Jonathan Taplin è un esperto del settore dei media e ha analizzato l’aspetto legale e sostanziale dello strapotere delle principali multinazionali digitali nel saggio “I nuovi sovrani del nostro tempo. Amazon, Google, Facebook” (2018, Gruppo Macro, 287 pagine, euro 18,60).

Taplin è americano, non è un estremista anti social e frequenta Facebook; non è un estremista dell’innovazione digitale, ma è stato un innovatore digitale; non è un estremista giuridico, ma è un abile mediatore e negoziatore. Quindi ha scritto un libro molto documentato, chiaro e preciso.

Lo stile è molto informale e scorrevole e aiuta molto nell’affrontare il pensiero anarchico liberista e gli argomenti molto articolati e molto complessi. Perciò questa recensione va considerata molto sintetica e molto riduttiva. L’aspetto forse più sottovaluto da tutti è l’attuale promozione dell’uso individualista della rete. In molti casi la rete isola i consumatori tra di loro e anche le persone più affini finiscono per incontrarsi di persona di rado. Le multinazionali commerciali incentivano questo tipo di rapporti per renderci più deboli e dipendenti, e hanno gioco facile: in quasi tutti noi prevalgono le tendenze egoistiche concentrate sul piacere a breve termine. Dopotutto siamo una specie animale inserita in un ambiente naturale più o meno modificato e più o meno sociale.

Ma il punto chiave del libro è forse questo: le multinazionali puntano sempre di più sulle rendite economiche e sulle fusioni, e negli ultimi anni c’è stata “una riduzione del 50 per cento e oltre delle società quotate in borsa con base negli Stati Uniti” (ricerca di Melena Larkin, p. 113). Quindi “l’irrefrenabile processo di monopolizzazione in atto nel sistema industriale statunitense sta trasformando l’America in un’oligarchia” sempre più esclusiva, orwelliana e finanziaria (p. 113).

Secondo George Stigler, premio Nobel per l’economia (1982), la regulatory capture “è un processo in cui gli enti che avrebbero il compito di controllare vengono assoggettati dalle stesse industrie che dovrebbero essere sottoposte al loro monitoraggio” (p. 124). Molte persone lavorano prima per società come Google e poi per enti di controllo governativi. E accade anche il contrario. Uno dei risultati di questo processo è che oggi Google “vale più di tre volte tanto, rispetto a tutte le compagnie aeree degli Stati Uniti messe insieme” (Peter Thiel, Da zero a uno, citato a p. 118).

Oramai sappiamo che Google è diventata una società che vende pubblicità con 60 miliardi di dollari di guadagni nel 2015. Oltretutto Facebook e Google sono “monopoli che si servono delle nostre informazioni personali senza pagarci, e ottengono rendite da monopolio rivendendo annunci pubblicitari basandosi sui nostri dati riservati” (Peter Orszag, p. 114). Nel 2016 “per ogni dollaro investito in campagne pubblicitarie on line, 85 centesimi sono andati finire nelle casse di Google o di Facebook (Brian Nowak, analista della banca Morgan Stanley, p. 154). E la pubblicità programmatica uccide il concetto di valore di un sito: il New York Times non può far pagare di più.

Nelle pubblicità on line le truffe legate ai bot sono molto diffuse: il dieci per cento delle immagini e circa il 25 per cento dei video sono “visionati” da software e non da persone (p. 156). Google dopo una condanna ha tolto dai risultati della ricerca il link alla vendita di farmaci taroccati, quindi potrebbe farlo anche in altri casi, ma non tutti sono forti come le case farmaceutiche. E sono i proventi pubblicitari ha finanziare l’86 per cento dei motori di ricerca peer to peer (cioè delle reti paritetiche), su cui è possibile reperire dei contenuti distribuiti illecitamente” (p. 169).

