“In 1984 Orwell illustra la volontà di controllo del passato dei regimi totalitari, proiettati verso un futuro in cui “il tempo è abolito” e ossessionati dal desiderio di riscrivere la storia grazie a speciali macchine capaci di scavare dei “vuoti di memoria”. (1)

Ogni popolo ha scelto un pezzo di storia e ci ha fondato il proprio mito di identità. Oggi l’Unione Europea cerca di reinventare la storia scegliendo solo una parte di quella esistente per fondare il mito dell’anticomunismo.

Nella risoluzione del parlamento europeo “sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” che equipara nazismo e comunismo, vi sono due aspetti che sono profondamente deboli da un punto di vista scientifico e della memoria storica perché decontestualizzano fatti e fenomeni.

In primo luogo emergerebbe come decisiva la corresponsabilità dei russi nel patto Molotov-Ribbentrop che “avrebbe diviso l’Europa in due sfere di interesse” e “spianato la strada allo scoppio della guerra mondiale”. Vengono taciute, nemmeno tanto misteriosamente, le responsabilità delle democrazie occidentali che con l’accordo di Monaco dell’anno precedente non solo hanno assecondato l’espansionismo tedesco, ma anche posto le condizioni per il patto scellerato tra russi e tedeschi.

Per cogliere i rapporti e le simpatie dei governi democratici nei confronti della politica hitleriana in quel periodo, è sufficiente visionare questa illuminante spiegazione dello storico Alessandro Barbero che a tal proposito parla di vero e proprio “lavaggio del cervello”.

In secondo luogo, la retorica della risoluzione europea fa abuso di una nozione, quella di totalitarismo (sovietico o nazista) che viene impiegata una quarantina di volte fingendo, fingendo che il dibattito delle scienze storiche ne abbia decretato la “correttezza” ma che in realtà non raccoglie affatto l’unanimità delle correnti storiografiche. Anzi.

Per avere un’idea chiara della genesi, dell’evoluzione e della funzione politica e ideologica dell’uso di questo concetto occorre leggere “Totalitarismo. Storie ed aporie di un concetto” di Enzo Traverso, storico italiano, attivo in Francia.

Ripercorrere le alterne vicende dell’uso di questo “ideal-tipo” storico permette di leggerle alla luce del contesto della guerra fredda e della ricostruzione dello spazio politico europeo in chiave filo – americana. La stessa genesi dell’Unione Europea con il progressivo allargamento ad est risponde alla stessa strategia.

La nozione di totalitarismo infatti non è per nulla neutra, e seppur utile da un punto di vista comparatistico e talvolta didattico, il modo in cui viene impiegata in questa ricostruzione revisionista della storia, che invece ama contestualizzare eventi concreti, non fa che suggerire una equiparazione di due regimi che in realtà sono stati sotto molti aspetti antitetici.

Nascondere le differenze ed esaltare le somiglianze è un’operazione di politica della memoria molto pericolosa e che corre parallelamente nella stessa direzione di chi afferma che destra e sinistra non esistono più, oppure di quei rossobruni che strumentalizzano il marxismo per giustificare politiche di estrema destra.

Inventato da Amendola nel 1923 per definire la politica fascista come un’evoluzione dell’assolutismo e teorizzato da Mussolini e Gentile, il termine totalitarismo è stato usato dagli antifascisti per definire il Ventennio, ma viene strumentalizzato dal dopo guerra in poi per screditare l’Unione Sovietica tutta, accomunando i caratteri di esperienze storiche diverse: il Ventennio fascista, il regime stalinista e quello nazista.

Tutti i filosofi e gli storici hanno cercato di individuare somiglianze e differenze tra i vari regimi, ma le premesse storiografiche che intendono sottolineare più le prime che le seconde sono da rintracciare nei politologi Brzezinski e Friedrich negli anni’50 , poi lo storico Nolte negli anni ‘80. Addirittura quest’ultimo darebbe la “colpa” dell’avvento del nazismo allo stesso bolscevismo.

Non solo questo filone storiografico ignora le differenze genetiche, economiche, sociali e ideologiche dei due regimi, decontestualizzandone i caratteri, ma nella sua recente versione europea giunge alla conclusione paradossale di svuotare il senso dell’opposizione storica e militare tra fascisti e antifascisti, tutta la storia della resistenza, nonché il prezzo pagato dalla popolazione russa con 20 milioni di vittime che hanno combattuto per liberare l’Europa dal nazi-fascismo.

Questa manipolazione della storia, prima ancora che a livello istituzionale, è un’operazione frequente nei programmi e nei manuali scolastici. Basti pensare ai luoghi comuni degli americani visti come liberatori degli ebrei nei campi di sterminio, della loro “triste ma necessaria” decisione di dovere sganciare l’atomica a guerra di fatto già conclusa.

La riscrittura della storia da parte dell’ideologia neoliberale stupirebbe perfino gli italiani che hanno studiato l’antica Roma se dovessero aprire un manuale scolastico francese. Con un salto temporale illogico si passa dalla Repubblica all’Impero senza soffermarsi sul passaggio dall’una all’altro, sullo svuotamento delle forme istituzionali e l’instaurazione di un potere assoluto da Cesare ad Augusto.
Quella che viene celebrata è l’Impero, la diffusione del modello romano tramite la romanizzazione e libera circolazione delle merci garantita dalla pax augustea, quasi a voler rintracciare un antesignano del mercato comune europeo.

Tornando al “secolo breve”, cancellare questo pezzo di storia del Novecento, e imporre questa versione raffazzonata delle vicende storiche è frutto di un’ideologia politica di un Unione Europa che vuole “scavare vuoti di memoria” ed imporre un mito di una democrazia neoliberale che, con la scusa di denunciare gli estremismi, vuole neutralizzare le ideologie novecentesche continuando a proporre il capitalismo come unica alternativa possibile. Il processo ai totalitarismi è un processo a qualsiasi alternativa, la consacrazione dell’egemonia culturale atlantista, falsamente anti-ideologica.

“Occorre evitare di trasformarla [la nozione di totalitarismo] in uno schermo che potrebbe nascondere le altre minacce di quest’epoca “globalitaria”, in cui l’omologazione dei comportamenti e del pensiero non è imposta con la forza ma indotta dalla reificazione mercantile dei rapporti sociali, in cui l’autorità assoluta non è più un Big Brother (non solo) ma l’economia con le sue leggi “incoercibili”, in cui non è più la conquista dei territori ma quella dei mercati a suscitare l’appetito dei potenti”. (1)

(1) Totalitarismo. Storia di un dibattito. Enzo Traverso