Con intervista a Manlio Dinucci al convegno di Firenze “I 70 anni della NATO, quale bilancio storico?”

Entrando nel sito di questa grande organizzazione internazionale leggiamo che: “Promuove i valori democratici, crea fiducia, previene i conflitti e si impegna a risolvere pacificamente le controversie”. Ma se qualcuno pensasse che si tratti di una qualche organizzazione benefica, si troverebbe del tutto disorientato. Intendiamoci: i benefici ci sono stati, ma si direbbe che non siano attribuibili propriamente ad un miglioramento sul piano della sicurezza globale, come raccontano loro, quanto piuttosto a benefici sul piano degli interessi strategici occidentali e particolarmente quelli degli Stati Uniti, come raccontano i fatti.

Per chi ancora non avesse capito, parliamo della NATO, l’Organizzazione fondata a seguito del Patto Atlantico del 1949, secondo cui bisognava costituire un’alleanza tra USA, Canada e i paesi dell’Europa Occidentale per difendersi da una possibile aggressione dell’URSS.

Da queste premesse verrebbe da pensare che la NATO sia stata smantellata già da parecchio tempo, se non altro, perché l’URSS non esiste più da quasi 28 anni. Ma ancora una volta i fatti smentiscono la logica: l’ “Alleanza” atlantica (che alleanza non è, visto che è comandata esclusivamente e direttamente dal Pentagono) ha festeggiato pochi giorni fa il suo 70° anniversario e nel frattempo si è evoluta a tutti gli effetti da apparentemente difensiva a palesemente offensiva, col benestare di tutti i paesi membri, Italia compresa.

Oggi è il 25 aprile: solo a giudicare dalla quantità di basi NATO e installazioni militari USA presenti in Italia verrebbe da pensare che la Liberazione ci sia costata cara…

Ma non tutti hanno celebrato allo stesso modo l’anniversario: Pressenza ad esempio, ha voluto partecipare al convegno I 70 anni della NATO, quale bilancio storico? organizzato dal Comitato No Guerra No Nato, Global Research e da Per un Mondo Senza Guerredel 7 aprile a Firenze, in un Teatro Odeon gremito di persone.

Al termine del convegno è stata letta la “Dichiarazione di Firenze”, una dichiarazione congiunta degli organizzatori dell’evento che sottolinea la drammaticità e pericolosità degli interventi militari NATO a cui stiamo assistendo con sempre maggiore frequenza e in completa violazione del diritto internazionale; evidenzia altresì che tali guerre vengono finanziate dai paesi membri, “i cui bilanci militari sono in continua crescita a scapito delle spese sociali[…].”

Dal rapporto Milx 2018 sulle spese militari italiane infatti, risulta che sono costate allo Stato, quindi a noi cittadini, ben 25 miliardi solo nel 2018, segnando un +4% rispetto al 2017, il che pone l’Italia al di sopra della media in spese militari dei paesi NATO; mentre per esempio, per quanto riguarda l’istruzione, l’Italia si trova costantemente al di sotto della media UE.

Queste sono solo alcune delle motivazioni che hanno spinto il Comitato No Guerra No Nato a lanciare una petizione per l’uscita dell’Italia dalla NATO rivendicando la propria neutralità e a redigere la dichiarazione di Firenze di cui sopra che propone un Fronte internazionale NATO exit per uno “smantellamento della NATO e di ogni altra alleanza militare”, e una “riconfigurazione degli assetti dell’intera regione europea” per “un mondo multipolare in cui si realizzino le aspirazioni dei popoli alla libertà e alla giustizia sociale.”

A margine del convegno, abbiamo avuto il grande piacere di intervistare per voi Manlio Dinucci, tra i fondatori del Comitato No Guerra No NATO, già direttore esecutivo per l’Italia della International Physicians for the Prevention of Nuclear War, associazione vincitrice del Nobel per la pace nel 1985.

Foto: Pandora TV

Come mai il Comitato e numerose altre organizzazioni sostengono che si debba uscire dalla NATO?

Perché stare nella NATO vuol dire essere condannati ad un pericolo mortale. Negli interventi di oggi (del convegno, ndr) ad esempio, il Generale Fabio Mini ci ha confermato che negli anni ‘80 in Italia avevamo le mine nucleari: vuol dire che l’Italia, qualora ci fosse stato un confronto diretto con l’URSS, era già destinata ad essere un deserto radioattivo, perché se si piazzano le mine per impedire l’eventuale ingresso di carri armati sovietici in Val Padana, si distrugge la Val Padana e buona parte dell’Italia.

E oggi i pericoli sono più subdoli perché sono meno noti, ma come abbiamo visto gravi e imminenti (per avere un’idea di ciò a cui fa riferimento Dinucci, si legga il suo articolo sulla questione, ndr).