Per ora Facebook riesce a vendere a dei prezzi più alti gli annunci pubblicitari rispetto a Google, poiché ha più successo: “Facebook, in pratica, ha creato un enorme archivio con le preferenze e i gusti personali di 2 miliardi di persone. Bob Garfield, uno degli analisti più rispettati nel settore della pubblicità” ritiene la cosa un pochino troppo invadente: è come sentirsi pedinati (p. 153).

Inoltre “la scelta di YouTube di rendere tutta la musica del mondo disponibile gratuitamente sulla sua piattaforma fa si che per molti musicisti sia praticamente impossibile guadagnarsi da vivere (p. 182). L’unica soluzione per i vecchi musicisti sembra quella di ritornare a fare i concerti. Il modello imperialista di Amazon ha messo in crisi parecchie case editrici e già adesso può decidere quale autore può ostracizzare, imponendo tempi di consegna dei libri lunghissimi (anche più di un mese).

L’ultimo modello a piovra della Rete è entrato in competizione con il modello televisivo classico e siamo già giunti al momento critico: “Secondo le leggi dell’economia, la diminuzione dei guadagni a fronte di una proliferazione dell’offerta – dovuta soprattutto ad Amazon, a YouTube Red e a Netflix – non potrà che condurre all’implosione dell’intero sistema” televisivo (p. 220). E la grande crescita dei canali satellitari e digitali porterà alla più grande estinzione di canali televisivi di massa.

Dal punto di vista economico le multinazionali digitali creano pochissimi posti di lavoro, investono pochi soldi in settori alternativi e in molti casi risultano anche poco produttive (p. 192). I nuovi imprenditori “mantengono le proprie ricchezze nelle quote azionarie della propria compagnia e preferiscono utilizzare il denaro per sostenere le partecipazioni (attraverso il loro riacquisto) piuttosto che rischiare con investimenti a lungo termine” (p. 191). Questo fatto prolunga le bolle azionarie borsistiche. Poi i boss si comprano le società emergenti concorrenti (dirette o indirette). In questo modo possono pilotare o bloccare le idee creative più pericolose per i loro business.

Comunque tutta l’economia mondiale è condizionata dalla costante pressione finanziaria delle multinazionali con dei bilanci superiori a quelli di molti stati nazionali. Questo fenomeno è sempre esistito, ma ora si è ingigantito. Già negli anni Cinquanta un famoso sociologo aveva affermato: “La tendenza, nel lungo termine, del grande capitale e del governo a legarsi sempre più e a diventare profondamente dipendenti l’uno dall’altro ha raggiunto un punto di massima evidenza. I due soggetti ormai non possono nemmeno essere più considerati due mondi separati” (C. Wright Mills, Le élite al potere, p. 115). E in tutto questo caos il cinema ha smesso di essere una forma di arte.

In conclusione l’attività di Google e Facebook è un business simile all’estrazione mineraria: “un modello d’impresa specializzato nell’estrarre la maggior quantità possibile di dati personali dal maggior numero possibile di persone in ogni angolo del mondo al minor costo possibile, per poi rivenderli a varie aziende al prezzo più alto che si riesce a negoziare” (p. 182). Tutto questo viene fatto senza tener conto di eventuali danni collaterali. Oltretutto le grandi multinazionali hanno “dichiarato guerra agli Stati nazionali… le ultime roccaforti di contenimento e di protezione dei beni comuni e delle pur perfettibili forme democratiche” (Diego Fusaro, postfazione a p. 272).

Jonathan Taplin è direttore e emerito del Laboratorio Annenberg per l’innovazione dell’Università della California del Sud, e ha lavorato nel campo musicale e cinematografico. Per approfondire il pensiero dell’esperto di intrattenimento e di media: www.youtube.com/watch?v=E0iRuULJr7g; www.youtube.com/watch?v=Eb9K3AX0U-4; www.youtube.com/watch?v=V87iVma7LBo (2017).

