico.

Oggi i nemici principali dei populisti e delle destre xenofobe, che così aumentano i loro consensi elettorali, sono gli immigrati.

La Brexit è successa in gran parte per l’annuncio dell’arrivo di milioni di turchi che nemmeno erano nell’Unione europea. Trump ha fatto dell’”invasione” messicana e centro americana il punto forte della sua difesa del popolo americano, insieme alla minaccia cinese. Se l’elettore si beve queste mistificazioni, la democrazia è certamente in pericolo. Trump e Johnson sono la punta dell’iceberg.

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