Cosa possiamo fare come giornalisti e attivisti per rompere questo “muro di omertà” dei media mainstream e della cultura di riferimento, come ha scritto Diana Johnstone?

Qui possiamo fare moltissimo! Come primo punto, nella domanda “Cultura di pace o cultura di guerra?” che ha guidato il nostro convegno ci siamo infatti posti la necessità di ricercare e diffondere informazioni veritiere e combattere ogni tentativo di “creare il nemico” ad arte, l’ologramma, l’immagine che ci debba atterrire per convincerci a spendere 70 o 100 milioni di euro al giorno in armi, in eserciti, in guerre. Il vero giornalismo dovrebbe essere assolutamente indipendente.

Le fonti originali ci sono, e quindi, chi vuole può fare un vero giornalismo per capire che non è necessario essere “filo-nessuno”, e che la Russia non ha il piano di invaderci, di bombardarci o altro, perché, qualunque sia il nostro giudizio sullo Stato russo o la società russa, non ha interesse a peggiorare le relazioni con noi, né tantomeno ad aggredirci.

Cioè, questo è il classico esempio di come si sia fabbricato un nemico, perché di fatto la NATO ci sta portando oggi a schierare caccia-bombardieri a duplice capacità, convenzionale e nucleare, nei Paesi Baltici. Io chiedo: ma che interesse ha l’Italia a mandare i caccia-bombardieri nei Paesi Baltici? E badate bene che sono a pochi minuti di volo da città come San Pietroburgo! Per quale ragione, qual è l’interesse, da chi ci dobbiamo difendere? Perché ci è stato ordinato dal Pentagono mandiamo periodicamente forze ai confini orientali a fronteggiare un nemico che non esiste!

Questo periodo storico, insieme al 1953, quando si sviluppò la bomba all’idrogeno, è considerato dagli analisti quello più vicino alla Mezzanotte nucleare: siamo tornati indietro nel tempo?

C’è un rischio gravissimo e questa è stata anche la conclusione degli esperti nel convegno di oggi: si sta abbassando la soglia nucleare. Queste cosiddette mini-nukes, mini-armi nucleari, non hanno bisogno nemmeno del consenso del Presidente Trump o chicchessia in un altro paese alla presidenza, perché i comandanti sul campo, possono eventualmente decidere il loro uso in quanto non sono considerate armi nucleari, quando invece lo sono eccome!

Come le B61-12 che arriveranno in Italia dall’anno prossimo, che possono costituire l’innesco di un conflitto nucleare su larga scala, questo è evidente. Non ci può essere un conflitto nucleare a bassa potenza che serva ad evitare un conflitto nucleare ad alta potenza, questo è un assurdo! Quando uno ha gettato un petardo nella polveriera, il petardo ha una piccola carica, ma questa comunica alla polveriera ed esplode tutto.

Il Trattato ONU per l’abolizione delle armi nucleari (TPNW) del 2017 costituisce una grande vittoria per la popolazione attiva. In questa prospettiva, quali speranze abbiamo affinché l’Italia lo sottoscriva?

Poche, in quanto il Governo italiano ha votato contro, e non solo ha votato contro, ma non ha neppure partecipato ai negoziati, perché la NATO ha deciso: ricordiamo che durante il Governo Gentiloni, si mandò ad esplorare le vie per un’eventuale adesione dell’Italia. Il giorno dopo questa decisione del Parlamento italiano, i rappresentanti del nostro Governo hanno sottoscritto la condanna totale del Trattato ONU da parte della NATO, decisa ovviamente a Washington. Quindi per l’Italia il Trattato ONU non c’è. L’altra questione è che c’è un Trattato che invece l’Italia ha firmato, il Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP), che all’art. 2 vieta categoricamente di ospitare armi nucleari sul nostro suolo.

Quindi, o riusciamo a superare divisioni assurde, settarismi, ideologismi, assolutamente controproducenti, e organizziamo davvero una forte pressione verso il Governo contro le violazioni sistematiche del diritto o non avremo speranze.

Negli ultimi mesi stiamo formando una rete per giornalisti indipendenti e attivisti sociali1 che si pone come obiettivo la diffusione della cultura della pace e della nonviolenza: cosa si sente di dire a tale proposito?

Avete un ruolo fondamentale, questo secondo noi è un campo imprescindibile; descrivere e far apparire la realtà com’è: solo così la gente può avere consapevolezza. Giocate un ruolo cruciale nel non far vivere la grande maggioranza delle persone in una realtà virtuale, fondata sulle menzogne. Vi faccio i miei migliori auguri! Andate avanti così. C’è bisogno come l’ossigeno di una nuova leva di giornalisti che abbiano la capacità e il coraggio di raccontare la verità.

1Ora la rete ha un nome: si chiama MediAttivisti e se volete farne parte potete segnalare la vostra adesione a: redazioneitalia@pressenza.com