Nota realistica – L’essere umano nasce debole, ignorante e inserito all’interno di un circuito di reciproche dipendenze. Ogni sistema è più o meno equilibrato e “rivendicare oggi la nostra libertà significherebbe probabilmente perdere lavoro, amici, averi e qualsiasi cosa ci leghi a un sistema sociale fondato sull’auto-sfruttamento fonte di produttività e quindi benessere” (Socrate su Facebook, www.stefanoscrima.com, Castelvecchi, 2018, p. 20).

Nota aforistica – “Siamo nel bel mezzo di una competizione all’ultimo sangue tra politica e tecnologia” (Peter Thiel, https://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Thiel); “Fate i bravi” (motto di Google); “La concorrenza è per i perdenti” (Peter Thiel); “La privacy non è più una convenzione sociale” (Mark Zuckerberg); “Chi non è occupato a nascere, è occupato a morire” (Bob Dylan); “L’epoca tende al totalitarismo anche dove non ha prodotto stati totalitari” (Herbert Marcuse, https://it.wikipedia.org/wiki/Herbert_Marcuse); I momenti migliori non ci rendono migliori; “Un pettegolezzo fa in tempo a viaggiare in mezzo mondo, mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe” (Mark Twain); “Desiderare fortemente di dire una cosa è spesso motivo sufficiente per deciderla di tacerla” (L’arte di tacere, Abate Dinouart, 1771); A volte non fare niente è la cosa più difficile da fare (Amian Azzott); Nessuno ama essere spiato, ma tutti si fanno gli affari degli altri.

Nota sulla volgarità – “Il fatto caratteristico del momento è che l’anima volgare, riconoscendosi volgare, ha l’audacia d’affermare il diritto della volgarità e lo impone dovunque” (José Ortega y Gasset, https://it.wikipedia.org/wiki/Jos%C3%A9_Ortega_y_Gasset).

Nota psichiatrica – Esiste anche una bolla “di tipo mentale, e ha a che vedere con il deliro megalomane di quella gente che ritiene di essere sempre e comunque la più furba della situazione e non è abituata ad essere contraddetta. Ne è un esempio Elon Musk” con il suo progetto di colonizzare Marte con l’aiuto di alcune esplosioni nucleari per sciogliere il ghiaccio (p. 200). In una cultura totalmente egoistica e irrazionale “i mercati finanziarie e le stesse aziende si rifanno a misure di valutazione, secondo cui qualsiasi innovazione capace di tagliare i posti di lavoro è preferibile a una che ne crea” (www.claytonchristensen.com, Il dilemma dell’innovatore, p. 118). Ma avere meno cervelli in azione significa quasi sempre avere meno progetti di vera innovazione.

Nota misteriosa – Come fa Twitter a sopravvivere nonostante le decine e decine di milioni di dollari di perdite? Perché Facebook ha progettato il drone Aquila (p. 138), più grande di un Boeing 737, per offrire una connessione Internet di base ad alcuni paesi in via di sviluppo? In ogni caso “Edward Snowden ci ha mostrato come con la Rete abbiamo costruito, senza volerlo, il più esteso sistema di sorveglianza al mondo” (http://brewster.kahle.org, bibliotecario digitale e direttore dell’archivio di Internet, p. 182, https://twitter.com/brewster_kahle).

Nota finale – https://siamogeek.com/coy-doctorow/imminente-guerra-civile-computer-universale (http://longnow.org/seminars/02012/jul/31/coming-century-war-against-your-computer, Cory Doctorow). Nel libro ci sono anche alcune storie brevi e significative di personaggi come Kim Dotcom (pirata musicale e cinematografico); Dread Pirate Roberts (pirata della zona oscura del web, trafficante di stupefacenti); Peter Thiel (fondatore di PayPal e primo investitore di Facebook). Comunque per seguire un evento sul web decentralizzato: https://decentralizedweb.net/people. In effetti la cura più semplice per riequilibrare le cose è quello di recuperare il modello di rete originario di Tim Berners-Lee: www.ted.com/talks/tim_berners_lee_on_the_next_web.