Questa mattina a Roma, Bologna, Lecce e Taranto gruppi ambientalisti hanno organizzato un’azione congiunta come avvicinamento alla mobilitazione nazionale e globale dell’8 dicembre contro i cambiamenti climatici. Obiettivo: lanciare un messaggio al governo e all’opinione pubblica sui rischi di un fallimento della COP24 e dell’azione climatica.

“Agire ora per restare a galla”. È questo il messaggio lanciato dalle statue di quattro città italiane questa mattina al governo, impegnato nei negoziati sul clima alla COP24 di Katowice. Perfino i monumenti, muniti di maschera e boccaglio da “Ambientalist* da salotto” (movimenti sociali e gruppi ambientalisti che hanno ripreso in chiave satirica le critiche del Ministro Salvini), si sono fatti portavoce di un messaggio ormai condiviso dalla comunità scientifica, dal mondo dell’attivismo e dai governi dei Paesi più colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici: occorre modificare radicalmente il modello di sviluppo per evitare un riscaldamento globale superiore a +1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Restano infatti 12 anni per evitare di raggiungere il punto di non ritorno. Senza un’azione incisiva a livello globale, dal 2030 non sarà più possibile arginare gli effetti più catastrofici dei cambiamenti climatici.

Questa è anche la raccomandazione contenuta nell’Accordo di Parigi del 2015, sulla base della quale è stato redatto l’ultimo rapporto IPCC. Gli esperti globali hanno messo nero su bianco gli obiettivi da raggiungere nei prossimi decenni per scampare agli effetti più drastici del climate change: entro il 2030 il mondo deve aver dimezzato la produzione di gas serra, mentre le emissioni nette zero devono essere raggiunte entro il 2050.

Tuttavia, le fonti fossili coprono ancora oggi oltre il 50% della produzione energetica globale, pur essendo le principali responsabili della CO2 emessa in atmosfera. L’agricoltura industriale e la deforestazione impoveriscono gli ecosistemi e minano la capacità naturale di stoccaggio del carbonio. La fusione dei ghiacci e il riscaldamento degli oceani provocano un innalzamento del livello del mare. Le comunità agricole e costiere saranno le più colpite da questi effetti, in particolare nell’Artico, nelle zone aride, nelle isole e nei Paesi poveri.

Nonostante gli scenari descritti, gli attuali impegni dei governi nazionali non sono sufficienti. Il Programma ambientale dell’ONU (UNEP) sostiene che – senza nuovi interventi drastici nelle politiche climatiche – la temperatura globale aumenterà di 3 °C entro fine secolo. In Italia la situazione non è migliore: il nostro Paese ha registrato un aumento medio di circa 1 °C rispetto a un secolo fa, e le nostre emissioni da quattro anni rimangono sopra i livelli minimi raggiunti nel 2014. Servono soluzioni efficaci e subito, perché le conseguenze dei cambiamenti climatici sono ormai evidenti anche nei nostri territori.