Lana è un comune vicino a Merano, in Alto Adige, dove la popolazione parla tedesco al 94 per cento, famoso per le sue mele golden sin dal Medioevo.

Lunedì, nei pressi di un “maso” e in una scarpata vicino a un meleto, dei turisti hanno notato il corpicino di un neonato.
Aveva ancora il cordone ombelicale attaccato e un panno attorno alla testa per nascondere un probabile strozzamento prima di venire gettato, frettolosamente, in un’area nemmeno tanto nascosta.
E’ bastato un giorno per risalire alla madre e porla in arresto in ospedale, essendo fresca di parto e forse di complicazioni. Deve aver fatto tutto da sola, dall’inizio alla fine.

E’ una giovane donna polacca, una delle tante che vengono dal loro paese fino in Alto Adige per preparare i frutteti alla raccolta delle mele che sarà ad ottobre. Non sono assunte, nè hanno tutele di alcun genere. Lasciano la loro terra per alcuni mesi all’anno tornando con qualche centinaia di euro in più. Sono donne di campagna anche in Polonia.
Un po’ di tempo fa avevo notato una notizia in fondo a un giornale passata inosservata ai più ma non a me, a caccia di storie piccole che rinchiudono quelle più grandi e che offrono uno spaccato dell’Italia sommersa di cui si parla bene fin quando non emerge, ogni tanto, la sporcizia. Quel caso parlava di un imprenditore appunto di frutteti in Trentino (ma veneto di origine) che aveva tenuto prigioniera per giorni dentro una delle grandi casse di plastica della raccolta, coperta da altre casse per impedirle la fuga, una donna polacca, sua lavorante da molti anni, con andirivieni stagionale.

La donna, oltre a lavorare per una miseria, offriva anche sesso, perché al padrone non è facile rifiutare ogni richiesta, pena la perdita del lavoro, e quando ha osato chiedere che venisse aumentato il salario a lei e alla sorella chiamata per un breve periodo a lavorare, il padrone (un benestante veronese) ha subito messo in atto la punizione: l’ha infilata dentro la cassa con acqua e mele a qualche chilometro di distanza dalla casa padronale in un campo dove per fortuna le sue grida, dopo sei giorni, sono state udite da due uomini delle manutenzione stradale. Lui arrestato, lei finalmente liberata. Il capo d’accusa era pesante: sequestro e vendetta per essersi ribellata. Lui aveva persino detto: l’avrei lasciata lì finchè non avesse chiesto perdono e fosse tornata all’obbedienza totale.

Si pensa all’Aspromonte, la Calabria, le montagne della Sardegna, l’interno della Sicilia: no, siamo nel moderno, civile, ricco e produttivo Trentino Alto Adige. Il caporalato qui non serve: servono le donne, e gli uomini a tenerle a bada sono gli stessi produttori che in Basso Tirolo sono tantissimi e tutti piccoli, con una media di 2 ettari e mezzo di terra ciascuno.

Per questa ragazza polacca arrestata per legge (infanticidio) la prima domanda (che certamente le è stata posta) è chi era il padre del bambino. Se fosse stata violentata o costretta dalla sudditanza al sesso col padrone, la vicenda assumerebbe contorni diversi. L’altra domanda è chi la faceva lavorare nei frutteti (lavoro pesante), con la pancia da prossima al parto: in Italia è proibito.
Quanto prendeva di salario, dove dormiva e quanti riposi poteva fare, completerebbero il quadro.

Questi meleti medioevali raccontano una storia medioevale, dove le donne uccidevano i neonati perchè non conoscevano metodo nè per non averli nè per tenerli. Ed erano anchesì considerati frutto (casualmente stavolta proprio la mela) della colpa (cattolica).

di Bruna Bianchi giornalista

Ps: Mi occupo di “madri assassine” (e le ho conosciute anche di persona) dal 1989
(*) riprendo questo post e l’immagine da www.operaicontro.it che indica come fonte: “un post su Facebook”

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