Gli hotspot delle isole greche di Lesbo, Chios, Samos, Kos e Leros stanno lottando per gestire l’aumento del numero di rifugiati e migranti che negli ultimi mesi hanno attraversato il Mar Egeo dalla Turchia. Tra gennaio e agosto 2019 secondo l’UNHCR 25.590 persone sono arrivate via mare sulle isole greche. Solo nel mese di agosto ne sono arrivate 7.712, più del doppio rispetto allo stesso mese del 2018.

Gli arrivi sono aumentati in quanto le condizioni per i rifugiati in Turchia e un cambiamento di atteggiamento nei confronti in particolare di quelli provenienti dalla Siria hanno portato a un aumento del numero di persone che lasciano il paese. Questa tendenza è destinata ad aumentare. All’inizio di settembre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha minacciato di aprire le frontiere e permettere a un maggior numero di rifugiati di entrare nell’Unione Europea, a meno che la Turchia non ottenga un maggiore sostegno internazionale per un piano di creazione di “zone sicure” in Siria.

Il partito Nuova Democrazia di Kyriakos Mitsotakis, che ha formato il nuovo governo greco a luglio, vuole evitare una situazione come quella del 2015, quando più di 850.000 persone hanno fatto domanda d’asilo in Europa attraversando la Grecia. Sta mettendo in atto nuove misure volte a ridurre il numero di rifugiati in partenza dalla Turchia. Questo ha incluso nuove motovedette nell’Egeo e una collaborazione tra la Guardia Costiera Ellenica e Frontex, l’agenzia di frontiera dell’UE, utilizzando uno zeppelin per sorvegliare le frontiere marittime intorno a Samos.

Posizione più rigida di Atene

Da quando Nuova Democrazia ha vinto le elezioni a luglio, la retorica del governo nei confronti dei rifugiati è diventata più dura. In particolare, nelle ultime settimane c’è stato un aumento dell’attività della polizia nel quartiere di Exarcheia di Atene, con lo sgombero di numerosi spazi occupati che ospitavano i rifugiati come parte dell’impegno a “ripulire” e “portare ordine” nella zona.

In questo contesto di cambiamento di governo e di crescente ostilità nei confronti dei rifugiati, il numero di persone che arrivano sulle isole ha portato anche a un deterioramento delle condizioni di vita. Una settimana di agosto ha visto più di 500 arrivi a Samos, dove il Centro di accoglienza e identificazione ha una capienza di  650 persone. Il centro era già in piena attività, con una popolazione totale stimata in oltre 5.500 persone.

Mentre all’inizio del 2019 c’era stato un aumento dei trasferimenti verso la terraferma a causa delle terribili condizioni invernali, il numero di persone è nuovamente aumentato e le condizioni in cui sono costrette a sopravvivere non hanno fatto che peggiorare. Anche i centri di accoglienza di Lesbo, Chios, Kos e Leros sono gravemente sovraffollati.

Le storie che arrivano dal centro di Moria, a Lesbo, descrivono una situazione orribile, in cui le persone dormono in qualsiasi spazio riescano a trovare senza tende o riparo adeguato, con l’unica protezione di coperte o sacchi a pelo molto leggeri. Nell’agosto 2019 più di 10.000 persone vivevano sull’isola, aggravando temi quali le forniture, i problemi di salute mentale, i tentativi di suicidio e la scarsità di risorse per sostenere le persone traumatizzate.

La lotta a Samos

A Samos, che ho visitato l’ultima volta in luglio, ai nuovi arrivati non viene più assegnato uno spazio in una tenda o in un container. Invece devono trovarsi da soli una tenda, rivolgendosi a Refugee4Refugees, che le distribuisce sull’isola quando ha donazioni sufficienti, o comprandone una in città.

Successivamente, devono trovare uno spazio per montare la tenda nella “giungla”, che circonda il confine ufficiale del centro di accoglienza. Le tende si trovano negli uliveti circostanti, tra topi, serpenti, spazzatura e rifiuti umani. Chi vive qui ha pochissimo accesso all’acqua potabile. Può contare su un litro e mezzo di acqua in bottiglia, per ottenere il quale è necessaria una lunga coda, o sul sostegno di organizzazioni di volontariato come Samos VolunteersWe Are One e Banana House, che hanno sempre acqua, tè o limonata a disposizione delle persone che utilizzano i loro centri.

L’accesso all’acqua potabile è diventato un problema serio e si sono avute segnalazioni di una grave scarsità durante l’estate. Quando ero a Samos la temperatura è arrivata a 30 gradi e il personale di Medici senza Frontiere mi ha parlato della sua preoccupazione per la disidratazione dei rifugiati. A Chios si dice che l’acqua corrente sia disponibile solo per poche ore al giorno e che venga fornita una sola bottiglia di acqua potabile a testa al giorno.

A Samos le preoccupazioni per il cibo e l’acqua hanno portato in agosto all’apertura di una nuova Ong, chiamata Project Armonia. Il suo ristorante fornisce 450 pasti nutrienti al giorno ai rifugiati più vulnerabili, colmando un vuoto vitale sull’isola. Essere serviti con dignità rappresenta una gradita pausa dalle interminabili code – tra le due e le cinque ore – per ottenere il cibo dal centro di accoglienza. Come mi hanno detto i volontari di Project Armonia, alla fine le cose essenziali sull’isola sono il cibo e l’acqua.

Quando l’autunno cede il passo all’inverno, le isole si trovano ad affrontano un’altra crisi. Il numero di volontari cala spesso nei mesi invernali, poiché gli studenti, su cui le Ong contano molto, tornano ai loro studi. Questo è particolarmente preoccupante quest’anno, poiché il numero di nuovi arrivi nelle isole durante i mesi estivi è stato così elevato e le Ong stanno colmando lacune vitali nel fornire cibo, vestiti, riparo, istruzione, nonché sostegno legale e di altro tipo.

Per alleviare la crisi immediata è necessario fornire maggiore sostegno per migliorare la rapidità e la trasparenza della procedura di asilo. Occorre inoltre trasferire un maggior numero di persone al di fuori delle isole, non in campi altrettanto sovraffollati nella Grecia continentale, ma in soluzioni abitative sostenibili in tutta Europa. A tal fine, i paesi sia all’interno che all’esterno dell’UE devono assumersi maggiori responsabilità nell’adempimento dei loro doveri umanitari.

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Traduzione dall’inglese di Anna Polo